READING

Chi è Ai Weiwei? Prova a dircelo la mostra di Pala...

Chi è Ai Weiwei? Prova a dircelo la mostra di Palazzo Fava a Bologna

Un enorme rivestimento in carta da parati ci accoglie mentre si è in fila alla biglietteria o a sbirciare al bookshop di Palazzo Fava. Copre tutte le pareti e tra le tante figure riprodotte in serie sulla superficie spicca un lama che in realtà è un alpaca. “The Animal That Looks Like a Lama but is Really an Alpaca” (2023) è l’opera site specific che introduce alla figura e all’arte di Ai Weiwei, per la prima volta in mostra a Bologna. Ma, se si guarda con molta attenzione, sono raffigurate tante telecamere da controllo stradale (e sociale) che da tempo sono entrate tra le cifre stilistiche non volute dell’artista cinese.

Ai Weiwei durante l'allestimento della sua mostra personale “Who am I?” a Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei durante l’allestimento della sua mostra personale “Who am I?” a Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

La carta da parati è la prima delle oltre cinquanta opere che formano “Ai Weiwei. Who am I?”, l’antologica sull’artista pechinese curata impeccabilmente da Arturo Galansino, che è anche un viaggio tra le sue battaglie per i diritti, la sua resistenza all’onnipotente presenza governativa cinese, le sue mille sfumature di artista, sociologo, testimone, reporter, grazie a un percorso molto coinvolgente fatto di installazioni, sculture, video e fotografie che ne testimoniano la versatile padronanza dell’arte, dei segni, della tecnica, dei materiali. Davvero recente è l’omaggio anch’esso site specific a un artista bolognese storico come Giorgio Morandi: “Still Life (after Giorgio Morandi)”, del 2024, è la prima opera in mattoncini lego in mostra, in una nicchia di fronte allo scalone monumentale che conduce al primo piano. Nella superficie increspata (ma, allontanandoci, diviene sempre più liscia) è riconoscibilissima la tipica normalità morandiana e ci troviamo di fronte a un assaggio estetico dell’abilità compositiva di Weiwei.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Elettra Bastoni, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Mentre si risale lo scalone rinascimentale è bene che il visitatore tenga lo sguardo verso il cielo: la propria testa è sormontata da “Feiyu” (2015), la prima di una serie di sculture-aquiloni volanti in bamboo e seta, raffigurante figure alate leggere e mitiche illuminate dall’interno e ispirate a un antichissimo bestiario cinese. La versatilità di Ai Weiwei, dopo appena tre opere, si svela con la sua forza: carta da parati, brick lego e bamboo con seta sono i materiali, quotidiani e famigliari, che raccontano le moltitudini tecniche che abitano l’atelier dell’artista.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Elettra Bastoni, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Elettra Bastoni, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Le Storie di Giasone e Medea sono il tema di un fregio affrescato da Annibale, Agostino e Ludovico Carracci al primo piano. Davanti al visitatore della mostra, Ai Weiwei lancia la sua potenza cromatica e visiva con le gigantesche opere a parete che riproducono, in mattoncini lego, alcune grandi opere rinascimentali italiane, con l’aggiunta o modifica di un dettaglio dal fortissimo valore simbolico. Da destra verso sinistra, “Estasi di Santa Cecilia (After Raffaello)”, “Atalanta and Hippomenes (After Guido Reni)”, entrambe del 2024, “The Last Supper” (con Ai Weiwei beffardo nel ruolo di Giuda) e “Sleeping Venus with Coat Hanger”, (con una gruccia a simboleggiare la piaga degli aborti clandestini) del 2022. Sebbene uno dei principi della fruizione dell’arte contemporanea (che la differenzia in modo sostanziale dalla fruizione dell’arte classica) sia l’interazione (mentre l’estasi appartiene all’arte più storicizzata), di fronte a cm 342 (altezza) per 684 (base) di Ai Weiwei (ovvero, i due terzi delle dimensioni dell’originale capolavoro leonardesco), si provano entrambe le sensazioni, tale è l’enorme gioco di cromie e manualità spaziale che travolge chi osserva. Applicando un mentale calcolo