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Gianni Berengo Gardin. Come in uno specchio

Gianni Berengo Gardin. Come in uno specchio

La storia italiana è ricca e complessa. Non è fatta soltanto di grandi avvenimenti, ma anche di piccole storie quotidiane. E quando si pensa a Gianni Berengo Gardin si pensa proprio alla storia d’Italia, alle sue bellezze e contraddizioni, alle luci e ombre che l’hanno sempre accompagnata. COME IN UNO SPECCHIO. Fotografie con testi d’autore, inaugurata l’11 febbraio 2020 alla Fondazione FORMA per la Fotografia di Milano, ripercorre il lungo cammino compiuto dal fotografo nell’anno del suo novantesimo compleanno.

La mostra, comprensiva di ventiquattro fotografie e aperta fino al 5 aprile 2020, omaggia Berengo Gardin nella città che lo ha adottato dal 1965 – anno in cui si stabilì a Milano dopo aver vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi – e lo fa coinvolgendo importanti personalità della cultura attraverso un loro contributo scritto. Ogni immagine, infatti, è accompagnata da un piccolo testo che racconta i sentimenti e le sensazioni di ogni amico/collega: le parole di Mimmo Paladino, Renzo Piano, Lea Vergine, Ferdinando Scianna e tanti altri si mescolano alle fotografie di Berengo Gardin rievocando ricordi ed emozioni universali. La narrazione scritta viaggia di pari passo a quella visiva in un dialogo che abbraccia non solo gli interlocutori, ma anche lo stesso pubblico: nell’osservare gli scatti e nel leggere i contributi, ci si immedesima nelle piccole/grandi storie di vita quoditiana e nelle impressioni che tali storie hanno suscitato in ogni personalità coinvolta.

Il corpus di opere selezionate rappresenta una breve ma efficace sintesi della produzione di Berengo Gardin: la vita in città e nelle campagne, le contestazioni, il mondo del lavoro, i manicomi, gli zingari, fino alle grandi navi che attraversano la laguna di Venezia. Sono immagini che ripercorrono più di cinquant’anni di vita, insinuandosi nelle pieghe di ogni accadimento storico o fugace, raccogliendo testimonianze anche scomode senza risparmiare a nessuna il rispetto e la dignità di essere raccontante.

“Cerco ogni volta una storia diversa, perché egoisticamente voglio vivere ogni singola storia che fotografo” dice Berengo Gardin, e in effetti i suoi occhi penetrano in qualsiasi situazione, tra lo scorrere lento di un treno o di un vaporetto – famosa l’immagine del 1960 con l’uomo “magrittiano” ripreso di spalle – e il silenzio assordante delle sale di un istituto psichiatrico: il suo sguardo ruba un pezzo di realtà per regalarlo alla comunità affinché chiunque possa vedere ciò che ha visto e vivere ciò che ha vissuto.

“La fotografia fa il miracolo di fissare per sempre quell’attimo fuggente” scrive Renzo Piano riferendosi alla fotografia del 1993 che ritrae un operaio sul cantiere dell’Aeroporto Internazionale del Kansai (Osaka) progettato dallo stesso architetto: la medesima fortuita circostanza porta Berengo Gardin a immortalare un gruppo di bambini che giocano, due amanti che si baciano su una panchina e due fratellini che si baciano accanto ai propri genitori. Nessuno conosce questi uomini, eppure ognuno può vederci qualcosa di suo, sentirsi quell’operaio che va in fabbrica, quella coppia che si abbraccia mentre passeggia o la donna che si addormenta nei rumori del treno: scene di semplice routine che la volontà del fotografo e la forza della fotografia hanno trasformato in icone indimenticabili – ecco il motivo per cui Sebastião Salgado definisce Berengo Gardin “il fotografo dell’uomo”.

Nell’intimità degli scatti selezionati, ogni visitatore instaura un rapporto diretto con ciò che osserva portando alla luce vecchi ricordi o rinnovando la visione di dettagli mai scorti prima: è lo stesso meccanismo che governa le celebri fotografie di due coppie all’interno di due automobili, la prima del 1977 e la seconda del 1993, le quali, come afferma Ferdinando Scianna, fanno riflettere sull’“essenza della fotografia, sull’impossibilità della ripetizione identica di un istante nell’infinita molteplicità della vita”.

Proseguendo nel solco dei grandi reportagisti come Lewis Hine e Henri Cartier-Bresson, Berengo Gardin ha raccontato coi suoi occhi quello che gli accadeva intorno senza ricorrere all’uso di filtri o di abbellimenti. Il timbro “Vera fotografia” apposto dietro ogni immagine, impiegato come titolo del catalogo redatto per l’occasione, non suggella soltanto l’autenticità delle stesse, ma ne attesta probabilmente anche lo spirito sincero e schietto: “È una mia ambizione; non solo un desiderio, ma proprio il mio scopo: lasciare un documento della nostra epoca” afferma. Le testimonianze che ci lascia, se da una parte sono estremamente genuine e veritiere, dall’altra sono profondamente dolci e toccanti. Anzi, è proprio grazie al loro essere spontanee se oggi le sentiamo ancora nostre.

Antongiulio Vergine

Info:

Gianni Berengo Gardin, COME IN UNO SPECCHIO. Fotografie con testi d’autore
11 febbraio – 5 aprile 2020
Fondazione FORMA per la Fotografia
via Meravigli 5, Milano
Info@Formafoto.It
www.formafoto.it

Gianni Berengo Gardin, Oriolo Romano, Lazio, 1965, ©Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione FormaGianni Berengo Gardin, Oriolo Romano, Lazio, 1965, ©Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione Forma

Gianni Berengo Gardin, Bacino San Marco, visto da via Garibaldi. Venezia, 2013-2015, ©Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione FormaGianni Berengo Gardin, Bacino San Marco, visto da via Garibaldi. Venezia, 2013-2015, ©Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione Forma

Gianni Berengo Gardin, Istituto psichiatrico. Parma, 1968, ©Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione Forma

Gianni Berengo Gardin, Istituto psichiatrico. Parma, 1968, ©Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione Forma


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