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Archivio, metodo, atlante: la lezione di Aby Warbu...

Archivio, metodo, atlante: la lezione di Aby Warburg nella fotografia tedesca del Novecento

La mostra Typologien: Photography in 20th-century Germany, curata da Susanne Pfeffer negli spazi della Fondazione Prada di Milano, si offre come un articolato percorso tra oltre 600 fotografie realizzate dal 1906 agli anni Duemila da 25 autori tedeschi. L’esposizione, concepita secondo un principio classificatorio e seriale traslato dagli studi botanici, rivela un’evidente analogia di metodo con l’approccio speculativo di Aby Warburg (Amburgo, 1866 – 1929) alla storia dell’arte, non più basato su periodi stilistici, ma sulla rilevazione della migrazione di simboli e motivi attraverso il tempo, le culture e i mezzi espressivi.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Bernd & Hilla Becher “Hochöfen”, 1970-89 [Blast furnaces], 12 gelatin silver prints © Estate Bernd & Hilla Becher, represented by Max Becher, courtesy of Die Photographische Sammlung/SK Stiftung Kultur – Bernd & Hilla Becher Archive, Cologne, 2025; Candida Höfer, “BNF Paris XXIII”, 1998, inkjet print, exhibition print © Candida Höfer, Cologne, by SIAE 2025/VG BildKunst, Bonn 2025

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Bernd & Hilla Becher “Hochöfen”, 1970-89 [Blast furnaces], 12 gelatin silver prints © Estate Bernd & Hilla Becher, represented by Max Becher, courtesy of Die Photographische Sammlung/SK Stiftung Kultur – Bernd & Hilla Becher Archive, Cologne, 2025; Candida Höfer, “BNF Paris XXIII”, 1998, inkjet print, exhibition print © Candida Höfer, Cologne, by SIAE 2025/VG BildKunst, Bonn 2025

L’allestimento trasforma gli spazi del Podium e del Podium +1 in un percorso che solo in un primo momento si presenta come labirintico. Superata la prima vertigine, data all’ingresso dall’immediato palesarsi di fitte griglie di immagini indistinguibili da lontano, i pannelli sospesi di tonalità neutra che le raccolgono rivelano un percorso “a greca” che, nel suo ripiegarsi angolare, crea continui richiami visivi e concettuali tra le diverse sezioni pur non allentandone la concatenazione. Anche questa conformazione spaziale si può leggere come persistenza della metodologia warburghiana, basata sull’accostamento e sullo spostamento delle forme in tempi e contesti diversi. Nell’Atlante, il cui nome deriva dalla dea greca della memoria Mnemosyne, rimasto incompiuto alla sua morte, lo storico dell’arte tedesco aveva disposto su una serie di 63 tavole circa 1.000 immagini fotografiche di opere d’arte, reperti archeologici, immagini pubblicitarie, ritagli di giornale e altri materiali visivi, organizzati secondo relazioni tematiche e non cronologiche. Invece di affidare il suo pensiero al solo testo scritto, lo studioso, considerato tra i fondatori dell’iconologia moderna, aveva creato un dispositivo visivo che permetteva allo spettatore di cogliere connessioni intuitive tra le immagini. Allo stesso modo il percorso della mostra, organizzato secondo un ordine tipologico e non cronologico, ripercorre un secolo di una specifica linea di ricerca della fotografia tedesca in una panoramica che assume la forma di una costellazione sincronica di immagini classificate con metodologia botanica.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Thomas Struth, “Louvre 4”, Paris, 1989, color photograph on C-print, ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe; Thomas Struth, “Art Institute of Chicago 2”, Chicago, 1990, C-print, courtesy of the artist

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Thomas Struth, “Louvre 4”, Paris, 1989, color photograph on C-print, ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe; Thomas Struth, “Art Institute of Chicago 2”, Chicago, 1990, C-print, courtesy of the artist

