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Il Cavallo Kabira e altre storie al Museo Carlo Zauli di Faenza

Abbiamo intervistato Cristina Casadei del museo Carlo Zauli per comprendere a fondo il lavoro collettivo dietro la grande scultura in ceramica il Cavallo Kabira pensato dall’artista Chiara Camoni e costruito attraverso un’azione partecipativa.

Come nasce l’idea del grande cavallo in ceramica nero Kabira e come si è svolta l’azione collettiva e partecipativa?

Kabira nasce dall’idea di Chiara Camoni di confrontarsi con il tema della difficoltà, che lei ha individuato e sintetizzato nella figura del cavallo, con cui ha avuto un personale rapporto intenso quanto complesso.

Kabira era un cavallo bianco.
Ma era anche la mia relazione con l’inconscio che veniva a galla.
Kabira era giù nel campo e su nei miei sogni.
Era la mia incapacità.
La mia determinazione.
La frustrazione.
Era un drago.
Era la paura e l’incanto.
Era il ribaltamento delle convinzioni.”

L’idea parte anche dall’invito a misurarsi con la dimensione del workshop, momento di condivisione di saperi teorici e manuali, che Chiara ha concretizzato in 3 giorni in cui produrre, leggere e discutere insieme:

“Durante il workshop si alterneranno momenti pratici e momenti teorici. Saremo accompagnati da alcuni testi che costituiranno le coordinate all’interno delle quali si svilupperà l’azione delle mani. Dopo le reciproche presentazioni, affronteremo il tema del tabù in arte. Parleremo del soggetto in scultura, delle pratiche collettive e dei saperi condivisi. Dei pieni e dei vuoti, delle zone oscure. Leggeremo brani tratti da “Il maestro ignorante” di Jacques Ranciére, “La scultura lingua morta” di Arturo Martini, “Reincantare il mondo” di Silvia Federici e da altri libri ancora. Lavoreremo con la creta nera proveniente dal Belgio messa a disposizione dal Museo Zauli, conservata nei locali sotterranei. Il lavoro individuale confluirà in un progetto collettivo. Faremo forse un grande cavallo nero.”

Il lavoro nasce quindi da un progetto personale, frutto di un ricordo intenso condiviso fin dai primi momenti del workshop con i partecipanti: le testimonianze e il confronto scaturito lo hanno immediatamente reso un progetto a più teste, e naturalmente a più mani. Ceramiste, artiste, studentesse, amici di passaggio, noi dello staff, tutti abbiamo interpretato le indicazioni tecniche di Chiara, in una serie di azioni semplici e ripetitive da svolgere ascoltando le letture. Impastare la terra, modellarla in piccole forme libere e ripetute, bucare le forme, infilare le forme essiccate in lunghe collane, vestire la struttura di legno con queste collane… Ci siamo trovati in più occasioni in veri e propri rituali collettivi. È stata un’esperienza che ha superato ogni aspettativa di produzione, formazione e condivisione.

L’artista Chiara Camoni ha descritto così l’“operazione Kabira”: “Costruiremo la struttura portante in legno e infileremo in lunghe collane tutti i pezzetti modellati che costituiranno la copertura del corpo. Nato dalla creta scura dei sotterranei, mi immagino ora la presenza di questo cavallo nella stanza dei forni, che guarda verso l’ingresso. Vorrei che questa scultura fosse anche un luogo, che ci si potesse entrare sotto, una specie di capanna.” Come è nato il rapporto tra il museo e l’artista?

Matteo Zauli aveva già lavorato due anni fa con Chiara Camoni nell’ambito di un ciclo di residenze a Montelupo Fiorentino. In quell’occasione aveva realizzato dei vasi a più mani, coinvolgendo studenti ed artigiani, misurandosi allo stesso tempo con le dinamiche produttive della grande bottega, con la quale ha fatto interessanti esperimenti sugli smalti. La sua ricerca, sempre incentrata su contesti relazionali e dinamiche di gruppo ci ha affascinato particolarmente, individuandola come figura ideale per il progetto formativo che da due anni portiamo avanti con AiCC, Associazione Italiana Città della Ceramica, per i ceramisti. Dopo Francesco Simeti, è stata la seconda artista invitata come docente in uno dei nostri workshop, tutti permeati da una visione della ceramica che tiene insieme il fare con il pensare, superando le divisioni fra arte, artigianato e design.

