Nella società contemporanea, l’arte pubblica sembra non suscitare più l’interesse di un tempo, salvo rare eccezioni. Le città sono disseminate di opere monumentali, ma le persone vi passano accanto distrattamente, senza soffermarvisi. Si tratta di un problema legato alla noncuranza e a uno stile di vita frenetico oppure alla natura stessa delle opere che non riescono a catturare la nostra attenzione? In alcuni casi, un’opera può veicolare una memoria scomoda, che si preferisce ignorare o addirittura censurare. La tematica dell’arte pubblica è complessa e sfaccettata. Vittorio Corsini (Cecina,1956. Vive e lavora a Milano) propone un approccio che immerge le persone e le comunità nell’opera stessa, rendendole partecipi e riconoscendole come parte integrante del lavoro.

Vittorio Corsini intervistato da Pietro Coppi, foto di Andrea Fais
L’artista, professore di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Milano, annovera tra le sue mostre personali quelle tenute al MACRO di Roma, al Palazzo delle Papesse di Siena e il progetto più importante, intitolato Ospite Ospitante, realizzato alla XVIII Mostra Internazionale di Architettura di Venezia nel 2023 nel padiglione di San Marino. Le sue creazioni non sono elementi estranei al contesto urbano, ma dialogano con chi vive i luoghi in cui vengono installate. Per Corsini, infatti, l’opera nasce sempre dai privati che abitano lo spazio pubblico, che in esso possono ritrovarsi, riflettersi e riconoscersi. L’arte pubblica, quindi, diventa un segno: qualcosa da interpretare, capace di suggerire nuove prospettive di confronto tra gli abitanti. Esempi come quello di Corsini mostrano una strada diversa, una via che sfugge all’individualismo e punta invece l’attenzione sulla collettività.

Vittorio Corsini, “Lo sguardo di Peccioli”, 2017, stampa su legno, 530 x 3500 cm, courtesy dell’artista
Pietro Coppi: Preparando quest’intervista ho pensato di concentrarla soprattutto sui tuoi interventi pubblici, analizzando la funzione che essi hanno all’interno dei luoghi in cui sono inseriti, ma anche riflettendo in generale sul valore che oggi ha l’arte pubblica. Si può ancora parlare di monumento? Che funzione hanno le tue opere nel momento in cui diventano pubbliche?
Vittorio Corsini: Molti sostengono che le opere, quando nascono, sono sempre pubbliche, che si trovino in una casa privata o in una piazza, però ci sono delle differenze di base. Per il mio modo di lavorare, l’opera pubblica nasce nel luogo in cui andrà e in relazione con esso, in stretto contatto con problematiche, sguardi e persone. Tutto ciò che concorre a rendere tale quel luogo, quindi l’aria, le persone, l’architettura, il paesaggio, il vento, e così via diventa parte dell’opera. Ecco cosa succede generalmente nel mio processo creativo: prima entro in relazione con qualcosa, cercando di capire cosa accade in quel luogo alle persone che lo abitano. Sono loro, in realtà, che danno l’anima a un luogo, a seconda di come lo vivono e di come ci si muovono dentro. Dunque l’opera d’arte pubblica, non può essere monumentale per il suo valore concettuale, ovvero, di prendere senso, sfruttando, attingendo e mettendo le radici nel luogo in cui è posizionata. Il monumento, invece rimane tale ovunque lo si sposta.