matematico, si può ipotizzare la presenza di parecchie decine di migliaia di tasselli lego che, con le differenti e necessarie sfumature, si incastrano e si affiancano per rivisitare uno scenario ben conosciuto (come “L’Ultima Cena” leonardesca), riproposto qui in chiave pop davvero luminosissima e centro di un ciclone artistico che ci interroga sulla riproducibilità dell’arte classica (Ai Weiwei è stato a New York da giovane). Completa il salone dei Carracci la presenza di un’altra opera anch’essa gigantesca: “Left Right Studio Material” è un enorme tappeto di porcellana frantumata, tema quello della fragilità e del disfacimento della tradizione, causata dalla modernità, che ritroveremo ancora nel percorso della mostra.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Un grande trittico fotografico occupa la Sala delle Grottesche (e non è casuale questa collocazione). Nella prima fotografia Ai Weiwei tiene in mano un vaso/urna Han, l’epoca dinastica in cui il confucianesimo divenne filosofia ufficiale di stato (con Ai Weiwei occorre sempre stare attenti ai riferimenti storici che sottendono smottamenti politici impercettibili all’occhio occidentale); nella seconda, l’oggetto, ormai liberato dalle mani dell’artista, è in caduta libera; nella terza è frantumato al suolo (in piccolo, come il tappeto di porcellana della sala precedente). Il trittico, “Dropping a Han Dynasty Urn” (1995), è in bianco e nero e alle spalle di Weiwei c’è un inquietante muro in cemento: la tradizione muore e la storia può essere così riscritta.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Elettra Bastoni, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Elettra Bastoni, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Nella Sala di Enea dei Carracci c’è una sorta di miscellanea antologica della creatività artistica di Ai Weiwei, con opere completamente differenti tra loro per materiali e simbologia. Segnaliamo il ritorno del vaso di epoca Han, con la scritta del marchio Coca-Cola in evidenza, che ci invita a riflettere sulle distorsioni che nascono quando le due culture, orientale e occidentale, si incrociano (“Han Dynasty Urn with Coca Cola”, 1995). Oppure la “Therese Dreaming” del 2024, in cui l’artista ripropone con il mattoncino l’originaria sensuale opera di Balthus, aggiungendo, com’è suo stile, il vaso appena descritto con il logo della bevanda a vista. E ancora, sotto teca, la riproduzione del 2005 in porcellana verdognola della celebre Kanagawa, “La grande onda” di Katsushika Hokusai, anche oggetto (non in mostra) di un’opera in lego.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Nella più ridotta Sala di Enea di Bartolomeo Cesi, c’è un unico gigantesco crogiuolo di biciclette dorate. “Forever. Stainless Steel Bicycles in Gilding” del 2013 è un’installazione composta da sei strati di biciclette in acciaio inossidabile dorato brillantissimo. L’opera è un omaggio artistico che richiama la più celebre e vintage casa di produzione ciclistica cinese, la Forever appunto, e la bicicletta è un grande classico del paesaggio urbano cinese, preda ormai di una strabiliante e vertiginosa crescita immobiliare e tecnologica che le rende oggetto della tradizione e ready-made per la fantasia di Weiwei. Nella Sala di Enea, anch’essa riconducibile ai Carracci, Ai Weiwei ripropone una galleria che unisce antichità a modernità, grottesco a sfida. “White Stone Axes”, 450 utensili neolitici in pietra adagiati sul pavimento (opera concepita lungo quasi un decennio, dal 1993 al 2000), sono sormontati a parete da una nuova opera in mattoncini lego raffigurante due tazze da tè. Il contrasto tra le due opere ci rimanda a ciò che la civiltà ha prodotto nel suo evolversi e il confine concettuale tra le due opere è spezzato dalla fotografia audace di una donna che, sollevando la gonna, mostra gli slip. L’audacia di questa foto in bianco e nero (dal titolo molto scarno, “June 1994”) risiede nel luogo in cui è ritratta, il Mausoleo di Mao Tse-tung, monumento fortemente simbolico ai limiti del sacro e sicuramente molto politico nella Cina moderna.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

