READING

Il corpo come cartografia esistenziale: Iolanda Ma...

Il corpo come cartografia esistenziale: Iolanda Martini a Palazzo de Probizer, Isera

Corpo a corpo, personale di Iolanda Martini a cura di Nicoletta Boschiero, non è solo una retrospettiva sui vent’anni di carriera dell’artista veronese, ma un vero e proprio atlante emotivo dove la carne diventa cartografia dell’esistenza contemporanea. Nelle sale di Palazzo de Probizer a Isera (TN), il corpo evocato dal titolo (onnipresente in molteplici linguaggi e gradi di esplicitazione) si fa di volta in volta cronista, territorio e campo di battaglia di una vicenda individuale assurta a filo conduttore di una ricerca sugli archetipi delle immagini universali. Attraverso sette stanze tematiche, corrispondenti ad altrettante declinazioni stilistiche e concettuali del corpo (femminile, amoroso, glorioso, mutante, ansioso, morto, dell’anima) Martini costruisce un percorso labirintico che dall’iniziale corpo femminile sospeso in una condizione cristallizzata giunge fino all’anima come ultima frontiera dell’incorporeo, passando per un maschile prima glorioso poi pericoloso e per un istinto cosmogonico di mappatura somatica e psichica delle persone da lei osservate (e nella maggior parte dei casi amate).

Iolanda Martini, “Dittico femminile”, 2004, colori acrilici su tela, 55,5 x 40 x 8,5 cm ciascuno, courtesy dell’artista

Iolanda Martini, “Dittico femminile”, 2004, colori acrilici su tela, cad. 55,5 x 40 x 8,5 cm, courtesy dell’artista

In tutti i lavori in mostra, ciò che colpisce dal primo sguardo nell’approccio di Martini è la sua capacità di lavorare sul frammento inteso come unità narrativa primaria. Non si tratta di una scomposizione disincantata fine a sé stessa, ma di una strategia poetica che riconosce nell’incompletezza la condizione ontologica del soggetto contemporaneo. I dettagli anatomici femminili esposti in dittico nella prima sala – come Ventre e Volto (2004), con quelle piccole catenelle che collegano occhio a orecchio, naso a orecchio, ombelico e pube – sembrano dispositivi di misurazione sensoriale più che ritratti tradizionali. Sono corpi-strumento in attesa di attivazione, automi della percezione che interrogano lo spettatore sul confine tra soggettività e oggettivazione. L’artista adopera qui una palette cromatica omogenea e spenta, composta di grigi, ocra, terre, che funziona come un filtro emotivo, come se fosse una sorta di patina temporale evocativa di un’enigmatica connotazione archeologica. Non si tratta di nostalgia, ma di sedimentazione: ogni opera porta i segni del tempo che l’ha generata, delle circostanze biografiche e sociali che l’hanno nutrita, ma anche di secoli di storia dell’arte stratificata in un immaginario sensibile.

Iolanda Martini, “Trittico - Mr. Emeka, Ben, Odili”, 2002, colori acrilici su tela, cad. 170 x 65 cm courtesy dell’artista

Iolanda Martini, “Trittico – Mr. Emeka, Ben, Odili”, 2002, colori acrilici su tela, cad. 170 x 65 cm, courtesy dell’artista

Il cuore pulsante della mostra risiede nella riflessione sull’alterità, sviluppata in primo luogo attraverso la relazione con i migranti nigeriani che l’artista ha iniziato a frequentare e conoscere negli anni 2000 nel suo locale ubicato nei pressi della questura di Verona, dove i richiedenti asilo si accampavano fin dalla notte per contendersi il diritto di essere presi incarico il giorno successivo per le pratiche di immigrazione. Nei dipinti afferenti a quest’ambito, come Trittico – Mr. Emeka, Ben, Odili (2002) Martini opera sui corpi scultorei dei protagonisti nudi di profilo una trasformazione cromatica di valenza concettuale: da neri diventano colorati – gialli, blu, rossi – in un progressivo viraggio verso una categorizzazione astratta che confonde le aspettative percettive implicite nei meccanismi di identificazione. Non si tratta di esotismo o di facile multiculturalismo, ma di una riflessione profonda sui processi di idealizzazione e successiva disillusione che caratterizzano l’incontro con l’altro. Agli ieratici idoli della serie dei Kouroi (2002 – 2003) fa da controparte la serie fotografica dedicata a José realizzata nel 2014, forse il momento più crudo del percorso espositivo. Nel gruppo fotografico in bianco e nero Accumulazione e negli scatti dedicati ai protagonisti della vicenda reale ispiratrice del progetto, José e la moglie Olympia (quest’ultima a colori e non presente in mostra) Martini documenta con spietata precisione etnografica il fallimento di un’integrazione sognata, l’implosione di un matrimonio misto attraverso la catalogazione degli oggetti che invadono progressivamente lo spazio domestico. I sacchi pieni di materiali recuperati dai cassonetti da José diventano, attraverso lo sguardo dell’artista, montagne di speranze infrante, archeologie del presente che raccontano più di mille discorsi sociologici sui processi migratori.

