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I nostri tempi moderni: alcune riflessioni sull’era pop

La società contemporanea è fatta di prospettive bulimiche e autoreferenziali; offre il tutto, ma anche il niente nichilista incarnato nel mito del lavoro moderno e in certe interpretazioni artistiche sublimate dall’inserimento nel programma scolastico. Stiamo parlando della Pop Art, preludio a molte esperienze visuali che anticipano ciò che ci influenza quotidianamente, attraverso quello che andiamo a vedere dal vivo nei musei di arte contemporanea o nelle gallerie. Si tratta di un complesso substrato di tendenze, mode e interpretazioni dell’arte e della vita, e quando parliamo di arte e vita in quest’ottica ci riferiamo alla cultura borghese della New York del Village o della Londra beat. Il movimento vede i suoi inizi artistico-intellettuali nel neocapitalismo nel periodo del boom economico degli  anni post conflitto mondiale, quando si avverarono molte verità che erano in uno stadio embrionale già negli anni della Repubblica di Weimar: il singolo si sarebbe annullato per divenire una vastità e avrebbe azzerato (almeno apparentemente) anche le differenze sociali per poter segnare con la sua ascesa la pace universale, identificata con la scomparsa dei totalitarismi mediterranei. I presupposti sociali che inquadrano la nascita e lo sviluppo della pop art in America coincisero con l’apogeo dei consumi negli anni ‘50.

Il decennio concluso nel 1964 aveva segnato un’accelerazione generale del rinnovamento tecnologico, unito a un incremento del volume delle esportazioni mondiali, che arrivarono a triplicare rispetto al 1938 e a raddoppiare rispetto al 1950. Fra le conseguenze, vi fu una riduzione della durata degli investimenti con rendimento annuale e un accrescimento della produttività che si scontrava con i limiti della domanda reale del mercato. Nacque lo studio su vasta scala della psicologia del consumo, dell’indottrinamento delle folle per l’acquisto di beni effimeri che fanno schizzare alle stelle il fatturato di imprese che in alcuni Paesi sarebbero state bandite (come ad esempio le aziende produttrici di tabacco, boicottate in alcune nazioni europee fino agli anni precedenti il secondo conflitto mondiale). Warhol utilizza il detersivo e la passata di pomodoro non a caso: il commercio secondo lui era tutto ciò che di meglio aveva da offrire la macchina culturale del benessere. Da quel momento iniziarono a svilupparsi i persuasori occulti del marketing, i primi ‘visual advertising’, che programmarono la produzione sulla base d’una domanda in tal modo amplificata. Sviluppo dell’automazione, pieno impiego, alto potenziale di crescita e soprattutto una presenza di consumatori non produttivi (i ‘giovani’ come nuovo segmento di mercato). Ma anche disagio morale, diffusione delle sostanze stupefacenti, elette a via aurea per raggiungere stati alterati della coscienza (musica rock, beat generation che coinvolge scrittori di alto tenore come A. Huxley). Arriviamo a quella che è stata definita come la psicologia dell’abbondanza (e della nevrosi come forma di democrazia). Il successo individuale diventò una forma di adeguamento a un comportamento sociale standardizzato e convalidato dai propri simili. Il mondo oggettivo era svalutato di fronte all’apparenza; se le immagini di Warhol sono ancora oggi così emblematiche, è anche per l’inconsapevole afferenza del loro simbolismo in questa nuova sociologia. In termini generali, l’estetica pop ha rappresentato una forma di adesione incondizionata alla realtà tecnologica e alla società dei consumi, ideando un nuovo modo di sentire e di essere, per così dire, cittadini del mondo moderno. È il villaggio globale, che porterà al disimpegno, al disinteresse politico e al cinismo di una certa intellighenzia, che è comunque figlio di alcune strategie della tensione che opereranno non solo in America in quegli anni, fino alla fase ‘al neon’ come l’ha definita qualcuno degli anni ’80. Si è detto che il pop aveva un’origine colta, e questo lo sottoscrivo in pieno; come già detto di sfuggita prima, questa fase è voluta dalla borghesia incalzante che spingeva per avere un suo posto al sole che non fosse più soltanto vacanze e microonde, ma parlasse all’anima sensibile delle persone. Di che cosa poi si parlasse, questo è compito degli storici farne l’esegesi o la damnatio perpetua.

Matteo Rossi

pop:Triple Elvis, Andy Warhol, 1963, Moma, New YorkAndy Warhol, Triple Elvis, 1963, MoMA, New York

Jack Kerouac, 1968 circa

Bob Dylan e Allen Ginsberg a Woodstock, 1964


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