Era novembre 2024, ed entravamo per la prima volta nello studio dell’artista Gabriella Siciliano. Classe 1990, nata a Napoli, Siciliano continua a sorprendere per la sua capacità di coniugare nel suo lavoro il dolce e l’amaro, dove l’estetica pop fa da collante a sogni e paure di una generazione intera. Una delle artiste più seguite degli ultimi anni, Siciliano continua a ritagliarsi il proprio ruolo, unico e riconoscibile, nel panorama artistico italiano. Oggi la ritroviamo nella collettiva Our Souls at Night presso la Galleria Umberto Di Marino, di Napoli. Abbiamo incontrato Gabriella e la sua gatta Paulina per riflettere su quanto accaduto in quest’ultimo anno, per soffermarci su alcuni dei suoi momenti più significativi e fare qualche ipotesi futura. Ad oggi, nel febbraio 2025, Il suo studio non è cambiato affatto, ricoperto come sempre da brillantini e mostriciattoli colorati.

Gabriella Siciliano, “Easter ‘97”. Incarti per cioccolatini in fogli di alluminio colorato, colla, tavola di legno, cornice in legno verniciato, 80x120x3cm, 2024. Courtesy of the artist
Concetta Luise: Ciao Gabriella, che ne dici di procedere a ritroso, raccontandoci di questa recente collaborazione con Umberto Di Marino? Alcuni dei tuoi lavori site-specific più celebri sono inclusi in mostra, assieme ad altri, meno conosciuti, come Easter 97 (2024). Come sono nati questi ultimi lavori?
Gabriella Siciliano: In realtà sono nati l’anno scorso quando sono stata invitata a partecipare al Premio CONAI, che è un premio sull’arte circolare. Volevo rappresentare una natura morta, un tema tradizionale della pittura, che però fosse fatta di carte di cioccolatini che danno, come dire, sempre un sapore malinconico. Sai, i cioccolatini mangiati alla fine di una storia d’amore, quando si sta male. Volevo proporre, in un’immagine così allegra con questi fiori coloratissimi, il simbolo e lo scarto che queste carte portano.
Questo sapore dolce-amaro è un tratto distintivo della tua produzione che emerge in lavori spesso accattivanti e visibilmente piacevoli, ma colmi di cupe paure. Queste tele però mi fanno pensare anche ad altro: noi non siamo affatto abituati a vederti lavorare su tela. Nella tua pratica, infatti, la scultura e la corporeità hanno avuto sempre un ruolo predominante. Puoi spiegarci come questo ritorno su tela si relazioni alla tua ricerca, dove danza e scultura primeggiano?
Ecco, c’è una relazione perché pur essendo bidimensionale, non è una tela. È un supporto di legno su cui l’immagine viene scomposta per campiture di colore e poi ricomposta attraverso il materiale. Credo si avvicini di più alla pratica scultorea, alla tessitura, con cui condivide un lavoro manuale minuzioso, lento, e meditativo. Ha anche a che fare con la fisicità e quindi con la performance, dove si deve avere la capacità di restare molto tempo a fare un lavoro minuzioso entrando in uno stato meditativo, in loop.

Gabriella Siciliano, “Da casa mia non si vede il mare”, installation view, courtesy of Museo Madre, Napoli. Ph. by Amedeo Benestante.
L’azione è ripetuta all’infinito, ancora e ancora: lo avevi già manifestato anche con i tuoi arazzi. Spesso nella performance ti ritrovi in bilico tra due estremi, tra catarsi liberatoria o esasperazione. Ci racconti della tua performance Da casa mia non si vede il mare (2024)? E di quale sia il fine e il compito dell’atto performativo per te?Quest’opera, e in generale tutte le mie performance, hanno una funzione in potenza, tra liberazione e stasi presente. I piedi restano radicati per terra a confrontarsi con tutti i limiti, con le comodità, e con tutta un’altra serie di cose: traumi vissuti che alla fine fanno parte di me e del presente di ognuno di noi. Credo che tutti abbiano il desiderio di liberarsi da qualcosa. Allo stesso tempo però io ho imparato che per arrivarci devi prima accettare i tuoi limiti senza combatterli. In passato, cercavo sempre di andargli contro e questa cosa non ha portato a nulla. Per me questo si collega anche al paradosso della nostra società occidentale in cui molti oggetti vengono considerati indispensabili ma se ci si fermasse un attimo a riflettere, si potrebbe notare che non servono assolutamente a niente. È un avanzamento né verso il fuori né verso il dentro. Stessa cosa per il mercato dell’intrattenimento che è una macchina per riempire gli spazi vuoti. Poi però capita che per qualche coincidenza, questi spazi vuoti restano privi di intrattenimento e si è obbligati a confrontarsi con il mondo interiore. Può essere il panico totale. Per me la finalità della performance è sicuramente il bisogno di portare fuori un perenne conflitto interiore che vivo e cerco di esorcizzare.
Che significa “pop” per te? Come e quando hai capito che i materiali pop erano il mezzo più giusto per dare forma alle tue idee?
Al pop associo immediatamente Pop Art per una questione concettuale. Poi che cosa vuol dire pop adesso, nel 2025, a Napoli? Per me è entrare nel negozio dei cinesi e trovare delle cose allucinanti e ipercolorate ma che allo stesso tempo emanano una tristezza enorme.
Diresti che anche l’installazione la Casa di Wendy ha un’estetica pop? Tra tutti i tuoi lavori, sembra quello più inquieto e cupo nel parlare di un malessere generazionale.
È vero, forse di pop non resta niente, se non solamente la questione dell’ironia perché il materiale con cui è fatto è una gomma morbida blu con dentro dei glitter. Poi la fotografia del mostro da giovane sullo specchio… però sì, effettivamente è il lavoro meno colorato, a prima vista sembra quasi bianco e nero. Credo che questa lettura sia avvenuta perché i tempi sono cambiati, siamo in una situazione di guerra e l’opera ha risposto a un cambiamento dei tempi.

Gabriella Siciliano, “La Casa di Wendy”, installation view, courtesy of Fondazione Made in Cloister, Napoli. Ph. by Maddalena Tartaro.
Con il tuo lavoro ci inviti sempre a non prenderci troppo sul serio, ma al contempo a non ignorare dubbi e paure. Che ruolo hanno l’ironia e l’humor per te?
Quando riusciamo a guardare una situazione problematica dall’esterno, potremmo sorprenderci a riderci su, incontrando così una duplice realtà. Per questo nel mio lavoro cerco di restare in bilico… Penso che se cadrò da un lato o dall’altro non saprò più fare quello che faccio.
Come sarebbe il tuo lavoro se non fossi a Napoli?
Mancherebbe di quella componente di tristezza, di quella introspezione. Se fossi andata a studiare fuori da Napoli sicuramente sarei stata più seguita nel mio percorso, mi sarebbe stato inculcato un modo più specifico di fare arte e quindi forse avrei avuto meno libertà di lavorare sull’introspezione.
Infine, volendo accostare la musica al tuo lavoro…
Sarebbe un album di Lucio Battisti ft Britney Spears.
Concetta Luise
Info:
Our Souls at Night
Galleria Umberto Di Marino
22.02.2025 | 05.04.2025
Via Alabardieri 1, 80121 Napoli
Orari: da lunedì a sabato: 11:00 – 13:00 / 15:00 – 19:00

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