È possibile avverare l’ossimoro di una danza che si attua nella più completa immobilità? Se qualsiasi elemento di matrice biologica è vivificato dall’interno da un costante movimento, impercettibile in superficie, come si possono distillarne gli andamenti centrifughi in modo da trasformarli in attitudini corporee leggibili anche dall’esterno? Come creare una connessione con i nostri simili (e non) in assenza di contatto visivo, auditivo e corporeo? E ancora: se la pluralità dell’osmosi è l’ambito entro al quale questi interrogativi cercano una soluzione, quali ripercussioni ha tale orientamento nella percezione della distinzione tra il sé e l’altro?

CollettivO CineticO, “Manifesto Cannibale”, concept, regia, testi Francesca Pennini, ph. courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro
A ragion veduta, nel balletto, si definisce “corpo di ballo” il gruppo formato da danzatori e danzatrici non solisti che si comportano come un unico organismo interconnesso. È possibile estendere questo concetto allo spettacolo tout court integrandovi anche il pubblico, di solito collocato in funzione complementare e opposta ai performer in scena? Queste sono solo alcune delle domande suscitate da Manifesto Cannibale di CollettivO CineticO, spettacolo debuttato al Romeuropa Festival nel 2021, di recente riproposto in versione ampliata al Teatro Arena del Sole di Bologna. La pièce, sfuggendo alle maglie dei generi drammaturgici tradizionali, come danza, teatro e arti visive, esplora inconsuete possibilità di compenetrazione tra neuroscienza, creazione artistica, linguaggio (verbale e non) e movimento a partire da una specifica condizione dei corpi assurta a regola generativa della scena, ovvero l’immedesimazione nello stato vegetale, inteso come emblema di alterità che invita a rileggere la nozione di umano. L’idea di rete e di relazione è centrale in questi argomenti, come nel metodo di lavoro di CollettivO CineticO, una costellazione mobile di oltre cinquanta artisti provenienti da discipline diverse. Focus principale della ricerca del gruppo è la ridiscussione della natura dell’evento performativo e del rapporto con lo spettatore attraverso la creazione eterodiretta e poli-autoriale di dispositivi performativi interdisciplinari di estremo rigore rigorosi ma al contempo poetici e ludici.

CollettivO CineticO, “Manifesto Cannibale”, concept, regia, testi Francesca Pennini, ph. courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro
Gli spettatori sono dunque accolti in scena dalla coreografa Francesca Pennini (fondatrice di CollettivO CineticO e autrice di concept, regia, testi di Manifesto Cannibale) che con linguaggio informale racconta la genesi dello spettacolo e le sue eccentriche “regole” di fruizione: si inizia quando sceglie il pubblico, è possibile fruirlo a occhi chiusi e anche dormendo, nella pausa tra la prima e la seconda parte è consigliato uscire dalla sala, si è liberi di andarsene quando si vuole, l’ultima parte avrà una durata variabile e sarà una prova di resistenza sia per il pubblico sia per gli interpreti. Ci saranno scene di nudo, luci lampeggianti e suoni forti, ma anche buio e silenzio. Questo intro, come diventerà più chiaro andando avanti, anticipa che il filo conduttore dello spettacolo, al di là delle tematiche di contesto, è la sua stessa modalità di costruzione, la cui esplicitazione scenica è necessaria per essere investiti dall’agnizione finale. Il palco diventa dunque una sorta di sala prove aperta, dove a essere messo in scena è il laboratorio mentale dell’autrice, di cui lei stessa e gli altri interpreti diventeranno le sinapsi. Alle spalle di Pennini, seduta in questo monologo sulla scaletta in ferro che collega il palco alla platea, una composizione formata dai corpi nudi e immobili dei altri componenti del gruppo (Simone Arganini, Davide Finotti, Teodora Grano, Carmine Parise, Angelo Pedroni) sdraiati l’uno accanto all’altro come in balia di un profondo sogno indotto. Tutti indossano delle cuffie rosse insonorizzanti che li isolano dalla situazione circostante e anche l’essenziale scenografia, immersa in una luce atmosfericamente astratta, appare scandita da solitarie presenze “dormienti”, celate da lenzuoli bianchi. Anche Pennini, che dichiara di non aver mai visto il suo spettacolo se non in foto, al termine dell’introduzione diventa uno di questi fantasmi, salendo in scena e nascondendosi sotto uno di questi teli.