Che rapporto ha il museo con la città di Faenza, i cittadini come accolgono attività partecipative come questa?

Il museo nasce dal laboratorio di Carlo Zauli, artista che ha portato la ceramica, e la sua città, in ambiti internazionali. Ha viaggiato tutto il mondo con le sue opere pur restando legatissimo alla terra di origine, in cui ha sempre vissuto e lavorato. Con questa stesso dualismo il museo si contraddistingue per essere una piccola istituzione di provincia, con la mission principale di portare gli stimoli dell’arte contemporanea internazionale in città. E i faentini percepiscono il museo come un luogo unico sul territorio in cui accadono cose uniche, imperdibili. Come questa.

Che ruolo ha svolo la comunicazione del museo in un progetto come questo? E quanto conta per voi in generale la comunicazione dell’arte e delle vostre attività durante la normale programmazione annuale?

La comunicazione è stata fondamentale per l’adesione dei partecipanti al workshop, che sono stati 16, il massimo previsto, provenienti da tutta Italia, utilizzando i nostri diversi canali. Poi abbiamo cercato il supporto della stampa locale per coinvolgere la città nell’assemblaggio finale, che è infatti diventato quasi un happening, cosí come lo avevamo immaginato. Per coloro che non hanno potuto partecipare abbiamo raccontato tutti gli step attraverso i social network, in particolare con le stories di Instagram.

Anche per noi la comunicazione è diventata fondamentale, oltre che un grande impegno lavorativo. In questo momento cerchiamo un compromesso fra l’esigenza di informare su tutti gli eventi museali e quella di non oberare di notizie chi ci segue!

Trovandoci decentrati rispetto alle traiettorie del contemporaneo italiano la cosa che più ci affascina è il riscontro del pubblico che ci segue da lontano, anche senza essere mai stato qui: la comunicazione contemporanea svolge un ruolo potentissimo sulla diffusione (anche) dell’arte. E con soddisfazione, e anche un po’ di stupore, dobbiamo dire che i contenuti più apprezzati restano sempre quelli dedicati a Carlo Zauli!

Potete anticiparci qualche progetto futuro?

Ci aspetta un autunno fitto di appuntamenti: il secondo workshop con il ceramista più pop d’Italia, ovvero Giorgio di Palma, che invita i partecipanti a realizzare ceramiche di cui non cera bisogno. Avremo nuovi giovani artisti in residenza da Tel Aviv, il nostro festival di musica contemporanea, Ossessioni, quest’anno incentrato su Morton Feldman, una conferenza sulla figura di Guido Gambone e la mostra finale delle residenze 2019. Il 17 ottobre infatti inaugura il momento espositivo che presenta gli esiti del lavoro degli artisti ospiti di questa estate: Giulia Bonora, Arianna Carossa, oltre naturalmente a Chiara. Giulia Bonora ha realizzato sculture con l’antica tecnica del lucignolo, da lei costantemente utilizzata in chiave contemporanea, in un progetto legato ai contenitori e alla raccolta dell’acqua. La residenza è stata per lei anche un momento di approfondimento sulle infinite sfumature dei blu, suo preciso codice cromatico, negli smalti ceramici. Arianna Carossa anche a Faenza ha lavorato proseguendo il suo percorso poetico con cui lega natura e cultura, unendo in inediti assemblaggi resti organici di animali e materiali della tradizione scultorea.  Favi, corna e conchiglie sono quindi entrati nelle sculture modellate con la terra nera del Belgio che lo stesso Carlo Zauli utilizzava per le sue steli monumentali.

Info:

www.museocarlozauli.it

Chiara Camoni il cavallo Kabira

For all the images: Chiara Camoni, Cavallo Kabira, workshop, Museo Carlo Zauli, Faenza, 2019 – Ph. Angela Grigolato Courtesy Museo Carlo Zauli


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