Dongdaemun Design Plaza

La Regina delle Curve è il soprannome dato a Zaha Hadid, architetto e designer di origine irachena, nata a Baghdad e poi naturalizzata britannica, dal prestigioso Guardian di Londra.

Mai epiteto fu più consono: lei, l’Archistar che liberated architectural geometry, giving it a whole new expressive identity (M.Kimmelman,  “Zaha Hadid, Groundbreaking Architect, Dies at 65”, The New York Times, 31 March 2016). Un genio, uno fra i massimi esponenti della corrente decostruttivista.

Una grande personalità, puro talento, purtroppo venuta a mancare nel marzo del 2016, a soli 65 anni.

Dongdaemun Design Plaza (DDP), a Seoul,  è uno dei suoi lavori più iconici e stupefacenti, incastonato, in perfetto equilibrio, pur nel contrasto fra antico e moderno e nonostante le immancabili critiche pre e post realizzazione, nella piazza  antistante l’Heunginjimun, la Porta Orientale, grande tesoro culturale della Corea, uno dei quattro ingressi  che permettevano l’accesso alla parte fortificata della città.

Il progetto (costato complessivamente circa 450 milioni di dollari USA e realizzato in collaborazione con lo Studio Coreano Samoo Architects & Engineers), iniziato nel 2009 e inaugurato nel 2015, occupa lo spazio che era, fino al 2007, dello Stadio Polifunzionale Dongdaemun. Durante i lavori di costruzione sono venuti alla luce i resti, ben conservati, di una Piazza d’Armi risalente al XVI secolo. Resti spostati e ricollocati poi all’interno del Parco Dongdaemun.

Il complesso, sin da subito, è diventato una delle grandi attrattive turistiche della capitale. Già nel primo anno oltre 8,5 milioni di visitatori e un flusso costante negli anni successivi di circa 6 milioni, attirati dalle forme futuristiche del complesso e dalla qualità degli eventi che, periodicamente, vi si tengono.

Il DDP si sviluppa su otto piani (di cui quattro interrati) per una superficie di quasi 87.000 mq: un susseguirsi di gallerie espositive, sale convegni, un Museo del Design, un centro educativo, una biblioteca, un “mercato del Design” aperto 24 ore su 24, che ne fanno l’ottimale catalizzatore della vita culturale e sociale della capitale (non mancano bar e ristoranti) e un perfetto incubatore per la creatività e lo scambio di idee.

Zaha Hadid ha lavorato focalizzandosi sul concetto di “paesaggio metonimico” (ossia nel creare un qualcosa che descriva, in maniera indiretta, l’essenza del luogo per il mezzo di un paesaggio dedotto, creato attraverso l’integrazione concettuale dei suoi aspetti storici, culturali, urbani, sociali ed economici).

In altre parole, il Simbolo invece che la cosa designata, il Contenente al posto del contenuto, l’Astratto per il concreto.

Il Parco, di oltre 30.000 mq, che occupa anche il tetto della struttura, reinterpreta i motivi del tradizionale giardino coreano.

La struttura dalle superfici ondulate e fluide, lunga ben 280 metri, sembra galleggiare sul suolo, come se cemento, alluminio, acciaio e pietra, pur nella loro solidità evidente, non avessero più peso. Sensazione che, col far della sera, diviene ancora più evidente allorquando i circa 40.000 pannelli microforati che la rivestono, la cui texture richiama antiche decorazioni tipiche del posto, fanno trasparire la luce dall’interno, creando una magistrale, per non dire miracolosa, completa dematerializzazione dell’insieme.

Gli interni (resina acrilica, piastrelle acustiche, fibra sintetica, acciao lucidato e pietra), dal canto loro, acuiscono viepiù questa sensazione. Leggerezza e astrazione, in un vapore metallico che delicatamente ti avviluppa: quasi un totale estraniamento. Quasi un’esperienza mistica.

La Costruzione è per tener su: l’Architettura è per commuovere, diceva Le Corbusier. Come dargli torto?

Ci si perde, facilmente e volentieri, nel bianco dominante e pulito di queste curve e spirali, ampie e morbide, che incessantemente si susseguono come in un magico racconto. Una favola per sempre, dai tanti inizi e da nessuna fine.

Zaha Hadid

Per tutte le immagini: Zaha Hadid, Dongdaeum Design Plaza, Seoul, Corea, foto di Angelo Andriuolo


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