Vittorio Corsini, “Le parole scaldano”, 2004, vetro, inox, acqua, Quarrata, Pistoia, courtesy dell’artista
Per l’appunto pensavo di incentrare la seconda domanda sul tuo coinvolgimento della comunità che andrà a ospitare il tuo lavoro. Ho rintracciato questa dinamica nella tua pratica, c’è sempre un “sé” consapevole che si introduce all’interno di un “noi”, di una comunità. Penso all’opera Lo sguardo di Peccioli, che poi hai esposto a New York, ma anche a Le parole scaldano a Pistoia, dove, effettivamente l’opera d’arte pubblica diventa patrimonio della comunità e delle persone che la compongono.
Lo sguardo di Peccioli e Le parole scaldano, ma anche una delle mie opere più recenti, Benvenuti in città sono espressione di modalità partecipative diverse. L’ultima è composta di tre video, proiettati su tre schermi di sei metri l’uno, che mostrano dei ragazzi che accolgono ballando chi arriva a Peccioli in automobile. Sono i giovani del luogo, quindi è un vero e proprio benvenuto. Lo sguardo di Peccioli, invece, è un’opera fondativa della comunità perché le persone vi si riconoscono: sono gli occhi fotografati di tutti abitanti del paese, messi su un vecchio muro affacciato sulla vallata. È chiaro che un’opera del genere assume quel valore solo in un piccolo borgo, mentre in città acquisterebbe un altro senso. Infatti, a New York, cambia senso, acquista una dimensione diversa, si trasforma in gita, in avamposto. L’altra che hai citato, Le parole scaldano, ubicata a Pistoia, ha coinvolto delle persone, in modo diverso. Ho realizzato una fontana chiedendo prima ai cittadini cosa avrebbero voluto scrivere su di essa, perché è inevitabile che un’opera pubblica diventi anche una sorta di parafulmine, un recettore dei malcontenti, delle ipotesi, di tutto ciò che passa per la testa delle persone che vivono quel luogo. Soprattutto i giovani hanno voglia di esprimere il loro dissenso, i loro dissapori o le loro speranze. Ho quindi disposto in giro delle scatole, dove tutti potevano inserire i loro pensieri scritti in forma anonima, che sono stati poi riportati sulla fontana. È una sorta di casa con le pareti di vetro, attraverso la quale si può entrare nella testa della comunità di Quarrata.

Vittorio Corsini, “Benvenuti in città”, 2023, courtesy dell’artista
Hai sempre rimarcato il valore della calligrafia dei messaggi, cercando di mantenerla invariata il più possibile nelle frasi scritte dai cittadini poi riportate sulla fontana.
Questa è un’altra cosa che mi incuriosisce sempre molto. Mi interessa il rapporto tra il pubblico e il privato inteso come entità autonoma, con desideri, pulsioni, frustrazioni e tutte le altre componenti che caratterizzano l’individuo. La calligrafia è un dato molto importante della singolarità della persona, quindi, a Quarrata, è rimasta esattamente quella delle persone che hanno scritto. Il fatto di rendere pubblica la calligrafia delle persone tramite le sculture ambientali rende, di conseguenza, pubblico anche il loro esistere, le loro intuizioni e la loro intimità. È come divulgare il polpastrello di una persona: è un dato identificativo.

Vittorio Corsini, “Né dentro né fuori”, 2023, ferro verniciato, 800 x 400 x 25 cm, courtesy Galleria ME Vannnucci, Pistoia
Si potrebbe dire che la tua è un’arte privata in uno spazio pubblico. Penso all’opera Meno270, dove i confini della casa pian piano sfumano, come i confini tra pubblico e privato.
La mia grande voglia è quella di aprire casa. Molte delle mie sculture hanno preso la forma di case aperte, dove le pareti scompaiono o si aprono come lo sviluppo di una scatola. L’idea di fondo è non decretare la demarcazione tra l’interno e l’esterno, ma immaginare che entrambi siano ambiti fruibili, morbidi e liquidi. Da qui viene il fatto di pensare la casa non come un luogo di reclusione, ma come un luogo in cui si affinano situazioni e nascono confronti. Questo margine, questa parete, che divide pubblico e privato, non è soltanto mobile, ma molto disponibile. Ho cercando di evidenziare questo confine attraverso segni messi in terra. Ho fatto a questo modo, per esempio, in Meno270, dove la conformazione della casa al piano superiore è stata riprodotta nel piano inferiore della galleria. Mi interessava che il pubblico mescolasse quelle linee nere, che erano anche i confini, i muri.

Vittorio Corsini, “Ospite ospitante”, 2023, Padiglione San Marino, XVIII Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, foto di Silvio Salvador, courtesy dell’artista
Ti ringrazio, penso che sia utile il discorso sull’opera pubblica oggi, visto che spesso si parla di monumenti e della rimozione di alcuni di essi.
L’opera d’arte pubblica è fondamentale. Dove mancano le opere pubbliche, manca la civiltà. Le periferie delle grandi città sono, in un certo senso, abbandonate dai segni. Un’opera pubblica è sempre un segno. Anche quando viene vandalizzata, è perché viene riconosciuta come tale. Ha una sua importanza. Dove mancano questi segni, manca la società. Sono i segni in ambito pubblico che rendono evidente la nostra appartenenza a una società, la loro mancanza trasforma gli spazi in pozze melmose dove tutto diventa possibile e dove non ci si riconosce. I segni stanno in mezzo alle persone, stanno proprio nello spazio fisico di due corpi. Le sculture pubbliche sono segni che invitano a comportamenti etici, sono presenze che agiscono al di là della nostra capacità di interpretarle, sono pilastri del nostro tempo.
Pietro Coppi
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