Un concetto centrale nell’opera di Warburg è quello di Nachleben, ovvero la sopravvivenza e la trasformazione dei simboli della classicità, e quello di Pathosformel (formule di pathos), con cui identificava gesti ed espressioni che trasmettono emozioni intense, anch’esse ricorrenti nell’arte occidentale dall’antichità fino all’età moderna. Se l’Atlante warburghiano mirava a rintracciare le persistenze in una dialettica tra sincronia e diacronia, alcuni fotografi tedeschi del Novecento, all’incirca negli stessi anni, iniziarono a perseguire un analogo obiettivo di ordinamento e classificazione del reale, cercando di individuare costanti e variabili negli oggetti, nei luoghi e nei corpi. Il concetto di “tipologia” che fa da cardine alla mostra, mutuato dalla classificazione scientifica delle specie vegetali, si innesta su questa comune matrice filosofica come un metodo per provare a catalogare la realtà non tanto tramite l’individuazione di tipi generalizzati come in fitologia, ma come sistematica applicazione a delle serie date di immagini di parametri concettuali e visivi di confronto atti a far emergere per sottrazione le specificità di ciascun oggetto di indagine attraverso l’enfatizzazione delle somiglianze.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Andreas Gursky, “Paris, Montparnasse”, 1993, inkjet print, Atelier Andreas Gursky, by SIAE 2025

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Andreas Gursky, “Paris, Montparnasse”, 1993, inkjet print, Atelier Andreas Gursky, by SIAE 2025

L’approccio metodico di Karl Blossfeldt (Schielo, 1865 – Berlino, 1932) alle forme vegetali, posto all’inizio del percorso espositivo, sembra una perfetta incarnazione fotografica del metodo warburghiano. Le immagini ingrandite in bianco e nero, tratte dal suo primo volume fotografico intitolato Urformen der Kunst (Forme primordiali dell’arte, 1928) e raffiguranti dettagli dei campioni di piante che l’autore soleva racogliere a Berlino e dintorni, manifestano un analogo interesse per l’archetipo e per la forma originaria, persistente attraverso le sue innumerevoli variazioni. La fronda arricciolata della felce o il fusto scanalato di un germoglio diventano, attraverso la lente del suo obiettivo, una “formula” botanica capace di rivelare la struttura profonda del mondo naturale conferendo, al contempo, un’inedita qualità scultorea a questi particolari avulsi da ogni contesto dall’uniforme fondo grigio.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Andreas Gursky, “99 Cent”, 1999, remastered 2009, inkjet print, Atelier Andreas Gursky, by SIAE 2025

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Andreas Gursky, “99 Cent”, 1999, remastered 2009, inkjet print, Atelier Andreas Gursky, by SIAE 2025

Il metodo archivistico e classificatorio trova la sua massima espressione nel lavoro di Bernd (Siegen, 1931 – Rostock, 2007) e Hilla Becher (Potsdam, 1934 – Düsseldorf, 2015), i cui “tipi” di edifici industriali (altiforni, torri idriche) vengono oggettivati e fotografati secondo parametri rigorosamente identici, permettendo così di evidenziare sia le costanti strutturali sia le variazioni individuali. Come nel progetto warburghiano, anche qui l’accostamento seriale di immagini in apparenza simili consente di «scoprire, nel confronto diretto, che cos’è individuale e che cos’è universale», come afferma efficacemente la curatrice Pfeffer. In mostra, oltre a due iconiche serie di soggetto architettonico dei due coniugi, che ebbero tra i loro allievi all’Accademia di Düsseldorf esponenti fondamentali della fotografia tedesca delle generazioni successive, come Andreas Gursky, Candida Höfer, Simone Nieweg, Thomas Ruff e Thomas Struth, troviamo gli studi fotografici del 1965 di Hilla su una foglia di quercia, un ramo di cipresso e una foglia di ginkgo. Questi scatti, pur inserendosi nella linea seriale delle tipologie architettoniche industriali, attraverso una capillare orchestrazione delle luci e delle ombre privilegiano le qualità di superficie degli elementi ritratti piuttosto che enfatizzarne la valenza sculturale e monumentale.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Ursula Schulz-Dornburg, “Transit Sites-Armenia-Erevan-Goris”, 2000, “Transit Sites-Armenia-Erevan-Gymri”, 2000, “Transit Sites-Armenia-Erevan-Ararat”, 2001, gelatin silver prints on Forte paper, © Ursula Schulz-Dornburg

