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Jonas Mekas: Maestro del cinema indipendente

Jonas Mekas: Maestro del cinema indipendente

Il regista, poeta e artista Jonas Mekas, considerato un maestro dai filmmaker italiani ed europei come dai cineasti del New American Cinema, è nato in Lithuania nel 1922. Assieme al fratello Adolfas è stato anche il fondatore della rivista “Film Culture” e cofondatore dell’Anthology Film Archives. La sua grandezza sta nell’aver insegnato a più generazioni a leggere la realtà con immediatezza e sensibilità, senza schemi, facendo prevalere le verità profonde della quotidianità. Durante la settimana di Art Basel del giugno scorso ho avuto il piacere d’incontrarlo, poco prima della proiezione di Reminiscences of a journey to Lithuania del 1972. Il film, di genere diaristico, era commentato con partecipazione intima dalla sua voce fuori campo. Sia prima sia al termine della proiezione egli ha evitato introduzioni formalistiche e celebrative della curatrice, per cui ha dato subito spazio alle domande del pubblico. Con le risposte è entrato nel merito del suo lavoro, dimostrandosi aperto al dialogo, schietto, gentile e, a un tempo, inflessibile. Quella serata è stata un’occasione unica per capire il forte carattere, l’amore per la terra d’origine, la produzione anticonformista e poetica, il rapporto simbiotico tra l’uomo e l’opera. Approfittando della sua disponibilità, l’ho intervistato via email e il 7 agosto, dopo il rientro a New York dal Festival internazionale del film di Locarno, mi ha inviato le risposte che seguono:

Luciano Marucci: In sintesi, quando ti sei trasferito negli USA, come aveva influito sulla tua vita e sul percorso artistico il passaggio dal villaggio alla metropoli, da una civiltà rurale spontanea a quella moderna contaminata?
Jonas Mekas: Nel 1949 dalla Lithuania non mi trasferii subito a New York: ci sono arrivato dopo un anno di lavoro forzato in un campo nazista e cinque anni in Germania nei campi per persone sfollate nel dopoguerra. Per quanto riguarda le influenze, assolutamente TUTTO mi influenza, non solo l’ambiente, sia esso rurale o urbano.

Nelle poesie e nei film di allora c’erano espliciti riferimenti al nuovo mondo che abitavi?
La mia poesia scritta si riferisce alla mia vita interiore e i miei film si riferiscono, per immagini, alla mia vita esteriore.

Gli artisti d’avanguardia come Warhol e gli intellettuali apprezzavano i tuoi lavori?
Mi piaceva quello che Andy stava facendo e a Andy piaceva quello che stavo facendo io. Eravamo buoni amici. Per quanto riguarda gli “intellettuali” non sono sicuro di cosa sia un intellettuale.

Praticamente il tuo cinema sperimentale è nato dalla vocazione naturale ed è cresciuto quando ti sei addentrato nella viva realtà?
Sono entrato nella viva realtà quando sono nato. Non posso dire con precisione in quale momento la Musa del cinema sia entrata in me. Forse, quando sono arrivato a New York.

Le difficoltà incontrate nella vita hanno contribuito alla definizione della tua poetica?
Come ho già detto, tutto contribuisce assolutamente a quello che faccio, a quello che sono. Quello che leggo, quello che vedo, quello che ascolto, le persone che incontro; assolutamente tutto.

Penso che i filmmaker italiani ti abbiano preso come modello soprattutto per le capacità d’indagare e filmare i comportamenti umani della quotidianità. Condividi?
Non ho avuto molte possibilità di vedere il giovane cinema italiano contemporaneo, quindi non posso commentare la tua domanda. Posso solo dire che l’interesse per le arti diaristiche, che è emerso dopo la seconda guerra mondiale, fu un desiderio di democratizzare, personalizzare le arti che erano divenute troppo accademiche. C’era il desiderio di avvicinarsi al vero, alla vita quotidiana.

