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Francesca Piovesan si racconta per Narcisi Fragili

Francesca Piovesan si racconta per Narcisi Fragili

Inaugura domani a Milano la mostra Narcisi Fragili, promossa all’interno del Palinsesto “I Talenti delle donne” del Comune di Milano da Cramum e Superstudio e realizzata negli spazi di My Own Gallery a cura di Sabino Maria Frassà. La collettiva parte da cinque artiste donne per andare al di là dell’idea di genere, raccontando da diverse prospettive la precarietà dell’esistenza umana e la fragile bellezza dell’immagine nella società contemporanea. Non a caso Narcisi Fragili è stata ispirata dalla celebre frase di Virginia Woolf: “Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità”. Il curatore ha scelto artiste note per “aver trasformato la materia in pensiero”. Laura de Santillana, ultima erede della “dinastia” dei vetri Venini che dopo essere diventata direttrice artistica, vendette le aziende di famiglia per dedicarsi completamente all’arte, lavora con crepe e spaccature che assumono il valore di cicatrici, positivo segno di un’esperienza acquisita; Daniela Ardiri, indaga l’evoluzione sociale del nostro Paese partendo dalla memoria intesa come rimanenza di ciò che è stato, mentre Flora Deborah esplora il significato del bello al di là delle apparenze, trasformando in opera d’arte organi e viscere di esseri viventi di diverse specie. Giulia Manfredi attraverso le sue sculture “vive” si accosta con una sensibilità che potremmo definire barocca al tema della difficile convivenza tra vita e morte, mentre Francesca Piovesan, con la quale abbiamo parlato della mostra e del suo percorso artistico, realizza mappe fotografiche di corpi che cercano di rappresentare l’essenza dell’umanità nell’ossessiva scomposizione e analisi dei suoi frammenti.

Negli ultimi anni le donne sono sempre più presenti sulla scena politica, culturale e sociale, ma non ancora abbastanza in quella artistica, sia dal punto di vista delle percentuali nettamente inferiori di artiste donne presenti nelle collezioni private e nei musei rispetto artisti maschi, sia dal punto di vista della quotazione delle opere. Quali riflessioni ha suscitato in te l’invito a partecipare a una mostra programmaticamente femminile?
Sono prima di tutto una persona e in secondo luogo una donna. Sono anche un’artista e lascio parlare di questi temi chi ha competenze per farlo.

Quali aspetti della poetica delle altre artiste presenti in mostra pensi possano maggiormente dialogare con le tue opere? Quanto è importante per te il confronto tra “colleghi” che si instaura in occasione di una mostra collettiva?
Solitamente in una mostra collettiva “dialogo” prima con le opere e poi con gli artisti che le hanno create. Uno dei momenti che preferisco è il dietro le quinte di una mostra: in fase di allestimento spesso osservo da lontano gli altri artisti muoversi nello spazio, prendersi cura delle proprie opere in modo meticoloso, credo ci sia sempre qualcosa da imparare da tutti i colleghi, anche da quelli che sembrano avere una poetica molto distante dalla mia. A ogni mostra e a ogni confronto si aggiunge un tassello e un nuovo punto di vista anche sul proprio lavoro. Ho la fortuna di conoscere le artiste in mostra perché siamo accomunate dal progetto cramum, quindi è bello in questa occasione scoprire anche l’evoluzione del loro pensiero creativo e il modo in cui fanno crescere il loro lavoro. L’artista che più mi affascina è Laura de Santillana, soprattutto perché era un’artista processuale: ammiro il modo con cui riusciva a indagare la materia e la tecnica cercando di spingersi quasi al di là dei limiti fisici. È poi stata in grado di giocare e vivere l’ambiguità dei nostri tempi andando al di là degli schematismi e delle definizioni di arte, scultura e design.

