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Cecilia Alemani e il suo Projects and Frieze Sound...

Cecilia Alemani e il suo Projects and Frieze Sounds

All’ultima edizione di Frieze Art Fair New York (la quinta negli USA) le avverse condizioni atmosferiche della preview non avevano limitato la partecipazione degli invitati, grazie anche al puntuale servizio di navette e ferry boats che facevano la spola dal centro di Manatthan a Randall’s Island Park abbastanza distante. A vivacizzare il clima, dentro il vasto capannone, contribuiva sicuramente la sezione no profit Projects and Frieze Sounds, curata con impegno, fin dal 2012, dall’italiana Cecilia Alemani: giovane e dinamica signora dell’arte che, dopo gli studi di filosofia e di estetica a Milano, la laurea a Parigi e un corso di arte contemporanea alla Tate Modern di Londra, nel 2003 è giunta a New York per un master in Curatorial Studies al Bard College e, avuta l’opportunità di arricchire il suo curriculum di curatrice indipendente con iniziative qualificanti, non se n’è più allontanata. Nel 2008 è stata prescelta per dirigere lo spazio newyorkese X Initiative; successivamente ha organizzato mostre per il MoMA PS1 e per la Turbine Hall della Tate di Londra. Ora è chief curator di High Line Art, ex ferrovia sopraelevata, riqualificata a spazio pubblico ricreativo-culturale, che attraversa l’area di Chelsea. Nell’aprile scorso è stata nominata art director del Padiglione Italia della Biennale Arti Visive di Venezia 2017 con un progetto che ha avuto il pieno consenso della giuria internazionale. Pur essendo persona disponibile, non fa anticipazioni al riguardo, ma le sue inclinazioni e l’intraprendenza lasciano intuire che esibirà un format tutt’altro che scontato. Con l’attività che va svolgendo a New York dimostra di voler focalizzare soprattutto le “circumstances” in cui si esprimono certi artisti, per lo più giovani e poco inseriti nel sistema dell’arte, senza tuttavia trascurare i fenomeni trasgressivi di derivazione storica. E la lista degli invitati a Frieze Projects 2016 svela quali territori preferisce esplorare. Questi gli operatori visuali che ha presentato con particolari lavori tridimensionali e installativi, performances, audioworks e perfino “clandestine actions”: Giorgio Andreotta Calò (Venezia-Amsterdam), GCC (collettivo del Golfo Arabico), Alex da Corte (Philadelphia), Anthea Hamilton (Londra), David Horvitz (Los Angeles), Liz Magic Laser (New York), Eduardo Navarro (Buenos Aires), Heather Phillipson (Londra) e il nostro Maurizio Cattelan, che merita una speciale trattazione. Su richiesta dell’Alemani egli ha riproposto, per tutta la durata della Fiera, la sua prima mostra negli States alla Daniel Newburg Gallery di Soho, che volle chiudere l’attività con “a young emerging artist from Italy”. Era il 2 luglio 1994. L’artista aveva pensato di abbattere una parete della Galleria per fare incursione nell’adiacente David Zwirner Gallery ma, al rifiuto del titolare di quest’ultima, si vide costretto a modificare il progetto ed ‘espose’ un asinello vivente (che rappresentava la sua inadeguatezza a realizzare le idee) ‘installato’ nello spazio vuoto con un raffinato lampadario di cristallo appeso al soffitto (emblema della ‘sofisticazione’ del mondo dell’arte). La mostra durò solo qualche ora e fu vista da pochi, a differenza della Frieze, dove si formavano lunghe file. Proprio mentre io e mio marito stavamo cercando quello stand, abbiamo incrociato Cecilia Alemani e Massimiliano Gioni, i quali ci hanno accompagnato dove Gabriel (per gli intimi Gabe) – ignaro del suo ruolo di principale attrazione della Fiera – rimaneva impassibile di fronte a chi lo fotografava. Dal guardiano, che lo trattava da vero performer, abbiamo appreso che, oltre ad essere rifornito di fieno e acqua, ogni due ore godeva di un break in giardino, mangiando l’erba fresca del prato, e dopo la chiusura serale veniva ricondotto nella sua stalla, come quando aveva fatto la comparsa ne La Bohème e ne Le nozze di Figaro al Metropolitan Opera House.

Indubbiamente le originali proposte dell’Alemani hanno reso la Fiera meno prevedibile, alleggerendone la tradizionale funzione mercantile, anche se non mancavano artefatti appetibili per i collezionisti. Oltre all’installazione di Cattelan, tra le realizzazioni più propositive e coinvolgenti del settore Projects si faceva notare il grande neonato gonfiabile di Alex da Corte, fluttuante nell’aria del verde Parco, nei pressi dell’entrata nord, ispirato a un carro da parata del film Batman e a un’opera di Philippe Parreno riferita allo stesso film. All’interno, invece, si imponevano l’installazione multimediale in versioni diverse (posizionata in più punti) dell’artista e poetessa Heather Phillipson, che ha immaginato la struttura della Fiera come un enorme midollo spinale umano, dove elementi scultorei, costituiti da parti di corpi di cani, interagivano con video, audio e scritte, articolandosi in un sistema di forme sezionate; il Kar-a-Sutra – elegante macchina progettata dall’architetto Mario Bellini, già esposta al MoMA di New York in una mostra sul design italiano – impiegata da Anthea Hamilton come abitacolo di performer dal volto mascherato di bianco, in pose pose autistiche mutanti, che calamitavano gli spettatoti; le azioni di un gruppo di cinque ragazze – attentamente ‘orientate’ da Eduardo Navarro – che ‘indossavano’ specchi circolari capaci di catturare i mutevoli aspetti del cielo o di sommità in luoghi artificiali. Nei momenti di pausa i materiali usati andavano a formare una statica, sequenziale installazione oggettuale.

Anna Maria Novelli

Cecilia Alemani (courtesy Frieze Art Fair New York)

Alex da Corte, Free Money, 2016 (courtesy Frieze NY, ph Tim Schenck)

Heather Phillipson, 100% Other Fibers, 2016 (courtesy Frieze NY, ph Tim Schenck)


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