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Ursula Schulz-Dornburg, “Transit Sites-Armenia-Erevan-Goris”, 2000, “Transit Sites-Armenia-Erevan-Gymri”, 2000, “Transit Sites-Armenia-Erevan-Ararat”, 2001, gelatin silver prints on Forte paper, © Ursula Schulz-Dornburg

Afferiscono all’ambito botanico le fotografie in bianco e nero presenti in mostra di Lotte Jacobi (Thorn, 1896 – Concord, 1990) che, a differenza di quelle di Blossfeldt, si presentano come veri e propri ritratti vegetali, in cui i fiori non compaiono più come enigmatici oggetti teoretici, ma come individualità teneramente senzienti. Lo stesso tipo di inquadratura ritorna nei soggetti floreali di Thomas Struth (1954, Geldern), animati da una ricerca di esattezza formale e cromatica che crea una straniante tensione nell’imporre un’intenzione normativa a soggetti di per sé così eterei come i fiori nel loro ambiente naturale. A metà strada tra il soggetto botanico e la classificazione più ampia dei luoghi in cui le specie vegetali utili all’uomo vengono coltivate, si pongono invece gli scatti di Simone Nieweg (1962, Bielefeld): attraverso una precisa gestione della qualità cromatica e della composizione, elementi comuni come verze, zucche e le baracche per gli attrezzi degli orti (queste ultime memori della lezione dei Becher) diventano protagonisti di una narrazione visiva che ne trascende l’ordinarietà. Tale fotografia si inserisce così nella tradizione tipologica tedesca con una prospettiva antropologica, rilevando come anche la natura addomesticata per fini produttivi contenga un potenziale estetico che merita di essere documentato con la stessa metodica precisione riservata ad altri soggetti più frequentati.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Marianne Wex, “Let’s Take Back Our Space: ‘Female’ and ‘Male’ Body Language as a Result of Patriarchal Structures”, “Historical Example: Seated Men and Women, 1977/2019”, “Arm and Leg Positions, Lying on the Ground”, 1977/2018 archival inkjet prints, edition of 5 + 2 AP (#2/5), courtesy of the artist and Tanya Leighton, Berlin

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Marianne Wex, “Let’s Take Back Our Space: ‘Female’ and ‘Male’ Body Language as a Result of Patriarchal Structures”, “Historical Example: Seated Men and Women, 1977/2019”, “Arm and Leg Positions, Lying on the Ground”, 1977/2018 archival inkjet prints, edition of 5 + 2 AP (#2/5), courtesy of the artist and Tanya Leighton, Berlin

La sezione dedicata alla tipologia umana prende invece idealmente avvio dall’opera di August Sander (1876, Herdorf – 1964, Colonia), il cui monumentale progetto Menschen des 20. Jahrhunderts (Persone del XX secolo), un monumentale atlante dei mestieri, delle professioni e delle condizioni sociali nella Germania della Repubblica di Weimar, sembra declinare in direzione uguale e contraria la vocazione enciclopedica di Warburg. Il tentativo di Sander di creare un archivio visivo dei “tipi sociali” della Germania del suo tempo attraverso una ritrattistica in posa che esalta le qualità descrittive e documentarie del mezzo fotografico richiama il metodo classificatorio e comparativo dell’Atlante Mnemosyne. Con una fondamentale differenza: se Warburg lavorava su immagini già esistenti, Sander le crea appositamente, dando vita a un archivio che è al tempo stesso documentazione e creazione. Per inciso, è interessante notare come l’affascinante fotoritratto della segretaria della West German Radio di Colonia, datato tra gli anni ʽ30 e gli anni ʽ50, sia quasi un esatto rispecchiamento, privo della deformazione espressionista, del celebre ritratto (quasi un monocromo in scala di rossi) che Otto Dix fece nel 1926 alla giornalista Sylvia von Harden.

_ Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. August Sander, “Menschen des 20. Jahrhunderts”, 3 Gelatin silver prints, © Die Photographische Sammlung/SK Stiftung Kultur – August Sander Archive, Cologne; SIAE, Roma, 2025

_ Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. August Sander, “Menschen des 20. Jahrhunderts”, 3 Gelatin silver prints, © Die Photographische Sammlung/SK Stiftung Kultur – August Sander Archive, Cologne; SIAE, Roma, 2025

Anche se collocati su piani (architettonici) diversi della mostra, è interessante accostare agli scatti di Sander la serie Menschen Im Fahrstuhl, 20.11.1969 (Persone in ascensore, 20.11.1969) di Heinrich Riebesehl (1938, Lathen an der Ems – 2010, Hannover), realizzata con una macchina di piccolo formato azionata a distanza all’interno dell’ascensore della sede dell’Hannoversche Presse. I ritratti degli utilizzatori dell’ascensore, tutti dipendenti del quotidiano tedesco, sono semplicemente datati e numerati in ordine progressivo: questa volta il filo conduttore non è, come in Sander, un’indagine sul genere o sul mestiere nelle diverse classi sociali, ma uno studio dei comportamenti del corpo e dello sguardo delle persone in quel determinato spazio, che risulta essere l’indice di classificazione. Oltre all’intento concettuale, queste immagini tradiscono un interesse più ampio per il ritratto fotografico per la sensibile capacità di penetrazione emotiva che nella resa di ogni soggetto travalica la neutralità del “tipo” per suggerire un più complesso personaggio in accezione quasi cinematografica, non priva di ironia caratteriale. Un atteggiamento analogo, senza quest’ultima connotazione psicologica, si rileva nella serie People on the Street, Düsseldorf 1974–78 (Persone per strada, Düsseldorf 1974–78) di Thomas Struth, uno studio che indaga i movimenti e le posture degli individui che camminano di profilo su un marciapiede davanti all’obiettivo della macchina fotografica collocato in una posizione fissa. Se la costante visiva è proprio la porzione di finestra e di muro che fa da sfondo al passaggio delle persone, oltre che il taglio delle loro inquadrature, a diversificarsi sono le configurazioni umane e i loro attributi distintivi.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Thomas Ruff, “Porträt (Pia Stadtbäumer)”, 1988, “Porträt (Claus Föttinger)”, 1987, “Porträt (Petra Lappert), 1987, “Porträt (Simone Buch)”, 1988, C-print laminated on acrylic glass, MUSEUM MMK FÜR MODERNE KUNST, Frankfurt am Main © Thomas Ruff, by SIAE 2025

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Thomas Ruff, “Porträt (Pia Stadtbäumer)”, 1988, “Porträt (Claus Föttinger)”, 1987, “Porträt (Petra Lappert), 1987, “Porträt (Simone Buch)”, 1988, C-print laminated on acrylic glass, MUSEUM MMK FÜR MODERNE KUNST, Frankfurt am Main © Thomas Ruff, by SIAE 2025

Espressione di un’estetica diametralmente opposta sono invece le gigantografie di Thomas Ruff (1958, Zell am Harmersbach) della serie Porträt (Pia Stadtbäumer, Claus Föttinger, Petra Lappert, Simone Buch, 1987-88), in cui i volti di una gioventù perfetta uniformati da una luce mentale tersa fissano l’obiettivo con espressioni neutrali da fototessera, che l’inusuale ingrandimento rende misteriose e intrigantemente respingenti. A una tipologia del tutto concettuale afferiscono invece i ritratti del ciclo intitolato Die Toten 1967-1993 (I morti 1967-1993), realizzato negli anni ʽ90 da Hans Peter Feldmann (1941 – 2023) e incentrato sulle vittime dei movimenti politici dissidenti della Repubblica Federale di Germania tra il 1967 e il 1993. Si tratta di una collezione, standardizzata dal formato, di 90 ingrandimenti sgranati di fotografie pubblicate su giornali e riviste, una raccolta enciclopedica di morti che, senza fare alcuna distinzione tra esecutori, vittime e passanti, tra cadavere insanguinato e ritratto tombale, cataloga le modalità di trattamento mediatico di quei fatti violenti.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Rosemarie Trockel, “Elena I & II”, 1993/2025, “Maculata I & II”, 1993/2025, “Mela I & II”, 1993/2025, 2 color photographs, AP, private collection, courtesy of Sprüth Magers and the artist, by SIAE 2025