La sala successiva, anch’essa dedicata all’eroe virgiliano, rafforza la contaminazione artistica della precedente: c’è una “Mona Lisa Smeared in Cream” (2024), raffigurata sia con la tecnica pittorica sia con i mattoncini in lego, che ci mostra la celebre diva leonardiana con la parte del ventre, quella su cui incrocia le braccia, quasi cancellata dalla patina di panna che l’artista cinese ha inteso aggiungere simulando un’azione di ecoattivisti, sotto lo sguardo quadruplice di un classico stile Warhol che raffigura con i mattoncini sé stesso e appunto il suo volto riprodotto quattro volte (“Ai Weiwei Quadruplex”, 2023) e sotto lo sguardo ieratico e buddhista (ma senza cervello) di una sculturina in vetro (“Brainless Figure in Glass”, 2022) che lo raffigura quasi confondendo l’osservatore sull’identità del soggetto scolpito (a metà strada tra Mao e Buddha) e a sottolineare le nostre fragilità attraverso il materiale usato.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Una nuova e magnifica scultura-aquilone volante in bamboo e seta ci accompagna al piano superiore, dedicato pressoché integralmente all’artista declinato nel suo attivismo socio-politico. Profughi, campi di detenzione, una sorta di lunga marcia dei disperati, la guerra, le telecamere di sorveglianza governative, i confini con i reticolati, la figura di Alan Kurdi, l’onda di Hokusai che travolge i migranti: sono tanti i temi e gli eventi riportati su una nuova, gigantesca carta da parati che sembra avvolgere il corridoio del secondo piano. Un progetto fotografico ci viene incontro con un vero dito medio (quello di Ai Weiwei) di disprezzo, riproposto davanti a celebri luoghi di capitali mondiali: è la serie tematica “Lo studio della prospettiva” (gestazione quasi ventennale dal 1997 al 2015), titolo beffardo di una sequenza che ci mostra, a partire dalla Piazza Tienanmen, luoghi e monumenti simbolo di potere nel corso della storia umana (è nei fatti lo stesso gesto di irriverenza di Maurizio Cattelan e visibile davanti all’edificio della Borsa a Milano, opera del 2010).

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Esplode, mettendoci viso, corpo, presenza, voce e anima, l’attivismo di Ai Weiwei nella finale e ricchissima sezione fotografica e video. Impossibile enumerare tutto ciò che ricade sotto lo sguardo fotografico e cinematografico in queste stanze: e, più delle parole, a volte necessariamente robuste, è palpabile il senso di oppressione, a volte evidente a volte più sofisticato, che il governo cinese sta mettendo in atto da decenni sulla quotidianità dell’artista. «Quello è l’unico gatto, tra le decine di gatti presenti in questa casa, che riesce ad aprire la porta di uscita», dice l’artista in un video che è sia intervista sia documentazione del proprio rapporto con le autorità. È una metafora evidente del singolo che, a dispetto della rassegnazione altrui, riesce ad aprire un varco in mezzo al muro elevato davanti alla propria vita. “Ai Weiwei: Never Sorry“ è il titolo del documentario della regista statunitense Alison Klayman (2012, 90’), che pedina l’artista cinese nel suo lungo viaggio di opposizione che lo ha visto testimone della demolizione del proprio studio di Shanghai, in galera per 81 giorni, all’opposizione delle Olimpiadi di Pechino 2008, in prima fila nel raccogliere testimonianze e documenti sottaciuti dalle autorità, in occasione del terremoto del Sichuan del 2008, come sempre minimizzato nei suoi numeri tragici dalle autorità.

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Ai Weiwei, “Who am I?”, installation view at Palazzo Fava, photo Roberto Serra, courtesy Genus Bononiae. Musei della Città

Al visitatore resta tantissimo di questa eccezionale promenade nel cuore della pulsione umana, creativa, artistica di Ai Weiwei: un po’ come camminare a piedi nudi nel maestoso tappeto di cento milioni di semi di girasole di porcellana realizzati a mano da un migliaio di artigiani provenienti dalla città di Jingdezhen, capitale di questo tipo di lavorazione, che rischiano la perdita del lavoro a causa della forzata e rapida modernizzazione imposta dalle autorità centrali e che sono stati in mostra, come installazione site specific, alla Tate Modern londinese nel 2011. La mostra è accompagnata dall’omonimo catalogo edito da Sillabe Editore.

Info:

Ai Weiwei. Who am I?
21/09/2024 – 4/05/2025
Palazzo Fava
Via Manzoni, 2 – Bologna
www.genusbononiae.it


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.