Come valuti il cinema sperimentale italiano degli anni Sessanta-Settanta?
Da quello che ho visto nel corso degli anni Sessanta e Settanta – e più di recente nella mia memoria – il brutto è stato che nella maggior parte dei casi non ho avuto la possibilità di rivedere i film che all’epoca ero riuscito a visionare solo una volta. Il cinema italiano d’avanguardia di quel periodo differisce da quanto è avvenuto in USA, Francia e Londra per le intenzioni e la passione. Ho avuto la sensazione che esso non sia mai decollato realmente, ma che sia rimasta un’impresa veramente eroica di un piccolo numero di cineasti che lavoravano individualmente senza mai entrare a far parte di un movimento, il quale avrebbe rafforzato e reso più conosciuto, stimolante, accessibile quel tipo di cinema. Era una sorta di Cinema Invisibile, che solo ora sta diventando Visibile.

Essere considerato un caposcuola anche in Europa ti incoraggiava a procedere per la tua strada; ti faceva sentire l’orgoglio di aver introdotto un linguaggio cinematografico anticonformista?
Non sono mai stato un leader, e non sarò mai un leader. Nella migliore delle ipotesi sono un aiutante, una levatrice, qualcuno che protegge i ‘neonati’ – e lo faccio in modo molto naturale, come mia normale quotidiana attività umana – non c’è niente di speciale.

Come giudichi i film del Neorealismo italiano del dopoguerra?
Il periodo neorealista post guerra del cinema italiano è stato molto importante per il cinema e per me stesso. Rossellini, De Sica, Zavattini sono stati una grande ispirazione per molti cineasti della mia generazione.

Hai sempre evitato di entrare nel sistema cinematografico commerciale o i cineasti hollywoodiani rifiutavano la tua produzione volutamente non spettacolare?
Non evito Hollywood: sono loro che evitano me. Non hanno bisogno di me. Inoltre la realtà che mi interessa come il contenuto del mio cinema, non esiste a Hollywood, è un posto sbagliato per cercarla. Il contenuto del mio cinema è la mia vita e la vita intorno a me.

E trovo che la vita sia MOLTO SPETTACOLARE! Con il cinema indipendente di limitata circolazione tu riuscivi a vivere materialmente?
Non mi sono mai guadagnato da vivere con i miei film o con la poesia. Me lo sono sempre guadagnato facendo un quotidiano lavoro sociale/fisico retribuito.

Quel cinema è libero anche dal sistema politico? La tua arte ha una certa funzione sociale?
Tutto sotto il sole ha una funzione sociale/un significato. Inoltre, tutto sotto il sole ha un significato “politico”/un effetto.

Il format diaristico, con o senza metafore, è il più adatto a documentare vicende autentiche?
Le riprese diaristiche sono l’unico tipo di ripresa che registra l’effettiva realtà, spontanea, non una messa in scena di fronte alla telecamera. La realtà è piena di metafore. Tutta la vita è piena di metafore.

Conoscere bene le tecniche cinematografiche è indispensabile per avere esiti di qualità non soltanto dal lato estetico?
Ogni bambino, a partire da tre anni, oggi sa come usare una cinepresa. Il grado di conoscenza della tecnologia e del mestiere per un film dipende da ciò che si vuole fare con la camera. Nessun bambino di tre anni (e nemmeno io…) sarà in grado di girare un film di James Bond senza il mestiere e la conoscenza che servono.

Nei film eviti la fiction narrativa, la strutturazione ben studiata? Preferisci puntare l’obiettivo principalmente sui comportamenti semplici della gente comune?
I miei film sono pieni di racconti e finzioni, e TUTTI hanno una struttura; io non filmo il “comportamento semplice”. Filmo solo momenti estatici della realtà quotidiana.

Per amore della verità non correggi mai le imperfezioni tecniche proprie del mezzo usato, più o meno professionale?
In un cinema diaristico non ci sono “imperfezioni”: quelle che alcuni possono chiamare imperfezioni tecniche o errori, sono parte del contenuto del cinema diaristico.

Ma cos’è per te la cinepresa?
La camera è uno strumento, come lo sono il coltello e la bacchetta di tamburo; uno strumento che mi aiuta a registrare le immagini della realtà che mi circonda, che possono essere poi proiettate su uno schermo: sì la macchina da ripresa è uno strumento.

