«L’allegria può distruggere il sistema perché, al contrario delle nuove venerate divinità rispondenti ai nomi di Produzione e Consumo, essa è limite, è regola interiore, è contentezza di sé e di cose semplici: non per miseria mentale, ma per saggezza». Con queste parole Enrico Baj, giocoliere della contemporaneità, dirige lo spettacolo delle sue opere, ora componenti di una personale a lui dedicata a Palazzo Reale a Milano, visitabile fino al prossimo febbraio. Spettacolo, gioco e riso sono le coordinate attraverso cui Baj opera la parodistica traduzione del proprio tempo in linguaggio artistico. Pannelli esplicativi simili a festoni, coloratissimi e vivaci, accompagnano il pubblico a immergersi nella sua poetica, della quale i momenti più incisivi sono collocati cronologicamente nella grande Sala delle Cariatidi. La scelta dell’ambiente espositivo è già di per sé iconica, in quanto mette in luce le riflessioni più rilevanti del gioco di specchi proposto da Baj.
Due grandi riflessioni prendono vita in questa sala. In primis la distruzione delle bombe della Seconda guerra mondiale, di cui le pareti della sala trattengono i segni, si riflette in potenza nel primo ciclo di opere esposte, inerenti alla pittura nucleare, una pittura che ammicca all’esplosività della materia del mondo. In questa fase Baj vede l’artista come l’unica figura in grado di cogliere il mondo come propulsore di energia, di quell’energia nucleare che ha avuto come esito estremo Hiroshima e Nagasaki. Un irrisolto dualismo tra il progresso della scienza e i soprusi politici, tra il boom economico e le sue derive sociali, dà vita a un tripudio di ansia ed eccitazione, tenute insieme dalla logica dell’assurdo di Baj, alias la patafisica.
Avanzando lungo la stanza, si giunge alla seconda riflessione: il rispecchiamento Baj-Picasso, ben evidente ne I funerali dell’anarchico Pinelli. L’opera si presenta come un puzzle di figure che giocano caoticamente con la vicenda storica raffigurata e molti degli elementi di questo gioco irriverente sono un’esplicita citazione di Guernica. La riflessione tra i due artisti si complessifica se si pensa che Picasso nel 1953 impose come condizione necessaria per l’esposizione a Milano del proprio capolavoro che venisse collocato proprio nella Sala delle Cariatidi, un dettaglio che rende questa stanza un privilegiato luogo di incontro tra due autori che hanno voluto narrativizzare il proprio tempo, apponendo a quella narrazione il filtro dell’arte (nella sua sfumatura più tragica o in quella di una più beffarda ironia). Infine, l’allestimento generale del Palazzo aggiunge un ultimo fattore di rifrazione a questa dinamica di corrispondenze: la porta che conduce a Baj chez Baj sembra voler fronteggiare e spiare dentro a Picasso lo straniero, in mostra nell’ala museale adiacente.
L’artista milanese continua a tessere la sua tela di denuncia satirica con sperimentazioni continue, ma sempre rivolte alla bestialità contemporanea. Tra queste va ricordata Meccano, che Jouffroy definì come un organismo di «caricature coscienti della tecnologia». Grazie alla ripresa dell’aspetto ludico delle costruzioni meccaniche l’autore svela l’illusorietà delle gesta dei moderni, infantili e incoscienti imprese nascoste dietro l’esile dito del superomismo novecentesco. Baj abbraccia così la condizione puerile di divertimento puro proprio perché solo «l’allegria può distruggere il sistema». Su quest’onda il suo mondo patafisico – fatto di puzzle, costruzioni, “giostre tessili” e case di specchi – prende la forma di Mobili, cassetti segreti in cui custodire il principio fanciullesco dello stupore, e infine di Specchi, le opere che sul finire della mostra introducono l’ultimo giocatore mancante alla partita di traduzione artistica del mondo: lo spettatore.
Nei frammenti di vetro ricomposti su velluto e tavola il visitatore entra nel quadro e fa esperienza del proprio doppio: vede un sé riflesso intrappolato nell’opera come sua parte integrante e al contempo un sé libero dall’intrigo dell’arte grazie alla spettatorialità che lo definisce come un osservatore esterno e separato. Il fruitore diviene allora quell’Ultracorpo che Baj dipingeva anni prima e che rappresentava l’intromissione di un corpo estraneo dalle fattezze robotiche e inquietanti all’interno dell’ordine del normale, rivelando ancora una volta la natura conflittuale dell’epoca dei dualismi. Ma è nella traduzione del turbamento in strumento di gioco che risiede il valore ultimo dell’arte di Enrico Baj in cui, come scrisse André Breton, «l’estrema inquietudine d’improvviso si illumina di gioia». La vera eredità delle opere patafisiche, infatti, non è che un nuovo senso di gioia: gioia come sintomo di intelligenza, cioè capacità di essere in sintonia con una realtà ricca di dissapori e contrasti, e non indice di ingenua dissonanza dalla realtà.
Info:
Baj chez Baj
08.10.2024 – 09.02.2025
Palazzo Reale, Milano
Piazza del Duomo, 12 – Milano (MI)
www.palazzorealemilano.it
Laureata magistrale in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, città dove tuttora vive, si è specializzata in estetica e critica del contemporaneo. Frequentatrice del mondo dell’arte e dedita alla ricerca, crede nel potenziale dello sguardo interdisciplinare, che intreccia il pensiero critico, tipico della formazione filosofica, e il potere comunicativo dell’arte di dare forma all’identità in divenire del proprio tempo.
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