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Cosa vedere a MiArt 2019

Cosa vedere a MiArt 2019

Apre oggi al pubblico dopo la preview su invito di ieri la 24esima edizione di MiArt, visitabile dal 5 al 7 aprile al Padiglione 3 di Fieramilanocity, anche questa volta affiancata da un ricchissimo palinsesto cittadino consultabile al sito sito www.milanoartweek.it. La fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano, diretta per il terzo anno consecutivo da Alessandro Rabottini, propone un percorso diviso in 7 sezioni per presentare 185 gallerie (di cui 75 internazionali) che si confronteranno con il motto hold everything dear (abbi cara ogni cosa), titolo di un poema di Gareth Evans, curatore della Whitechapel Gallery di Londra. La frase è allo stesso tempo una constatazione dell’apprensione con cui l’arte guarda alla realtà e un invito all’attenzione tout court, in un’epoca in cui la compresenza conflittuale di poetiche e stili differenti rispecchia lo spaesamento dell’individuo di fronte alle contraddizioni della contemporaneità.

Tra le questioni più urgenti spicca il tema del consumismo, a cui rimanda ad esempio l’installazione di Jon Kessler (Edoardo Secci), processione circolare realizzata di statuine da presepio e altri feticci kitsch altrimenti destinati alla discarica ironicamente controllati da uno smartphone installato su un bastone per selfie. Al fenomeno dell’over produzione allude anche Erratum, emozionante allestimento di Latifa Echakhch (Galleria Kaufmann Repetto) realizzato con i cocci colorati di centinaia di bicchieri da tè frantumati. La distruzione violenta di questi oggetti e il fatto che in realtà si tratti di scadenti riproduzioni in serie dei calici tradizionali del Marocco, Paese d’origine dell’artista, aggiunge la questione della crisi delle culture locali nel mondo globalizzato.

In qualche modo collegata a quest’aspetto è la fascinazione per una natura di volta in volta percepita come utopica, artificiale, ambigua o sfuggente. A questo proposito è notevole il dialogo tra le opere di Giovanni Kronenberg e Florian Roithmayr nello stand di Renata Fabbri: il primo presenta prelievi di elementi naturali rielaborati secondo la filosofia del minimo (ma decisivo) intervento, mentre il secondo osserva il modo in cui le reazioni fisiche e chimiche nate dall’interazione tra materiali artificiali, come ad esempio l’iniezione di poliuretano espanso nel gesso, producano forme dall’aspetto ingannevolmente biomorfo. Federico Tosi (Monica de Cardenas) crea suggestivi fossili in cemento che sembrano prefigurare un lontano futuro postatomico, mentre Namsal Siedleck (DVIR gallery / Magazzino) protegge piante cactacee già inumate in preziosi involucri argentati. Anche rappresentazioni a prima vista molto classiche, come i fiori pornografici in technicolor dipinti da Marc Quinn (Galleria d’Arte Contini) o i suggestivi paesaggi fotografici di Elger Esser (Alessandra Bonomo) stampati su foglia d’argento ramata, sottintendono una natura irrimediabilmente adulterata e asservita all’estetica umana. Alla natura come metafora di tenacia e resistenza rimanda invece la scultura di Ariel Schlesinger (Galleria Massimo Minini), un ramo in bronzo che alimenta e custodisce un’inesauribile fiamma ardente.

Nell’epoca dell’istantaneità e dell’ubiquità telematica la perdita di memoria storica e di punti fermi spaventa: su questo riflettono gli archivi di Lucia Tallova (Soda Gallery), che cataloga con metodo storiografico ricordi personali e altrui in stranianti allestimenti architettonici, e gli assemblaggi concettuali di Farah Khelil (Officine dell’Immagine) che fanno implodere dispositivi di conservazione del sapere tradizionali e tecnologici in oggetti al tempo stesso densi e rarefatti. Le intricate installazioni di Chiharu Shiota (Mimmo Sconamiglio) interpretano la reminiscenza come viscerale tensione tra presenza e assenza, mentre Franco Guerzoni (Studio G7) nelle Archeologie interpreta il passare del tempo come stratigrafica sovrapposizione di materiali.

Se la memoria è labile anche l’identità si fa sempre più camaleontica: sulle infinite variazioni del sé ha improntato tutta la sua poetica Urs Lüthi (Otto Gallery) e sulla sfacciata esibizione di un’identità di genere ambigua si giocano le gigantografie di Ulay, protagonista (questa volta senza Marina) dello stand della galleria Richard Saltoun. Di impronta più fredda ma non per questo meno coinvolgente il lavoro di Yves Scherer (Gallleriapiù) che combina ricordi della sua vita privata, fan fictions e celebrity culture in intriganti dispositivi voyeuristici. In fiera l’artista presenta un clone di sé bambino (realizzato con stampante 3D a partire da vecchi filmini di famiglia) mentre gioca su una sensuale moquette color carne sotto lo sguardo vigile di Kate Moss sotto teca.  La ricerca dell’identità nella frammentazione e nell’analisi può essere un suggerimento per guardare sia i monumentali autoscatti di John Coplans (P420) sia le concettualizzazioni ambientali di Vasilis Papageorgiou (UNA) che riflette sull’essenza dei luoghi di aggregazione con raffinatissime decostruzioni e astrazioni.