Il tuo lavoro, che ha per oggetto e strumento di indagine il corpo umano, si è imposto all’attenzione della critica per la perturbante vicinanza al concetto di “tabù”: spesso di fronte alle tue opere si ha la percezione di vedere impronte di scheletri, maschere mortuarie o frammenti di mummie, tutti elementi emotivamente “scomodi” per l’osservatore. Quali processi utilizzi per realizzare queste singolari impressioni di corpi?
Da anni utilizzo la pelle come strumento di lavoro in termini materici: sebo e sali presenti sulla pelle sono elementi che concorrono nel processo chimico che dà origine alle immagini che creo. La pelle che restituisco in termini di immagini per me è prima di tutto un materiale. Prelevo impronte di corpo attraverso nastro adesivo o lastre di vetro per poi svilupparle attraverso l’utilizzo del nitrato d’argento, elemento che accomuna antiche tecniche di sviluppo fotografico, il rilevamento di impronte digitali nell’800 e la realizzazione degli specchi veneziani. Da questo elemento comune sono nati i lavori degli ultimi anni, dai primi esperimenti con il nastro adesivo alla realizzazione degli specchi in collaborazione con gli artigiani muranesi.

L’essenza della fotografia è trasfigurare e rendere in qualche modo universale un attimo o un’immagine altrimenti destinata a fluire nell’oblio, mentre i riflessi delle cose sulle superfici specchianti restituiscono senza nessuna mediazione rappresentativa un’immagine che non permane. Come si intersecano queste due suggestioni nel tuo lavoro?
Le impronte intrappolate nella sottile argentatura dello specchio creano una sorta di cortocircuito in cui la traccia di un gesto perduto permane in una superficie abitualmente non rappresentativa. Ogni specchio che creo è un incontro tra l’io e l’altro, è un luogo di relazione mutevole, sede di un continuo fluire di immagini e contesti. È presente l’elemento fotografico nel concetto di bloccare un attimo, ma penso allo specchio come alla mia pelle, un confine naturale tra mondo interno e mondo esterno, una superficie di incontro dove i significati si creano dalla mutevole convivenza tra le tracce e il fluire del mondo esterno.

Il concetto di “traccia” e di “impronta” in riferimento al corpo fisico è da sempre il filo conduttore della tua ricerca artistica. Da dove pensi che derivi questa tua attrazione per la sindone e cosa è cambiato a questo riguardo nel corso della tua carriera?
Il corpo e in particolare la pelle sono luoghi di relazione, il corpo è sempre stato il mio primo strumento di lavoro e nel tempo le tecniche fotografiche off-camera e la pelle per me sono diventate una coppia indissolubile, due superfici sensibili. In tutte e due i casi si ha a che fare con tracce di memoria, segni di un’interazione, questa è la parte che mi affascina. A differenza dell’immagine fotografica “classica” nel mio caso nonostante mi affidi a processualità fotografiche le tracce che lascio sono mutevoli. Nel caso degli specchi l’interazione tra riflesso e traccia è in continua evoluzione, negli sviluppi con nastro adesivo invece volutamente non blocco il processo conscia dei cambiamenti cromatici che subirà l’immagine. In Narcisi Fragili espongo “141 frammenti” un’opera di quattro metri composta appunto da 141 impronte prese con nastro adesivo da fronte e retro del mio corpo. Quello che si individua con questo processo è un corpo frammentato e ricomposto che il curatore Frassà ha definito come “corpo universale”. Negli anni se qualcosa è cambiato forse è stata l’apertura mai facile per me a indagare non solo il mio corpo, ma anche quello di altre persone, da mia madre (360°- Nuove Formazioni) ad altre donne (ciclo Uneasy).

Info:

Narcisi Fragili
artiste: Laura De Santillana, Daniela Ardiri, Flora Deborah, Giulia Manfredi e Francesca Piovesan
a cura di Sabino Maria Frassà
23 settembre – 29 ottobre 2020
MA – VE h 11.00 – 19.00; SA – DO h 15.00 – 19.00
Inaugurazione: martedì 22 settembre dalle ore 17.00 alle ore 21.00
MyOwnGallery, Superstudio Più
Via Tortona 27 bis Milano

Francesca Piovesan, 360°- Nuove Formazioni, nastro adesivo, argento nitrato, impronte, carta, 76 x 56 cm, 2016

Francesca Piovesan, In-visibile (Capezzoli), impronte, specchio, legno, metallo, (libro aperto) 20 x 10 cm, 2018

Francesca Piovesan, In-visibile (Benedicente), impronte, specchio, legno, metallo, (libro aperto) 28 x 23 cm, 2018

Francesca Piovesan, In-visibile (Orante), impronte, specchio, legno, metallo, 14 x 23 cm, 2018

Francesca Piovesan, Frammenti, dettaglio, 2020, nastro adesivo, argento nitrato, impronte, carta, 150 x 400 cm, 2020


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