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AAA Atelier Aperti per Artista a Milano

AAA Atelier Aperti per Artista a Milano

Con la residenza AAA Atelier Aperti per Artista, la Casa degli Artisti di Milano ribadisce la sua destinazione originaria, ospitando artiste e artisti in una città in cui gli spazi di lavoro sono sempre più preziosi e precari. La Casa sostiene oggi la pratica e la ricerca artistica e critico-curatoriale nell’ambito delle arti e culture contemporanee attraverso tre cicli di residenze: da ottobre a dicembre 2024, da gennaio a marzo 2025 e da aprile a settembre 2025, che intendono intercettare e rispondere al sentito bisogno di trovare in città spazi di lavoro adeguati e tutelati. Dal 19 al 31 marzo 2025 l’intera Casa, dal piano espositivo (piano terra) ai due piani che ospitano gli atelier, è aperta al pubblico per conoscere e approfondire i progetti delle artiste e degli artisti con i loro allestimenti. Passando in rassegna i sei spazi e parlando con gli artisti si è trasportati in giro per il mondo, nella storia, nell’arte, tra problemi di varia natura. Si va dalla prima guerra mondiale ai bombardamenti di Israele, da Bellini a Beato Angelico, dai videosaggi trasmediali alla pittura pittura, dal tessuto di ortica al calcestruzzo.  E veniamo ora agli artisti.

Andrea Amadei, Where's Daddy, Installation view, ph. Simone Panzeri, Courtesy Casa degli Artisti

Andrea Amadei, Where’s Daddy, Installation view, ph. Simone Panzeri, Courtesy Casa degli Artisti

Andrea Amadei nel progetto Wheres daddy: il corpo umano nellera della rappresentazione digitale – una ricerca estetica e politica esplora la rappresentazione dell’umano nell’era digitale, interrogando il corpo come fenomeno relazionale e politico. L’esito della ricerca si manifesta per ora in un archivio dinamico della rappresentazione dell’umano, un sistema che impiega machine learning, strutture algoritmiche e pittura digitale per generare modelli visivi, fotografie, mappature e duplicazioni 3D. Dice l’artista: «Wheres daddy, Questo è il nome che era stato dato in gergo a un sistema di rilevamento del bombardamento israeliano, un sistema basato sull’intelligenza artificiale. Venti secondi per decidere chi stavi uccidendo. Aspettare che i sospetti terroristi tornino a casa dalle loro famiglie è la maniera più sicura di ucciderli. La mia è una visione politica in senso largo. L’evoluzione tecnica dell’umanità porta a delle contraddizioni tra quello che pensiamo sia la cosa più umana e il mettere avanti la macchina che prenda decisioni che noi non vogliamo prendere. Mi rifaccio ai Bestioni di Vico, nella fase dell’umanità decaduta ci sono questi bestioni senza parola e questo livello lo abbiamo dentro di noi. La macchina non ha questa parte. Questa è un’opera d’arte generativa, ho richiesto la visualizzazione della costituzione di una folla nella quale noi perdiamo la nostra individualità culturale e poi ho lavorato su questo spunto della macchina per creare altri due lavori disegnati a mano su tavoletta grafica. Poi c’è il video che si ispira ai raduni al Parco Lambro organizzati da Re Nudo nel Settantotto: il personaggio principale è lo Sprangatore, che era a favore dello sprangare gli eroinomani che contaminavano la lotta di classe».

Sei Iturriaga Sauco, “No Places Project. The Cry of Syrens”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Sei Iturriaga Sauco, “No Places Project. The Cry of Syrens”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Sei Iturriaga Sauco in No places project propone una visione molteplice dei territori e indaga la dimensione sonora e narrativa degli spazi attraverso un percorso transmediale. Il progetto si articola nella creazione di una serie di videosaggi transmediali in un percorso narrativo realizzati all’interno del videogioco PI, risultato di una collaborazione con il creatore visivo messicano Eduardo Bello. Parte integrante della restituzione finale è The Cry of Sirens, un’installazione phygital, sviluppata in collaborazione con la scultrice polacca Monika Grycko. Dice l’artista: «Il lavoro è il risultato della ricerca sul suolo e i territori, il non luogo. Lo sviluppo di un videogioco creato da me e un altro sviluppatore. Dentro al videogioco ci sono dei videosaggi che spiegano la storia che si nasconde dentro. Il risultato è legato all’avvento di una nuova ontologia delle sirene che spiega la tensione tra uomo e natura. La sirena adesso tace, ha mangiato tanti microplastici che piange bolle di sapone. È un album game musicale fatto come videogioco.».

Sacha Turchi, “Muta”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Sacha Turchi, “Muta”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Sacha Turchi  in MUTA parte da un termine denso di significati culturali e simbolici che da un lato allude al processo di muta animale, necessario per lasciare alle spalle il passato e dall’altro evoca una condizione che accomuna molte donne costrette al silenzio. In questo senso, la “muta” diventa metafora di un’identità temporaneamente soffocata, ma anche di una trasformazione latente ma pronta a manifestarsi. Dice l’artista: «È un discorso sui modelli di essere donna, madre, moglie ecc. che da una parte ti sostengono, dall’altra parte ti intrappolano. Da qui la metafora dell’imbracatura da arrampicata che da una parte ti sostiene dall’altra ti intrappola. Ho lavorato con un’osteopata, abbiamo trovato le parti di snodo del nostro corpo, bacino, osso sacro, gabbia toracica. Ho lavorato col tessuto di ortica che da una parte ti punge e dall’altra ti cura anche per i lavori su carta. Poi abbiamo il cardo che cresce in zone selvatiche e anche lui ti punge e ti nutre e si presenta insieme a questo altro lavoro sulla pelle della cicala, che quando fa la muta si attacca all’albero, sguscia dalla sua pelle lasciandola intatta».

