Portanova 12, galleria bolognese di riferimento nella diffusione della cultura e delle estetiche dell’arte urbana applicate al piccolo e medio formato da collezionismo, inaugura la stagione espositiva con “Sei cattedrali”, personale di Roberto Rizzoli (Bologna, 1952). La mostra è un’originale riflessione su un progetto nato nel 1991 che ripensa la serie pittorica realizzata dall’artista più di trent’anni fa rileggendola a posteriori con l’intento di rilevarne l’intrinseca vocazione ambientale, di cui si mette in luce la valenza anticipatoria rispetto a quella che, come afferma il curatore Antonio Storelli, è oggi «una delle pratiche artistiche più peculiari e caratteristiche della nostra contemporaneità». Gli spazi della galleria, solitamente trasformati dai colori accesi tipici del muralismo urbano, sono ora scanditi da sei eleganti teleri a parete tutti giocati sui toni del bianco, nero e grigio, che nel loro insieme compongono un’ambiente abitabile e perfettamente calibrato nei suoi rapporti di forza segnici e cromatici. L’ispirazione iniziale del ciclo scaturisce dall’osservazione degli equilibri e del rigore progettuale del Duomo di Modena, monumentale impresa architettonica del medioevo emiliano che suggerisce a Rizzoli l’idea di orchestrare la sua pittura come un cantiere in cui ricreare quell’inarrivabile rapporto di correlazione e d’interdipendenza tra dettaglio e macro-struttura che l’architetto Lanfranco, assieme allo scultore Wiligelmo e a una nutrita squadra di muratori e lapicidi, mise in opera nell’XI secolo.
Anche l’elaborazione del pittore si gioca, dunque, sui tempi lunghi, inizialmente quelli progettuali in cui si dedica a studi grafici di oggetti (reali o mentali) e a brani di pura pittura, da riassemblare con un’esecuzione altrettanto meticolosa in una complessa macchina visiva in cui l’insieme funziona come unicum, ma ciascun componente riesce a reggersi anche individualmente. La realizzazione dura circa due anni e si fonda sull’indagine delle infinite possibilità di variazione morfologica e di texture di un set predeterminato di elementi geometrici o figurativi svincolati da un preciso referente, di cui si verificano le differenti possibilità combinatorie ed espressive. I motivi geometrici ricorrenti, come il quadrato, il cerchio o il rombo, e la ripetizione di certi elementi in apparenza più istintivi, come ondulazioni e zig-zag lineari, e l’inserimento di oggetti, quali conchiglie e stelle, compongono un pantheon laico di simboli svuotati di valenza allegorica. L’artista definisce questi costrutti linguistici del suo personale vocabolario come «cose poetiche trovate», a conferma del fatto che la sua è una riflessione tutta interna alla pittura e alle sue logiche processuali.
Fondamentale è per lui l’idea di artigianalità nel lavoro mutuata dal cantiere medievale, assieme all’apertura all’incidente, imprevisto anche nella più attenta progettazione, come fertile innesco di ulteriori potenzialità di sviluppo. Le grandi tele in mostra, ciascuna delle quali misura circa tre metri per tre, appaiono quindi al tempo stesso omogenee ed estremamente variate, sia che le si consideri in tutta la loro estensione, sia che ci si soffermi sui particolari della cui somma sono il risultato. In certi casi la superficie è movimentata da una sorta di reticolatura, ottenuta con un paziente lavoro di mascherature in fase di realizzazione, che richiama alla mente la sgranatura ingigantita di una serigrafia e la sua artificiale articolazione dei piani attraverso il vuoto esibito pur nella ricerca dell’immagine piatta, ancora ravvivata a uno sguardo ravvicinato dal trapelare della trama del supporto. In altri casi lo spessore e il corpo del colore acrilico si fanno più liquidi grazie al sovrapporsi di velature leggere e qui la tridimensionalità è evocata da un gioco concettuale di ombre scure del tutto indipendenti dagli elementi a cui sono prossime, come se la loro presenza rendesse percepibili altri oggetti pittorici altrimenti invisibili.
Spazi aperti che si rivelano chiusi, vuoti e pieni interscambiabili, simmetrie imperfette che spingono le forme a una continua mutazione: questa la «poesia del nulla» di Roberto Rizzoli, frase cui con cui egli stesso sintetizza la capacità della pittura di “essere di per sé”, senza necessità di illudere con una finalizzazione mimetica, espressiva o concettuale. L’aspetto più sperimentale del ciclo esposto a Portanova 12 è il tentativo, convincente, di testare tale concezione in scala ambientale, immaginando i lavori come opere murarie e come ideali bassorilievi in cui la tridimensionalità assume una valenza strutturale. In mostra, infatti, troviamo alcuni oggetti più dichiaratamente scultorei, presentati come mockup di un’ipotetica messa in opera urbana del progetto. Lo sguardo dello spettatore è invitato a transitare da una superficie all’altra rilevandone la sostanziale continuità a prescindere che si tratti di pittura intesa in senso stretto o della sua traslazione oggettuale propedeutica all’eventuale estensione ambientale. In tale costitutiva reciprocità il linguaggio dell’artista si rivela essere sorprendentemente coerente sia con la logica “organica” medievale da cui questo ciclo ha origine sia con la processualità additiva e generativa del digitale, la cui portata in quegli anni doveva ancora deflagrare. Ciò che invece collega le pitture agli anni della loro creazione è invece la loro intonazione estetica, a mio avviso più o meno consciamente nutrita dall’espressività energetica di Keith Haring (non a caso, uno street artist) e dalle stilizzazioni primitiviste di Mimmo Palladino, autore nel periodo di massimo successo della Transavanguardia di grandiose composizioni pittoriche fondate sulla giustapposizione di elementari ricorrenze segniche o figurative e di imponenti opere pubbliche, come ad esempio la Porta di Lampedusa (2008), in cui la stessa pittura si fa tridimensionale.
Info:
Roberto Rizzoli. Sei cattedrali
12/09 – 5/10/2024
A cura di Antonio Storelli
Portanova 12
Via Portanova 12, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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