Ti consideri un filmmaker e regista-produttore un po’ contadino?
Io non sono un produttore. Sono un filmer, un creatore di film. E sì, sono cresciuto in una fattoria, pertanto in profondità sono ancora un contadino. Non nella mia anima, ma nelle mie abitudini. Per quanto riguarda la mia anima non viene da una fattoria: la mia anima viene dal mondo spirituale. Nei giorni in cui eri ad Art Basel agivi con vitalità giovanile.

Da dove ti proviene tanta energia?
La mia energia proviene dall’energia del mondo in cui vivo. L’energia del mondo in cui vivo è inesauribile. E il mondo in cui vivo è il mondo spirituale. Io in realtà non vivo nel “mondo reale”. Lo documento solo.

Andy Warhol e Jonas Mekas (anni Sessanta)

Stadtkino Basel, 16 giugno 2016: Mekas – prima della proiezione del suo film – punta l’obiettivo su Luciano Marucci che, a sua volta, lo fotografa

Fotogramma dal film di Mekas “Reminiscences of a journey to Lithuania”, 1972, 1h 28’

Mekas risponde alle domande del pubblico al termine del suo film (ph L. Marucci)

Basilea, 17 giugno 2016: l’eclettico artista inglese Douglas Gordon con Mekas alla Fondation Beyeler di Basilea dopo la conversazione-performance con Hans Ulrich Obrist e il pubblico

Mekas alla Fondation Beyeler con Obrist in veste di performer (Basilea, 17 giugno 2016) 

Art Basel Salon, 18 giugno 2016: Mekas in conversazione con Bernd Scherer (ph L. Marucci)

Nelle poesie di questi anni quali argomenti tratti maggiormente?
Il contenuto della mia poesia è il mio mondo interiore e le istantanee, sconsiderate, konfu-like, per mezzo della mia camera, sono le reazioni al mondo esterno. Nessun soggetto.

Come manifesti l’attuale attività cinematografica?
Filmando, filmando, filmando.

Con i diari visivi vuoi essere ancora presente nel nostro tempo e partecipare alle trasformazioni della realtà in progress? È una scelta per relazionarti con gli altri?
MA io sono ancora QUI! Mi hai anche incontrato, fisicamente, a Basilea! Come posso essere QUI, su questo pianeta, e non stare con gli altri, non far parte dell’umanità??? Non posso essere in nessun altro TEMPO, posso solo essere qui e ora! E, naturalmente, tu puoi vedere il mio nuovo lavoro ogni settimana, sul sito jonasmekasfilms.com; il che significa che sto partecipando alla vita di questo pianeta!

L’archivio dei film sperimentali e indipendenti da te realizzato è un’iniziativa culturale che tende a sostenere quella specifica produzione che, tra l’altro, non ha avuto sufficienti riconoscimenti? È anche un’opera che legittima il tuo vissuto attraverso il cinema?
Non faccio film sperimentali. Nessuno li fa! FACCIO solo film. E così ha fatto Brakhage e fa Kenneth Anger; noi NON SPERIMENTIAMO!!! E questo non ha nulla a che fare con una “iniziativa culturale” o “produzione”, o la legittimazione! Siamo poeti del cinema e non possiamo essere in alcun altro modo e non abbiamo bisogno di riconoscimento o legittimazione. Noi siamo qui!

Se non sbaglio, nel film Reminiscences of a journey to Lithuania, proiettato a Basilea, più che soffermarti sugli aspetti contemplativi di tipo romantico, hai voluto privilegiare i valori umani tradizionali della tua famiglia contadina, evitando filtri e sovrastrutture per rispetto delle verità esistenziali.
Nel mio film io non promuovo “valori umani tradizionali”. Quando stavo girando nel villaggio natale, il mio unico desiderio era di registrare alcuni dettagli di esso, in modo da avere qualcosa da mostrare ai miei amici così che potessero avere qualche idea del background da cui provengo. L’ho fatto per me stesso e per i miei amici.

Di quel film sorprende anche la naturalezza dei comportamenti dei ‘protagonisti’. Facevi le riprese anche di nascosto?
No, nulla è stato fatto in segreto. Non ho mai girato in segreto. Tutti sapevano che io stavo girando, ma a nessuno importava, perché io non stavo lì come film-maker. Ero lì come parte della vita. Ero invisibile. Ero l’invisibile filmmaker.

Luciano Marucci
(Traduzione dall’inglese di Ciro Cocozza)


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