CollettivO CineticO, “Manifesto Cannibale”, concept, regia, testi Francesca Pennini, ph. courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro
Uno spettatore (non è importante essere sicuri se previo accordo o no) esegue le istruzioni della coreografa e tira con gentilezza la corda legata al piede di uno dei dormienti per risvegliarlo e dare inizio al lungo prologo che precede lo spettacolo vero e proprio. Si susseguono a questo punto ventiquattro quadri scenici possibili, che l’autrice chiama Esercizi di Pornografia Vegetale, in cui gli interpreti, in solitaria o in gruppo, si animano al suono di Winterreise (Viaggio d’inverno), il più famoso ciclo di Lieder di Schubert e fra i più noti nella storia della musica. Talvolta la musica che si sente è una registrazione con la voce di Dietrich Fischer-Dieskau, talaltra viene eseguita dal vivo da un musicista (Davide Finotti e, occasionalmente, qualche volontario reclutato tra il pubblico) che suona un pianoforte a un certo punto svelato in scena. Il lavoro iniziale sul sonno come esercizio e chiave di accesso all’essere vegetale è propedeutico (per gli interpreti come per gli spettatori) allo scandagliare cosa succede in una condizione di presunta immobilità, di cui la pianta è emblema, dove tutto avviene nei millimetri intorno al corpo vivente.

CollettivO CineticO, “Manifesto Cannibale”, concept, regia, testi Francesca Pennini, ph. courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro
Cosa significa, quindi, per un danzatore o una danzatrice essere immobile e quanta danza c’è nello spazio di questa immobilità? E la danza (lieve, aggraziata, surreale, mimetica, a tratti virtuosistica) si riproduce in una rigogliosa gemmazione in cui gli interpreti sembrano davvero concentrati a elaborare il carattere dei loro movimenti a partire dal risveglio vegetale di una singola infinitesima parte dei loro corpi. Ogni scena è interrotta all’improvviso dal rumoroso lampeggiare di un flash attivato dalla coreografa cieca sotto al lenzuolo, che blocca ogni performer nella posizione in cui trova. In ciascuna di queste interruzioni, lei ha accesso alla scena ferma per far notare al pubblico le difficoltà della postura di ciascuno, per riflettere sulle prossime traiettorie dei loro movimenti o per chiedere agli spettatori suggerimenti su come modificare il seguito dell’azione congelata. Questi inserti parlati, di primo acchito disturbanti rispetto al piacere di abbandonarsi alle suggestioni di quella che potremmo definire come una sorta di delicata “allucinazione concettuale”, si rivelano man mano sempre più avvincenti nel guidare il pubblico verso un’analisi dettagliata del processo in atto, ovvero la capillare identificazione degli interpreti nell’essere vegetale sotto forma di danza aliena. È un crescendo di coinvolgimento e di moltiplicazione degli input percettivi, ritmato da divertenti incursioni nel gioco e nella fiaba scenografica. Terminata la prima parte, come anticipato, la sequenza si interrompe con una pausa di 12 min., intesa come una scena a tutti gli effetti e chiamata Vomitorium, dal nome dell’ingresso laterale dei teatri romani riservato al deflusso degli spettatori, ma funzionante come un intervallo.

CollettivO CineticO, “Manifesto Cannibale”, concept, regia, testi Francesca Pennini, ph. courtesy ERT – Emilia Romagna Teatro
Si rientra e, infine, si scopre cos’è Manifesto Cannibale: il culmine di un progetto perfetto ma irrealizzabile, una coreografia statica in cui gli interpreti, ancora una volta a occhi chiusi, devono rimanere immobili nella postura in cui sono stati bloccati da un segnale convenuto per un tempo interminabile, danzando interiormente la musica che ciascuno di loro sente in cuffia, una playlist collaborativa generata dal pubblico (ascolta su Spotify). È la fine della danza, una gara di resistenza in cui chi cede abbandona il palco e condivide la propria musica con il pubblico. Tutto questo dura all’incirca un’ora, durante la quale gli spettatori, allenati dagli esercizi precedenti a riconoscere quest’assenza di movimento come danza, sostengono i performer nello sforzo fisico e mentale con applausi scroscianti che si intensificano quando qualcuno di loro, esausto, interrompe l’esecuzione appena un attimo prima di allentare la tensione di qualche muscolo deformando la posa. E poi, il catartico sovvertimento finale: il pubblico che ha resistito balla in platea di fronte ai danzatori superstiti ancora fermi nella loro posa, come se davvero entrambi gli schieramenti facessero parte di un macro organismo interconnesso. Altri aspetti sarebbero da sottolineare in questa funambolica architettura drammaturgica, come la connotazione politica della valorizzazione di uno spazio non produttivo, la rinegoziazione del concetto di alterità nella proposta di un paradigma di fluidità interspecie, il rapporto inedito tra il movimento e una scrittura fondativa concepita come florilegio di suggestioni, ma il cuore di tutto è proprio qui, in questa potente evocazione del mistero della danza nella sfida (riuscita) di coreografare la sua impossibilità.
Info.
www.bologna.emiliaromagnateatro.com
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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