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Al Museo Palazzo Bonaparte di Roma una mostra oltr...

Al Museo Palazzo Bonaparte di Roma una mostra oltre l’iconico Munch

Esiste o è mai esistita una mostra perfetta? Anche se si è abituati a valutare progetti espositivi sbilanciati per divagazioni, sconfinamenti, assenza di materiale documentale, allestimenti inadeguati, vi sono dei felici casi in cui l’esposizione risulta uno strumento indispensabile per unire in unico luogo numerose opere volte a restituirci uno specifico punto di vista critico.In particolare, si rimane affascinati se il protagonista della mostra è un maestro della pittura del Novecento già storicizzato: ci si riferisce alla retrospettiva Munch. Il grido interiore, in programmazione fino al 2 giugno 2025 al Museo Palazzo Bonaparte di Roma.

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky's Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky’s Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

Si tratta di una ricostruzione degli affetti, del contesto storico, emotivo e sociale in cui l’artista ha vissuto. Ciò è stato reso possibile dall’impianto espositivo flessibile e modellabile, teso a valorizzare ogni opera con la presenza di scritture esplicative, assieme a un’attenta lettura critica delle fonti diaristiche dello stesso Munch. Ne risulta un progetto appassionante – forte anche dei prestiti di oltre cento pezzi dal Munch Museum di Oslo – teso a ricostruire la pratica dell’artista dagli ultimi anni dell’Ottocento, con particolare riferimento al circolo bohémien di Kristiania sino alla commissione degli anni Dieci del Novecento relativa ai murales per l’aula magna all’Università di Oslo.

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky's Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky’s Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

Sebbene la parentesi temporale trattata sia davvero ampia, sia per il periodo sia per i temi, emerge il racconto di alcuni vincoli affettivi di forte ispirazione per Munch, quali i legami con Stanisław Przybyszewski e la modella Eva Mudocci, così come con l’amata Tulla Larsen. Quanto affiora è un artista incline ai sentimenti intimi e burrascosi, da cui si rivela un rapporto fisico con la pittura, considerata alla pari di una pratica necessaria, istintiva, disordinata, ansiosa e declinabile in diverse tecniche come l’acquarello, il pastello su carta, l’acquaforte, la xilografia e la litografia. Proprio a seguito di questa diversità tecnica, la manualità di Munch risulta ancora più libera a favore di un’estetica inquieta, cangiante e in continuo sviluppo. Le parti più interessanti dell’esposizione non i soggetti più iconici dell’artista, come l’urlo, il vampiro, la Madonna, la disperazione o il bacio, bensì il trattamento di questi attraverso una molteplicità di media artistici.

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky's Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky’s Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

Inoltre, non è affatto da sottovalutare la sezione dedicata al tema dell’autoritratto, declinato da Munch anche nella pratica fotografica. Essa per l’artista costituisce la prova che la figura umana è in sé portatrice di sensi e quindi capace di emozionare, sino a sfruttare questo genere come un atto di verifica sullo stato della propria condizione: un’evidente occasione per rivolgere delle chiare domande a sé stesso. Perciò il punto di forza della mostra è proprio quello di decostruire l’idea più nota, popolare e iconica di Munch, pittore delle proprie e altrui inquietudini, per indagare un artista turbato dal punto di vista emotivo, ma capace di stabilire con la pittura una relazione fortemente fisica. Perciò il processo creativo non si esaurisce nell’opera finita, bensì prosegue nell’illimitata trascrizione in ulteriori tecniche artistiche tese a svelare un rapporto trasformativo del soggetto trattato.

Al Museo Palazzo Bonaparte di Roma

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky’s Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

A infrangere la rigidità della pratica accademica, Munch si rivela un pittore mobile, sia per la convergenza tra pittura e tecniche grafiche sia per l’autonomia di un esercizio che occupa l’intero spazio in superficie e profondità, sino ad appuntare in maniera noncurante e libera i margini delle opere. Si aggiunge a ciò anche il trattamento cui sottoponeva i dipinti, una pratica, chiamata ‘cura da cavalli’, che prevedeva che le sue realizzazioni dovessero essere lasciate esposte alle intemperie, portando così i segni degli agenti atmosferici. Tale scelta, che motiva il pessimo stato di conservazione delle opere confluite al Munch Museum di Oslo, è approfondita nella sezione espositiva intitolata “Auto-medicina e terapie”. Secondo Munch, il dipinto è come un corpo sottoposto a un processo di acuta osservazione, indagine e misurazione del dato reale che verosimilmente conduce a domandarci quali siano i suoni e le sensazioni che vibrano al cospetto dei dipinti.

Al Museo Palazzo Bonaparte di Roma

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky’s Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

Siano grida, silenzi, mormorii e pianti, è certo che la loro ricchezza simbolica apre a infiniti livelli d’interpretazione; peraltro, l’attenzione verso l’opera, come fatto fisico, induce l’artista a trattarla come un complesso organismo variabile, con le sue funzionalità e potenzialità. E anche laddove vengono ritratti scenari come con albe, tramonti, paesaggi notturni innevati e vedute di boschi, il dato naturale viene vissuto come una questione fisica sino ad assumere aspetti antropomorfi. Proprio qui riecheggiano suoni armonici di una pittura fluida, viva per l’accostamento di colori accesi: pertanto, ogni opera, volendo usare una metafora musicale, è contrappuntistica, ovverosia nel ‘Il fregio della vita’, ‘La donna (la Sfinge)’ così come in ‘Rosso e bianco’, si uniscono in solo dipinto attimi indipendenti ma euritmici.

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky's Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

“Edvard Munch. Il grido interiore”, Palazzo Bonaparte, Roma, ph. Credit Lucky’s Productions per Arthemisia, courtesy Arthemisia

Eppure l’ossessione di Munch era quella di una pratica viva non solo nei legami di contrappunto narrativi, ma anche negli accostamenti coloristici, un magma intenso disposto secondo forme tondeggianti. Sembra che l’artista fosse consapevole del combaciare di forma e contenuto nell’espressività, una tensione esplorativa verso gli interni e spazi aperti di cui intende descrivere lo stato degli umori. In particolare, laddove i lineamenti fluidi si esasperano, la pittura prende vita in un anelito di sofferenza e spasmo. A questo punto è da riconoscere come per Munch quanto viene raffigurato è trattato senza alcun conflitto ed esasperazione verso il tema: a prescindere che ritragga il senso di disperazione, la morte, la paura e l’ansia, in ogni forma c’è sempre una semplicità chiara e nitida, probabilmente generata da una consapevolezza verso il proprio stato psicofisico. Munch sa di essere profondamente tormentato ed è consapevole di condividere un destino con le anime che ritrae, tutte nordiche, forti, potenti e diversamente angosciate, proprio perché per lui la pittura è una forma concreta d’intervento verso sé stesso nelle varie fasi di contrasto, apoteosi e talora inevitabili cadute.

Info:

Munch. Il grido interiore
11/02/2025 – 02/06/2025
Palazzo Bonaparte
Piazza Venezia 5, 00186 Roma
Orari di apertura: dal lunedì al giovedì 9.00-19.30 | venerdì, sabato e domenica 9.00-21.00
www.mostrepalazzobonaparte.it


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