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Body of evidence di Shirin Neshat al PAC di Milano...

Body of evidence di Shirin Neshat al PAC di Milano: oltre la cortina del dualismo, corpi senza contraddizione

Spostare una pesante cortina nera per assistere alla storia della separazione. Questo è il gesto con cui si diviene spettatori di Body of evidence, la mostra su Shirin Neshat (iraniana ora stabilitasi a New York) al PAC di Milano, che ci invita a spiare da dietro un tendaggio materiale e metaforico che fa da confine tra il reale delle strade milanesi e il surrealistico scenario delle opere esposte, narranti la cultura iraniana della divisione.

Shirin Neshat, “Rebellious Silence”, dalla serie “Women of Allah”, 1993-1997. stampa ai sali d’argento e inchiostro, courtesy l’artista

Shirin Neshat, “Rebellious Silence”, dalla serie “Women of Allah”, 1993-1997, stampa ai sali d’argento e inchiostro, courtesy l’artista

La proiezione che abita la prima sala (Fervor), infatti, presenta subito il dualismo che silenziosamente dirige gli occhi del visitatore, lontano e cieco rispetto alla cultura con cui sta per relazionarsi. Il video segue gli incontri casuali tra un uomo e una donna, tra cui quello in occasione di un discorso pubblico sulla passione erotica tra i due sessi. La visione si muove su due canali distinti: uno segue la platea femminile e uno quella maschile, oscurati l’una all’altra senza alcuna possibilità di comunicazione o contatto. Ad aumentare il senso di confusione, poi, vi è il discorso del retore che, non riportando sottotitoli, ci è incomprensibile. Eppure, intuiamo che rimarremmo imbrigliati nella totale incomprensione anche se conoscessimo la lingua dell’orazione, tanto siamo distanti dal paradigma sociopolitico che ne fa da sfondo. L’incomprensione di una simile “strettoia” sociale e religiosa, che costringe al limite del desiderio e alla scissione relazionale tra i due sessi, è un importante fil rouge della ricerca di Neshat, che tenta di trascrivere su pellicola il proprio interrogarsi dubbioso verso la terra che le ha dato i natali.

Shirin Neshat, “Fervor”, 2000, stampa ai sali d’argento, copyright Shirin Neshat, courtesy l’artista e Gladstone Gallery

Shirin Neshat, “Fervor”, 2000, stampa ai sali d’argento, copyright Shirin Neshat, courtesy l’artista e Gladstone Gallery

Le sue immagini sono evocative di una domanda, quella sulla cultura della separazione e del proibito, che viene tradotta in un’opera di visibilizzazione. L’artista, infatti, tenta di rendere visibili i moti interiori, nonché le stesse identità, di coloro che non hanno voce politica, di coloro il cui volto nella polis è relegato dietro a una cortina ideologica. Da questo intento nasce la serie Women of Allah, ritratti di donne velate eseguiti dopo il primo viaggio di ritorno di Shirin. Le figure richiamano e talvolta obbligano, data la loro gestualità forte e impositiva (una, per esempio, tiene la pistola puntata contro lo spettatore), a una riflessione sulle contraddizioni culturali accentuatesi dopo la Rivoluzione khomeinista, le quali si ricapitolano nella concezione del corpo femminile come incarnazione di amore, devozione e sacrificio, ma anche odio, crudeltà e violenza. Il titolo dell’esposizione, Body of evidence (corpo del reato), indica nient’altro che quel corpo di donna riportante su di sé i segni di una certa struttura sociale, costruitasi attraverso il dualismo tra il visibile e il non visibile, la forza e la resistenza, l’intelligenza e la scelleratezza. I segni nascosti di questa faccia della storia si fanno visibili nell’inchiostro, recitante testi in farsi di scrittrici iraniane, con cui l’artista copre le uniche parti nude delle Women.

Shirin Neshat, “Body of evidence”, installation view, ph. Nico Covre, courtesy PAC Padiglione d’Arte Contemporanea

Shirin Neshat, “Body of evidence”, installation view, ph. Nico Covre, courtesy PAC Padiglione d’Arte Contemporanea

Questi corpi del reato che Neshat svela e al contempo oscura con la propria arte si trovano sulla balconata del PAC, affacciati sull’altra sponda in cui affondano le radici dell’artista, la Land of dreams degli Stati Uniti, dove la giovane iraniana sceglie l’identità dell’esule. Qui le alte pareti della sala avvolgono il visitatore, inserendolo in un riflesso di sguardi tra le fotografie di decine di statunitensi che hanno messo a nudo, per effetto dell’interrogazione dell’artista, il proprio american dream, trascritto sullo sfondo da cui emergono i ritratti e presentato in un cortometraggio che fa da coronamento all’indagine sul sogno. L’onirico, da contenuto dell’opera, ne diviene lo stile nelle sale adiacenti, in cui sempre più si percepisce la continuità tra abitanti iraniani e statunitensi, assimilati non dal sistema politico né da quello religioso, bensì dalle contraddizioni che soggiogano e insieme animano la condizione umana.

Shirin Neshat, “Land of Dreams”, 2019, still da video. Video installazione a due canali, copyright Shirin Neshat, courtesy l’artista, Gladstone Gallery e Goodman Gallery

Shirin Neshat, “Land of Dreams”, 2019, still da video. Video installazione a due canali, copyright Shirin Neshat, courtesy l’artista, Gladstone Gallery e Goodman Gallery

Oppressione e libertà, bellezza e vulnerabilità, offuscamento e consapevolezza: un dualismo onnipervasivo di cui la separazione tra uomo e donna nel regime iraniano è la prima attuazione. Innescando una sorta di un cortocircuito umano, la compresenza di questi valori opposti rivela un’atmosfera perturbante, che l’artista mette in scena in una prospettiva personale ma mai autobiografica, come nelle opere Turbulent, Rapture e Roja. Se spesso la concezione dualistica è letta come una contraddizione, l’artista iraniano-statunitense offre una chiave visivamente potente per rileggere il dualismo come connaturato alla forma umana e, anzi, come ciò che le dà forma – esattamente come il contrasto tra il bianco e il nero dei suoi scatti realizza il film fotografico.

Info:

Shirin Neshat. Body of evidence
28.03.2025 – 08.06.2025
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro, 14, Milano
www.pacmilano.it


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