Davide Skerlj. Opere fuori mercato

Davide Skerlj, nato a Trieste, ha studiato  all’Accademia di BB.AA. di Venezia e all’Hot Wood Arts di Brooklyn. Il suo lavoro è rappresentato dallo Studio Tommaseo.

Le tue sono opere fuori dal mercato: perché?
Non sempre vedo nell’opera un prodotto obbediente alle leggi di mercato, anche se è interessante osservare come alcuni artisti giochino in questo senso all’interno del sistema. Considerando la fragilità dell’equilibro tra multinazionali e governi, le nuove forme di comunicazione e relazione tra le persone (social network), una nuova percezione della solitudine in un mondo sovrappopolato e l’influenza della finanza sulla vita di persone e nazioni, forse il termine mercato è da rivedere, così come la sua regia. Ho l’impressione che il mercato tenda a limitare la libertà di scelta proponendo dei menù fissi. E perché dovrei limitarmi a un menù unico e tra l’altro indotto, se c’è dell’altro al di fuori di esso da poter sviluppare?

Allora, cos’è che ti interessa e ti motiva?
Credo in quel genere di opere la cui origine sia anche visionaria e non necessariamente di immediata lettura, opere che possono anche richiedere del tempo e dell’attenzione per essere sperimentate, interpretate o digerite, come certi lavori di Vito Acconci rispetto alla produzione di Andy Warhol: c’è un fine differente tra un processo e una produzione all’interno di un sistema economico. Ma ancora di più mi interessa quel genere di opere sfuggite alle categorie della grande storia e che sviluppano altre narrazioni, un genere che può appartenere anche a culture marginali, anonime, invisibili: qualcosa di più antico, enigmatico, lontano dalla logica dei souvenir.

Tu sei un artista per vocazione o per diritto di nascita?
Forse sono solo un osservatore senza uno sguardo lungimirante sulle cose: devo arrivare a un incrocio per scegliere dove andare. E non trovare un incrocio sarebbe  noioso. Davanti a un incrocio hai intanto da identificarti in una delle strade, poi decidi se passare sulle strisce pedonali o attraversare al di fuori del percorso prestabilito.

Il tuo istinto ti spinge a lavorare attraverso più generi espressivi. Allora quale segno caratterizza il tuo lavoro?
Il punto che unisce tutta la mia ricerca è il corpo; il corpo come persona e le sue sfaccettature e peculiarità: irripetibilità, esperienza, esistenza, memorie, emozioni… e i diversi modi per mangiarsi le unghie…

Potremmo definire il tuo lavoro come una specie di sfida alla contemporaneità?
Forse ho solo il desiderio di approfondire. Inoltre, per trasgredire, ci vorrebbero delle regole, ma le regole sono imposte dalle élite, quando invece i protagonisti sono le persone. Forse per questo siamo incapaci di progettare cultura e svilupparla attraverso incontri, dialoghi, ricerche e accordi. Un’élite non dovrebbe potersi appropriare dell’espressione degli individui e di un sentimento collettivo.

Come vedi il sistema Italia e come ti collochi al suo interno?
Vedo che siamo molto legati alla pittura. Forse mi sbaglio ma mi pare che non ci siamo ancora ripresi dalla vittoria di Rauschenberg alla Biennale del ‘64, vittoria sostenuta e favorita dal trio arte-mercato-politica. Cioè, da una parte la tradizione secolare e la continuità, ad esempio Giorgione e Tancredi, dall’altra una tradizione neonata: ma in compenso un peso economico e politico internazionale e molto attuale.
Quanto a me, in Italia porto avanti collaborazioni con spazi no-profit e associazioni (nella mia città ad esempio con Trieste Contemporanea) e osservo con curiosità la nascita di organizzazioni, gruppi, situazioni che favoriscono strategie collettive culturali ed estetiche in trasformazione. Sono meno incuriosito dai luoghi tradizionali dell’arte come le gallerie e i musei.

E il tuo progetto più recente?
Il video Passaggio obbligatorio, realizzato per la mostra TRIESTE, che era uno degli eventi di Architekturesommer 2018, al Palais Thinnfeld di Graz. La mostra, curata da Giuliana Carbi e Michael Petrowitsch, è nata da una collaborazione tra Trieste Contemporanea e Haus der Architektur Graz e ospitava sei autori, tra cui il sottoscritto, chiamati a esprimere i temi di spazio e identità.

Come hai vissuto quest’esperienza?
Bene, perché ho rivisto ancora una volta l’opera Murinsel di Vito Acconci.

Progetti per il futuro?
Sto partecipando all’ideazione di Endemics 2, un progetto  site-specific che si dovrebbe realizzare a Città del Messico e che è ancora in fase embrionale. Il progetto parte dal presupposto di dare voce alle comunità marginali isolate e in situazioni di degrado.

Davide Skerlj“Passaggio obbligatorio ( il pesce e il flauto)” 2018, frame da video, 4’ 11”, esposto alla mostra “Trieste”, Palais Thinnfeld – Haus der Architektur, Graz

“Passaggio obbligatorio ( il pesce e il flauto)” 2018, frame da video, 4’ 11”, esposto alla mostra “Trieste”, Palais Thinnfeld – Haus der Architektur, Graz

“La prima  Impermanenza” 1992/93, cranio, gomma/lattice. Opera esposta nel 2016 a “La fine del nuovo”, a cura di Paolo Toffolutti, SMO, San Pietro al Natisone


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