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La casa dei Rosmer in scena al Teatro Storchi di M...

La casa dei Rosmer in scena al Teatro Storchi di Modena

Vale sempre la pena di vedere o (rivedere) in scena i grandi classici del teatro, soprattutto se rappresentati senza forzati aggiornamenti scenici o testuali che rischiano di annacquarne l’essenza in ammiccamenti alla sensibilità contemporanea che nella maggior parte dei casi non reggono il confronto con l’opera originale. Non bisogna avere paura di rappresentare i classici presentandoli come tali, ma occorre fidarsi della loro capacità di parlare ancora di noi nonostante il passare del tempo e le mutate congiunture sociali, epocali e culturali. Sceglie a ragion veduta di percorrere questa strada la storica coppia artistica formata da Elena Bucci e Marco Sgrosso nella rappresentazione de “La casa dei Rosmer, Rosmersholm” da Henrik Ibsen (1828, Skien – Oslo, 1906), in programmazione al Teatro Storchi di Modena fino al 16 febbraio 2025.

“La casa dei Rosmer” da Henrik Ibsen, progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso, ph Ilaria Costanzo, courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro

“La casa dei Rosmer” da Henrik Ibsen, progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso, ph Ilaria Costanzo, courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro

La pièce del drammaturgo svedese, scritta nel 1886 e appartenente alla fase più sociale del teatro ibseniano, è incentrata su una complessa convergenza di storia nazionale e introspezione psicologica ed è stata scelta per la sua attinenza con il nostro contraddittorio presente, in cui, nelle parole di Elena Bucci, «vacillano molte conquiste civili, politiche, sociali che sembravano acquisite, dove si scontrano rinati totalitarismi e democrazie ferite, dove l’economia pare governare ogni atto umano soffocando diritti ed ideali, dove il pianeta manda inequivocabili segnali di sofferenza». Il dramma, fatto tutto di dialogo e narrazione, senza che nessuna vera e propria azione prenda corpo sul palcoscenico, racconta il rapporto morboso dell’ex pastore protestante Johannes Rosmer con Rebecca West, amica della sua defunta moglie trasferitasi nella casa di famiglia quando quest’ultima era ancora in vita e segretamente responsabile, come si intuisce fin da subito, del suo tragico suicidio. In un crescendo di tragicità, che manifesta la distanza tra ciò che l’essere umano vuole e le sue possibilità, i due arrivano a mettersi a nudo l’un l’altra di fronte al pubblico, svelando l’intricata rete di passioni (anche intellettuali, etiche e politiche) sottesa alle loro vite in apparenza statiche.

“La casa dei Rosmer” da Henrik Ibsen, progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso, ph Ilaria Costanzo, courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro

“La casa dei Rosmer” da Henrik Ibsen, progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso, ph Ilaria Costanzo, courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro

La scenografia è efficace nella sua essenzialità: al centro del palco un mazzo di fiori in un vaso di vetro, allusione agli ornamenti della dimora borghese abitata dai due, ma anche prefigurazione di un passato e di un destino funerei. Poi una composizione di quinte semi-trasparenti, che custodiscono le ombre dei personaggi come presenze cristallizzate anche quando sono usciti di scena e che la luce tinge di colori differenti a seconda delle ore del giorno e dell’intonazione emotiva del momento. La casa dei Rosmer è abitata da molti spettri, anzitutto quello di Beata, impazzita di dolore nell’apprendere la sua impossibilità a diventare madre assieme all’intuizione dell’amore del marito per l’altra donna, ma anche gli avi della casata, rispettati membri della comunità locale sotto la cui superficiale integrità possiamo immaginare serpeggino inquietudini e rimozioni analoghe a quelle dei due protagonisti e, in fondo, di tutti noi. Poche sedie, che quando vengono occupate dai personaggi attivi nei dialoghi ne rimarcano le mutevoli relazioni per poi ospitarli, di spalle e non illuminati, come se fossero pensieri sospesi quando assistono silenti (e tecnicamente non presenti) ai dialoghi in cui non sono coinvolti. Azzeccata la scelta di non amplificare la voce degli attori con il microfono, consuetudine oramai diffusa che, benché funzionale alla fruizione, risulta inevitabilmente distanziante, soprattutto nel caso di opere storiche rappresentate, come qui, con allestimenti scenici e costumi più prossimi alla tradizione che alla contemporaneità. Appare a questo proposito volutamente straniante nella sobria drammaturgia sonora a cura di Raffaele Bassetti l’inserzione episodica di una traccia registrata vocale in cui riecheggiano le parole degli attori, quasi a volerli soverchiare con le voci interiori dei pensieri e dei ricordi rimossi dei loro personaggi.

“La casa dei Rosmer” da Henrik Ibsen, progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso, ph Ilaria Costanzo, courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro

“La casa dei Rosmer” da Henrik Ibsen, progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso, ph Ilaria Costanzo, courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro

Se i due protagonisti, interpretati da Elena Bucci e Marco Sgrosso, mantengono per tutta la durata della pièce un unico registro interpretativo, emblematico delle loro algide passioni del tutto mentali, ai personaggi comprimari è affidato il ruolo di reagenti dell’azione scenica, con le loro incursioni stralunate da favola noir. Il rettore Kroll (Emanuele Carucci Viterbi), il giornalista Peder Mortensgaard (Valerio Pietrovita), l’agitatore politico Ulrik Brendel e la governante Madama Helseth (Francesco Pennacchia) sono vivaci tipizzazioni caratteriali che fanno collidere la sfera pubblica, di cui i loro discorsi sono espressione, con quella privata, manifestata dai loro tic e dalle loro ossessioni personali, le cui ragioni s’intersecano inestricabilmente con la prima. Nel loro insieme, sembrano coalizzarsi in un cupo balletto meccanico in quanto forze esterne, seppur tra loro antagoniste, convergenti nel far esplodere la lucida follia di Giovanni Rosmer, trincerato in una dimensione intellettuale e anaffettiva che lo protegge dai sussulti esistenziali, e Rebecca West, animata da una volontà cieca per tutta la pièce protesa verso un utopico obiettivo oltranzista, quello di liberare Rosmer dai vincoli che gli impediscono di abbracciare appieno la propria interiore riforma idealista. Merito della regia di Elena Bucci il fatto di lasciare ampio potere al testo drammaturgico, vero e proprio metronomo dell’azione scenica, anche se forse ci sarebbe piaciuto vedere una Rebecca West più sfaccettata e carismatica, meno misurata nell’avviarsi a un climax finale che sceglie di non squarciare il velo sulla fosca intimità dei personaggi per rimanere in una dimensione trasognata.

Info:

https://modena.emiliaromagnateatro.com/spettacolo/la-casa-dei-rosmer/


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