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Rosemarie Trockel, “Elena I & II”, 1993/2025, “Maculata I & II”, 1993/2025, “Mela I & II”, 1993/2025, 2 color photographs, AP, private collection, courtesy of Sprüth Magers and the artist, by SIAE 2025

La radice ‘metodologica o estetica warburghiana, come abbiamo suggerito serpeggiante in molti degli autori in mostra, in alcuni appare più scoperta. Come, ad esempio, nel lavoro di Jochen Lempert (1958, Moers) sui profili dell’Alca impenne, uccello estinto nel 1852: la serie dei 54 profili di esemplari imbalsamati in musei di tutto il mondo (scattata negli anni 1992-2022) rivela, nell’ossessiva ripetizione del medesimo soggetto in bianco e nero, la sempre imperfetta coincidenza tra tipo ideale e variazione individuale, tra la classificazione scientifica e la realtà biologica. Ma il riferimento più diretto al metodo warburghiano è forse rappresentato dall’Atlas di Gerhard Richter (1932, Dresda), un’opera in continua evoluzione che, come l’Atlante Mnemosyne, raccoglie e organizza materiali eterogenei (fotografie, ritagli di giornale, schizzi) in un sistema aperto di relazioni visive. La scelta di includere in questo atlante personale le immagini dell’Olocausto rivela, inoltre, come l’attenzione alla ripetizione e alla variazione possa essere una via di indagine aperta sia all’ambito etico sia estetico.

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Thomas Struth, “The Richter Family 1”, Cologne 2002, C-print, courtesy of the artist

Exhibition view of “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, photo: Roberto Marossi, courtesy Fondazione Prada. Thomas Struth, “The Richter Family 1”, Cologne 2002, C-print, courtesy of the artist

La forza dell’esposizione, per concludere, risiede nella capacità di mostrare, attraverso l’evoluzione della fotografia tedesca del Novecento, la persistenza di un metodo di pensiero per immagini che trova in Warburg il suo teorizzatore più lucido. Dalla botanica di Blossfeldt alla sociologia visiva di Sander, dall’archeologia industriale dei Becher all’esasperata oggettività di Richter, il “principio atlante” warburghiano rivela la sua imperitura fecondità come strumento di conoscenza e di interpretazione del reale. Typologien: Photography in 20th-century Germany invita dunque a ripensare un importante e variegato corpus della fotografia tedesca del Novecento come un grande atlante collettivo, un tentativo di mappare la realtà confrontandosi sistematicamente con la tensione tra ordine e caos, tra tipologia e individualità, tra l’impulso classificatorio e la resistenza del reale a ogni forma di riduzione schematica. Il percorso espositivo, inoltre, impeccabile nella sua atmosfera freddamente coinvolgente, diventa efficace espressione visiva di un metodo conoscitivo, radicato in profondità nella cultura filosofica nazionale, basato sul movimento continuo dello sguardo tra somiglianze e differenze, tra il particolare e l’universale.

Info:

Typologien: Photography in 20 th-century Germany
Artists: Bernd e Hilla Becher, Sibylle Bergemann, Karl Blossfeldt, Ursula Böhmer, Christian Borchert, Margit Emmrich, Hans-Peter Feldmann, Isa Genzken, Andreas Gursky, Candida Höfer, Lotte Jacobi, Jochen Lempert, Simone Nieweg, Sigmar Polke, Gerhard Richter, Heinrich Riebesehl, Thomas Ruff, August Sander, Ursula Schulz-Dornburg, Thomas Struth, Wolfgang Tillmans, Rosemarie Trockel, Umbo (Otto Umbehr) e Marianne Wex.
3/05/2025 – 14/07/2025
Fondazione Prada
Largo Isarco, 2 – Milano
www.fondazioneprada.org


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