Olivia Vighi, “Polittici. Appunti sulla luce”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Olivia Vighi, “Polittici. Appunti sulla luce”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Per Olivia Vighi, autrice di Polittici. Appunti sulla luce, il polittico per sua stessa natura si presenta da sempre come un dispositivo capace di tenere insieme elementi tra loro dissimili. L’istanza che l’artista vuol portare avanti non riguarda la somiglianza formale o figurativa con i grandi esempi di polittico nella storia, ma propone un discorso sui diagrammi di forze che soggiacciono a ogni rappresentazione e che, anzi, la precedono e la informano. Dice l’artista: «Avevo chiesto uno spazio grande per lavorare su più tele e avere una distanza di visione. Questa tela è tre metri per sei. Ore e ore a guardarla, è un lavoro fatto di sovrapposizioni, cancellazioni instaurando dialogo tra tele diverse. Partendo dal Trittico dei Frari di Giovanni Bellini a Venezia, ho immaginato di far scomparire le figure per relazionarmi con la struttura del polittico a mio modo, cercando di capire quali forze ci sono dietro».

Mariangela Bombardieri, “SPĪRITŬS”, disegno a colori, courtesy l’artista

Mariangela Bombardieri, “SPĪRITŬS”, disegno a colori, courtesy l’artista

Mariangela Bombardieri in ĀRA si concentra sulla creazione di dispositivi futuribili per potenziare, curare e valorizzare le imperfezioni e alterazioni del corpo umano. Il progetto è formato da più componenti che possono essere installati singolarmente o in dialogo fra loro: durante il periodo di residenza presso Casa degli Artisti, verrà approfondita in particolare la ricerca su AURIS e SPĪRITŬS, due creazioni tattiche all’interno dell’opera complessiva. Dice Mariangela: «Il progetto è complesso e comprende diversi dispositivi per proteggere la parte più immateriale del corpo umano. SPĪRITŬS comprende una serie di oggetti trasformati in sacchetti per custodire il soffio, il sospiro, il respiro di una persona, che è unico a seconda della conformazione della persona stessa e che qui diventa un dono. Sono realizzati con tecniche diverse. Una prende spunto dai reliquiari, è fatto con della carta arrotolata, l’altro è fatto col sacco della posta aerea con sopra gli oggetti che uno tiene nei cassetti, che non vengono buttati per il loro valore affettivo. Il terzo è realizzato con una stoffa ricamata in tempo di guerra da un soldato in un ospedale a Londra. I militari feriti facevano questi cuscini che poi mandavano alle sorelle e alle mogli e che poi diventavano portaspilli con scritte come “pensami”, “ricordami”, “non dimenticarmi”. Il secondo dispositivo è AURIS che, riprendendo in scala 1:1 una mina antiuomo, trasforma questo oggetto di morte in un reliquiario. La mina antiuomo al suo interno invece del pulsante di innesco contiene un reliquiario con oggetti che ricordano la persona e la voce. Ogni mina è una mina d’ascolto poggiata su un tappeto che richiama il tappeto di preghiera, ma anche invita lo spettatore ad appoggiare le mani e ascoltare quello che la mina dice. Ogni mina ha un nome e racconta la storia di una persona, di cui conserva la parte immateriale.

Nicola Di Giorgio, “Le frasi che non finiscono mai”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Nicola Di Giorgio, “Le frasi che non finiscono mai”, installation view, ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Nicola Di Giorgio in Le frasi che non finiscono mai si confronta con il concetto di opera aperta teorizzato da Umberto Eco. Le cartoline, i ritagli, gli appunti che popolano i tavoli e le scatole d’archiviazione realizzate dall’artista sono bussole e strumenti d’indagine sistemica, preparati con accuratezza e catalogati. Spiega Di Giorgio: «C’è un ingresso rosso in cui le persone devono passare. Questa è una stanza di riflessione dove i pensieri si sono concretizzati. Ci sono tre lavori. Uno è Calcestruzzo, è stato esposto al Maxxi e acquisito in collezione. Volevo che ci fosse, ma come idea di studio, un assemblage in cui bisogna curiosare per capire. Gli altri due lavori sono Il modulatore del pieno e del vuoto, una riflessione sull’idea di abitazione, che la nostra generazione vive come impossibilità: è il mio studio, ricostruito partendo dalla scatola di cartone dell’Ikea, riempite con gli oggetti della mia vita. Volevo creare dei moduli stratificati, ognuno è il coperchio dell’altro. L’idea è di avere in futuro studio delle torri molto alte piene di questi materiali. Ultima cosa è il film che parla dell’incidente del 2002, quando un piccolo aereo si inserì all’interno del Pirellone. Ci interrompiamo in qualunque momento: è una frase di Emilio Fede e anche il titolo del film».

Manuel Contreras Vazques, allestimento dello studio, Casa degli Artisti ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Manuel Contreras Vazques, allestimento dello studio, Casa degli Artisti ph. Simone Panzeri, courtesy Casa degli Artisti

Il progetto di Manuel Contreras Vazquesi si è articolato in più direzioni, sviluppando contemporaneamente attività di riflessione, diffusione e creazione degli ultimi lavori incentrati sull’approccio cartografico. Include: la stesura di un articolo, la pubblicazione di un CD monografico, un progetto di creazione interdisciplinare incentrato sulla nuova liuteria. Il progetto verrà presentato il 30 marzo con un talk e un concerto.

Info:

www.casadegliartisti.org


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