Non mancano citazioni della storia dell’arte del passato, come nelle intriganti still life di Keith Edmier (Mimmo Sconamiglio), che materializza sotto forma di scultura alcune composizioni floreali presenti in celebri quadri della pittura italiana seicentesca. O nella scultura luminosa di Bethan Huws, (Vistamare) che riprende lo Scolabottiglie di Duchamp. Tutte le fasi storiche di passaggio generano incertezza nel mercato e per questo gli artisti si interrogano sullo statuto dell’opera: Simon Linke (Thomas Brambilla) riproduce con una pittura pastosa e sensuale le pubblicità su Artforum di alcuni suoi colleghi di successo, l’Untitled di Henrik Olesen (Cabinet), è una scultura formata da una teca espositiva vuota, mentre Edson Luli in This is not the artwork (Prometeogallery) ipotizza il valore di uno statement avvolto dal cellophane.

In mancanza di indirizzi artistici predominanti molti collezionisti scelgono di affidarsi ai maestri già stabilmente consacrati da aste e mostre museali che sono riusciti negli anni a far evolvere le loro poetiche per rimanere aderenti all’attualità. Un caso emblematico è David Hockney (Lelong & Co.), l’artista vivente più pagato al mondo – lo scorso novembre la tela Portrait of an Artist (pool with two figures) del 1972 è stata battuta all’asta per 90,3 milioni di dollari. – Erede della grande tradizione avanguardie e ostinato sostenitore della centralità della pittura attraverso un’ininterrotta ricerca che include anche i nuovi media, presenta in fiera una serie di grafiche a colori realizzate con l’Ipad.  Anche tra i giovani si nota un significativo ritorno all’arte figurativa, senza più separazione tra mezzo analogico e tecnologico: se anche Ed Atkins (Cabinet), guru dell’arte digitale, non disdegna l’inchiostro e il foglio di carta per dipingere le sue visioni fantascientifiche, capiamo quanto il figurativo stia tornando in auge. La conoscenza delle tecniche tradizionali va di pari passo con la capacità di reinventarne i linguaggi e di sperimentare contaminazioni tra le pratiche, come insegna Michelangelo Pistoletto che aggiorna i personaggi serigrafati sui suoi specchi ritraendo una famiglia di turisti sorpresi nell’atto di scattarsi un selfie (la cui immagine si sovrapporrà a quella dei tanti visitatori che si fotograferanno nelle opere del maestro).

Segnaliamo per concludere due stand dall’impronta museale: quello di Hauser & Wirth dedicato a Paul McCarthy, le cui angoscianti visioni operano una critica impietosa del sistema dei valori dominanti nel mondo occidentale attraverso simbologie freudiane legate al sesso e al cibo, e quello di Massimo de Carlo con l’installazione pop-kitsch di Rob Pruitt, ambiguo mercante di delizie apparentemente innocenti che nascondono una critica impietosa delle mistificazioni della società contemporanea. Anche nel 2019 MiArt, che qualche anno fa attraversava una profonda crisi, si conferma un appuntamento di primo piano per il pubblico italiano e internazionale. Il coinvolgimento di curatori giovani e competenti e il cambio di orientamento dell’Ente Fiera che ora punta con decisione sulla manifestazione in termini d’investimento ha permesso di radunare quasi tutte le migliori gallerie italiane nel settore contemporaneo e alcune star internazionali le cui scelte influenzano in modo determinante il mercato.

Info:

www.miart.it

Lucia Tallova (Soda Gallery)

Farah Khelil, Historie en flottaison, 2018 papier maché (Histoire de l’art – Ernst Gombrich), piano cord, acrylic

Chiharu Shiota, State of being (photographs), 2018 struttura metallica, filo, fotografie (Mimmo Sconamiglio)

Urs Lüthi, Selfportrait as Kafka at the time he wrote his novel the Metamorphosis, 2014 aluminium cast on wooden base (Otto Gallery)

Urs Lüthi, Selfportrait as Kafka at the time he wrote his novel the Metamorphosis, 2014 aluminium cast on wooden base (Richard Saltoun)

Keith Edmier, Still life of flowers with silver pitcher (Andrea Belvedere 1652-1732), 2018 acrilico dentale, poliuretano, pittura acrilica, maiolica (Mimmo Sconamiglio)

Bethan Huws, Tour, 2007 tubo di vetro bianco con gas argon neon montato su Perspex (Vistamare)

Simon Linke, Joel Shapiro at Pace London, 2017 oil on canvas (Thomas Brambilla)

Henrik Olesen, Untitled 2, 2019, glass, glue, metal brackets (Cabinet)

Edson Luli, This is not the artwork, 2019. Inkjet print on cotton paper, PVC translucent (Prometeogallery)

Jon Kessler, Exodus, 2016 Trunk, wood, aluminium, rubber wheels, found figurines, iPhone with selfie stick, LCD screen and motor (Eduardo Secci Contemporary)

Latifa Echakhch, Erratum, 2004 broken glasses site specific installation adaptable dimensions(Galleria Kaufmann Repetto)

Giovanni Kronenberg (Renata Fabbri)

Federico Tosi (Monica De Cardenas)

Namsal Siedleck, Cactacee, 2017, cactus, nickel (DVIR gallery Magazzino)

Marc Quinn, The slopes of Mount Abu, 2010 oilon canvas (Contini)

Elger Esser (Alessandra Bonomo)

Ariel Schlesinger, At arm’s length II, 2017 – Alluminio sabbiato, olio per lampade, fuoco (Massimo Minini)

Yves Scherer, Boy, 2019 (Gallleriapiù)

John Coplans, Knees with Fist, Side View, 1984 gelatin silver print (P420 Arte Contemporanea)

Vasilis Papageorgiou (UNA galleria)

David Hockney, 4 Blue Stools, 2014 Montage photo imprimé sur papier et monté sur aluminium (Lelong Co.)

Ed Atkins, Untitled, 2019, ink and acrylic on paper (Cabinet, London)

Michelangelo Pistoletto, Selfie – La Famiglia, 2018 (Galleria Continua)

Rob Pruitt, YOU + I (Massimo De Carlo)


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