Se è vero che il titolo dice tanto di un film, DECUMANO MAXIMO sintetizza perfettamente la narrazione cinematografica di Alessio Consorte, che continua a recepire il favore del pubblico in ogni presentazione nelle varie città italiane. All’origine il “decumano” è una delle due linee – in particolare quella est-ovest – con cui il sacerdote dell’antica Roma (l’augure), erede diretto dell’aurispicina etrusca, nella pratica di riti augurali, divide in quattro parti il templum celeste e quindi quello terrestre, diventando successivamente uno dei due assi perpendicolari con cui i gromatici e i castrorum metatores ripartiscono in quattro parti una città di nuova fondazione, un territorio coloniale o un accampamento militare.
Il docu-film di Consorte racconta l’espansione di Roma nei territori italici nel I sec. a.C. con una prospettiva originale e innovativa, che è quella delle popolazioni dislocate nelle zone centro-orientali della penisola. Il “decumano” non è solo la via fisica di collegamento tra Roma e le zone territoriali orientali, bensì anche la linea continua immaginaria che è sancita da un’attività espansionistica densa di colpi di scena militari e sociali, con una direzione narrativa opposta – da ovest verso est, anziché da est verso ovest – rispetto a quella tradizionale degli storici latini e degli studiosi che si sono avvicendati sulla materia fino ai giorni nostri.
Non è celebrata la grandezza di Roma, bensì l’audacia e il valore militare delle popolazioni assoggettate, con un’inversione di prospettiva di osservazione, che rende la pellicola innovativa nel suo genere per l’approccio di analisi delle tematiche di riferimento. La guerra sociale è l’insurrezione antiromana degli alleati italici divampata nel 91 a. C. in seguito all’assassinio di M. Livio Druso, incline al riconoscimento dei loro diritti. L’obiettivo non è distruggere lo stato imperiale, che ha nell’unità romano-italica il suo fondamento, bensì salvaguardare la propria indipendenza da Roma, che rinnega un passato di condivisione di azione e strategia militare, nella convinzione – successivamente dimostratasi infondata – che Romani, Latini e Italici costituiscano un solo popolo, con un’equa ripartizione di diritti. L’insurrezione viene indetta da popolazioni unite quasi in forma confederale.
Le città del Piceno iniziano il movimento scambiandosi ostaggi e facendo strage dei Romani di Ascoli, uccidendo anche il proconsole Servilio (91 a. C.). Il movimento si estende: le tribù marsiche, sabelliche, picenti al nord, le tribù osche, sannite, lucane al sud si organizzano in una forma federativa centralizzata, con capitale in Corfinio, cui viene dato nome Italica e che, in antitesi a Roma, ha due consoli, il marsico Pompedio Silone e il sannita Papio Mutilo, un senato e un’organizzazione militare e politica foggiata su quella romana. Roma mette in campo dieci nuove legioni, arruola coorti di provinciali iberici, galli e africani, ed anche i liberti. I migliori generali romani, fra cui Mario e Silla, assumono i comandi nei varî fronti.
Pompeo Strabone, Rutilio e lo stesso Gaio Mario sono sconfitti, ed il governo è costretto, nel 90 a. C., a concedere la cittadinanza agli alleati che restano fedeli, e a quanti abbandonino la lotta per sottomettersi (89 a. C.); ai Celti della Gallia Cisalpina viene concesso, per farli astenere dal conflitto, il diritto latino. I nuovi cittadini entrano a far parte di dieci tribù da aggiungersi alle tradizionali trentacinque, con una scarsa reale possibilità di partecipare al governo dello stato, anche se ammessi al godimento di tutti gli altri diritti dei cittadini romani. Roma è abile a minare, grazie a tali tempestivi provvedimenti, le motivazioni belliche degli alleati italici, con la conseguenza che lentamente la guerra comincia declinare. Già al principio dell’89 Pompeo Strabone vince ad Ascoli e nell’88 Lucio Cornelio Silla, console con Pompeo Rufo, riesce a costringere i Marsi alla resa.
Il docu-film di Consorte ricostruisce sapientemente i vari eventi con dovizia di nomi, citazioni, inserti accademici blasonati, spezzoni di fiction, fumetti animati, magnifiche panoramiche dai droni dei luoghi delle battaglie e delle fortificazioni. Lo spettatore difficilmente riesce a distrarsi dalla narrazione, che è serrata e mai retorica, con sintesi recitate da una maschera narrante quasi fuori dal tempo, inserite ad hoc. La fotografia è notevolmente curata, con un avvicendamento di chiaro-scuri e prospettive di osservazione, che presentano i territori abruzzesi con angolature e cromatismi in gran parte sconosciuti a tanto pubblico originario di quei luoghi. La narrazione ha almeno due fili conduttori paralleli, accostati a chiasmo, che rendono spesso trasparente il parallelismo semiologico.
Da un lato c’è la valorizzazione dei territori di riferimento, in termini di ricostruzione storico-identitaria di evidente indirizzo filo-italico, con un focus sull’organizzazione e la strutturazione delle fortificazioni militari e degli insediamenti urbani, analizzati anche a livello archeoastronomico da parte di studiosi, che argomentano de qua nella pellicola. Dall’altro c’è l’asciutta disamina dei fatti bellici, con una stringente consecutio temporum, in cui le porzioni di fiction, le immagini geografiche di sintesi, i fumetti più o meno animati, gli interventi in video degli storici, i commenti della maschera parlante, gli aneddoti più o meno probabili, tesi a minare alcune verità sedimentate nella storiografia di riferimento (vedasi il Guerriero di Capestrano), costituiscono un fascio di linee narrative parallele, ognuna supportata da un differente linguaggio creativo, che dialoga con tutti gli altri, ottenendosi un “tutto” armonico, che quasi assume una connotazione espressiva artistica originale rispetto ai relativi driver fondanti.
DECUMANO MAXIMO è un docu-film che edifica culturalmente lo spettatore e lo intrattiene grazie a un viaggio affascinante in epoche temporalmente lontane, ma in realtà tanto vicine e attuali per le dinamiche di comportamento umano e sociale, che nella storia dell’umanità si ripetono inesorabilmente.
Marco Eugenio Di Giandomenico
(Critico d’Arte Contemporanea)
Cinta di Collebrincioni, dal film Decumano Maximo (2019) di Alessio Consorte
Cinta di Roio, dal film Decumano Maximo (2019) di Alessio Consorte
Colle della Battaglia, dal film Decumano Maximo (2019) di Alessio Consorte
Il Giuramento degli Italici, dal film Decumano Maximo (2019) di Alessio Consorte
Scena di battaglia, dal film Decumano Maximo (2019) di Alessio Consorte
Il Toro incorna la Lupa, dal film Decumano Maximo (2019) di Alessio Consorte

Marco Eugenio Di Giandomenico è scrittore, critico dell’arte sostenibile, economista della cultura, titolare di prestigiosi incarichi accademici presso università e accademie di belle arti italiane ed estere tra cui l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e l’ARD&NT Institute (Accademia di Belle Arti di Brera e Politecnico di Milano), creatore e curatore di mostre artistiche ed eventi culturali in Italia e all’estero. Per le sue attività è stato insignito di svariati premi e riconoscimenti, soprattutto con riferimento alla teoria della “sostenibilità dell’arte”, di cui è riconosciuto tra i principali assertori a livello internazionale.
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