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Le vite indossabili di Carmen Schabracq

Le vite indossabili di Carmen Schabracq

Se il senso di appartenenza potesse essere formalizzato, prenderebbe forma nell’arte di Carmen Schabracq (Amsterdam, 1988). The Mothers I Wear – una mostra splendida e intensa sia dal punto di vista visivo e sia da quello concettuale – è attualmente in corso alla RedLab Gallery di Milano. Sotto l’affascinante e perspicace curatela di Leonardo Regano, il corpus dell’opera di Schabracq diventa una narrazione della continuità generazionale, della leggerezza della collettività e della maternità consapevole.

1.Carmen Shabracq, “The Mothers I Wear”, installation view con “Piece of Life Tree”, 2024, lino applicato, lana e velluto. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

Carmen Shabracq, “The Mothers I Wear”, installation view con “Piece of Life Tree”, 2024, lino applicato, lana e velluto. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

Valeria Radkevych: Non appena entrata in galleria, ho avuto un riscontro visivo immediato. La tua arte parla del femminismo attraverso il corpo della donna nel modo più sincero possibile. Formalmente non si mette in linea con l’arte femminista convenzionale, ma lo è su altri livelli. Al centro, un’opera colpisce subito: una coperta-cavallo a forma di pelle di donna, morbida e accogliente.
Carmen Schabracq: Sì, esatto. Il mio femminismo è più legato al corpo femminile che a un discorso politico diretto, anche se penso che, in fondo, sia sempre politico. Credo che riguardi tutti, ed è importante che anche gli uomini siano femministi. Celebro la dimensione biologica della donna, ma non voglio mitizzare la madre: una donna senza figli è ugualmente potente. È fondamentale che non diventi un obbligo. A me, però, la maternità ha fatto capire tante cose.

Infatti, il tuo lavoro non fa il tifo per la maternità come concetto sociale, ma come esperienza corporea molto personale. Questo si vede in The Ring of Fire, per esempio.
The Ring of Fire celebra il momento più intenso del parto, quando compare la testa del bambino e l’energia vitale è al massimo. Si collega alla storia dell’arte, dove la donna che partorisce o mostra la vulva è simbolo di forza e protezione. La mia esperienza del parto è stata del tutto positiva e ha dato un senso più potente a questa storia. Durante il parto mi sono sentita come un animale, guidata dall’istinto. Anche se nel mio lavoro faccio molte ricerche, il mio modo di creare resta istintivo.

2.Carmen Shabracq, “The Ring of Fire”, 2024, lana e acrilico, uncinetto. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

Carmen Shabracq, “The Ring of Fire”, 2024, lana e acrilico, uncinetto. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

Pare che la nascita di tua figlia abbia aperto una riflessione sulla connessione familiare e sulla relazione con gli altri. L’opera When Roots Start Riding Horses raffigura un cavallo composto da corpi umani. È un riferimento alla collettività?
La maternità mi ha fatto riflettere sugli antenati. Avere una figlia significa dover passare qualcosa avanti, ma anche l’arte funziona così, lasciando sempre qualcosa per il futuro. L’idea dell’opera si basa su un concetto simile a “siamo sulle spalle dei giganti”, ma penso che non si debba vedere il passato come superiore a noi. Ognuno di noi è composto da tante persone che ci hanno preceduti, che portiamo dentro e trasmettiamo ai figli. La famiglia può essere biologica o scelta. Il cavallo, legato al mio cognome Schabracq, che significa “coperta per cavallo”, simboleggia la migrazione e il nomadismo. La mia famiglia ebrea si è sempre dovuta muovere, prima di stabilirsi ad Amsterdam, e penso che tutti portiamo in noi le tracce di questi spostamenti. Questo lavoro parla di memoria e di migrazione, ma anche della consapevolezza dei traumi che possono plasmare le generazioni e che possiamo cercare di trasmettere in modo più leggero.

3.Carmen Schabracq, “When Roots Start Riding Horses”, 2024, olio su lino. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

Carmen Schabracq, “When Roots Start Riding Horses”, 2024, olio su lino. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

È bello che il cavallo rappresenti la storia familiare. La memoria collettiva è quindi al centro della tua ricerca? Una serie di autoritratti qui, come immagino, non sarà autocelebrativa, ma rispecchierà sempre la dimensione di famiglia.
Entrambi i ritratti parlano di me, ma anche di mia madre e di mia nonna, soprattutto My Ancestors’ Wings, dove si colgono chiaramente i loro tratti. In un certo senso, sono anche ritratti di loro, perché fanno parte di me. Mi sono dipinta indossando i vestiti tradizionali della mia famiglia materna, provenienti dalle Fiandre della Zelanda, legati alla vita rurale e alla storia della mia terra. Nel costume tradizionale di Axel, oltre all’elemento del costume con le spalle alte e appuntite, c’è un dettaglio particolare, i “ricci d’oro”. Sono due corna che spuntano dal cappello bianco, un gioiello la cui origine è difficile da ricostruire perché chi ne conosceva la storia non c’è più.

Carmen Schabracq, “My Ancestors Wings”, 2025, olio su lino; “Bisnonna”, 2025, olio su lino. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

Carmen Schabracq, “My Ancestors Wings”, 2025, olio su lino; “Bisnonna”, 2025, olio su lino. Foto Simona Foi, courtesy Red Lab Gallery

A proposito di corna: le maschere, molto presenti nella tua produzione, spesso cornute, sono per te un travestimento o un nascondiglio?
Le maschere mi affascinano da sempre. Le studio da vent’anni, perché sono al tempo stesso oggetti d’arte e strumenti rituali, presenti in tutte le culture, soprattutto nei luoghi più isolati come montagne e isole. Non le uso per nascondermi, ma per entrare in un altro mondo, performativo e immaginario, legato a tradizioni pagane e al gioco. Mi colpisce come possano essere insieme spaventose e buffe, dure e tenere: penso ai diavoli bulgari o alle figure del Sud Italia, che scacciano il male con qualcosa di bello e giocoso. Questa ambivalenza mi appassiona, perché porta dolcezza e leggerezza nella vita.

Uno dei tuoi dipinti, La Bisnonna, mi ha fatto sorridere. È un teschio, quindi è così che ti immagini la tua bisnonna?
Sì, perché degli antenati di cui non conosci il volto resta solo il teschio. Io, per esempio, ho un teschio vero nel mio studio, e mi piace molto avere oggetti reali da cui trarre ispirazione. Me l’hanno regalato, e mi capita spesso di immaginare chi possa essere stato da vivo.

Valeria Radkevych

Info:

Carmen Schabracq. The Mothers I Wear
24/09/2025 – 15/11/2025
Red Lab Gallery
via Solari 46, Milano
redlabgallery.com


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