Iolanda Martini, “Accumulazione”, 2014, gruppo di fotografie in B/N, cad. 21 x 30 cm, courtesy dell’artista

Iolanda Martini, “Accumulazione”, 2014, gruppo di fotografie in B/N, cad. 21 x 30 cm, courtesy dell’artista

Un aspetto significativo del lavoro di Martini è la sua relazione con i supporti. Ad esempio, la scelta di dipingere su tela di jeans (materiale da lavoro per eccellenza) e di mescolare polvere grossa di caffè ai pigmenti quando affronta i temi della migrazione economica non è casuale decorativismo, ma precisa dichiarazione politica. Allo stesso modo, l’utilizzo di un altro supporto non canonico per la pittura come la tela Aida nei dipinti-ricamo della serie Andare tornare (2004-2013) non è una semplice variazione tecnica, ma nasce da una necessità biografica: durante i lunghi periodi trascorsi in ospedale ad assistere il padre malato, il ricamo era l’unico medium praticabile, portatile, silenzioso. Questa materialità emozionalmente “situata” conferisce alle opere una qualità tattile e una densità semantica che va oltre l’effetto visivo per evocare la spiritualità di un rituale curativo. La sequenza di “eclissi” realizzate durante la malattia del padre rielabora un momento di sospensione esistenziale in una rarefatta cosmogonia di geometrie astratte eseguite ad ago e filo sulla tela da ricamo dipinta. L’impedimento della luce evocato dai buchi neri attorno ai quali gravitano le composizioni di questo ciclo diventa metafora dell’oscuramento temporaneo della vita, mentre le successive “mappe guerresche” attraversate da frecce e croci, in cui si evolvono nel periodo successivo, traducono in segni l’ansia di orientamento in un momento di perdita dei riferimenti stabili.

Iolanda Martini, “Tre persone potenti di spalle”, 2024-2025, colori acrilici su tela, 21 x 16x 4,5 cm + 61,5 x 95 x 5 cm, courtesy dell’artista

Iolanda Martini, “Tre persone potenti di spalle”, 2024-2025, colori acrilici su tela, 21 x 16x 4,5 cm + 61,5 x 95 x 5 cm, courtesy dell’artista

Martini sembra fondare la sua vicenda creativa su una personalissima modalità di interrelazione tra dimensione privata e riflessione politica, che l’interesse per la sperimentazione tecnica e stilistica mantiene saldamente ancorata allo specifico artistico, prevenendo sia lo sbilanciamento verso l’autobiografismo narcisistico sia la denuncia didascalica. Esplicita nella stigmatizzazione è, ad esempio, la composizione pittorica Tre persone potenti di spalle (2024-2025), dove tre piccoli ritratti dal retro di figure del potere contemporaneo scrutano un orizzonte planetario stilizzato. L’artista nelle figure utilizza una tecnica pittorica che per capacità di precisione epidermica ricorda certi maestri fiamminghi, ma la mette al servizio di una rappresentazione impietosa del potere come ossessione totalizzante. L’originale soluzione compositiva vede i tre personaggi attraversati da fili colorati (blu, rosso, giallo) simboleggianti le tre pulsioni primarie del potere: controllo, denaro, supremazia. Il pianeta Terra è invece concettualizzato come una surreale giacca sovradimensionata che ciascuno di loro vorrebbe indossare, in un’ironica assimilazione della geopolitica a una questione di guardaroba imperiale.

Iolanda Martini, “Andare tornare”, 2004-2013, colori acrilici e ricamo su tela, cad. 28 x 40 x 6 cm, courtesy dell’artista

Iolanda Martini, “Andare tornare”, 2004-2013, colori acrilici e ricamo su tela, cad. 28 x 40 x 6 cm, courtesy dell’artista

In conclusione, Corpo a corpo rivela un’artista che ha saputo trasformare i propri accadimenti biografici in un linguaggio universale senza perdere la specificità dell’esperienza vissuta. Martini non si limita a rappresentare il corpo, ma lo usa come dispositivo di conoscenza, strumento di indagine sui meccanismi di potere, resistenza e trasformazione che attraversano la contemporaneità. La mostra conferma come l’arte possa ancora dire qualcosa di essenziale sul nostro tempo, a condizione di non accontentarsi di facili consolazioni estetiche ma di accettare la sfida di un confronto corpo a corpo – appunto – con la complessità del reale. In un’epoca di virtualizzazione crescente delle relazioni, il lavoro di Martini rivendica, inoltre, la centralità della dimensione fisica, sensoriale e tattile dell’esperienza umana, restituendo al corpo la sua dignità di territorio di senso e di esistenza. Il percorso attraverso le sette stanze di Palazzo de Probizer si configura così come un viaggio iniziatico contemporaneo, dove ogni sala rappresenta una stazione di un cammino di conoscenza che dal personale approda all’universale, dal contingente al simbolico, dalla superficie alla profondità dell’essere.

Info:

Corpo a corpo. Opere di Iolanda Martini 2002-2025
a cura di Nicoletta Boschiero
26/07 – 21/09/2025
Palazzo de Probizer, Isera
Piazza San Vincenzo, 1 – Isera (TN)


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.