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Lo scudo di Achille. Emanuele Becheri alla galleria Fuoricampo di Siena

«Sai che t’avverrà, praticando il disegnare di penna?
che ti farà sperto, pratico e capace di molto disegno entro la testa tua.»
(Cennini, Il Libro dell’arte, XIII)

Spesso e volentieri, parlando del disegno come pratica contemporanea, diversa critica suole riprendere il mito del vasaio Butade, tramandato da Plinio il Vecchio nel fondamentale Naturalis Historia, nell’onorevole intenzione di rinfocolare l’aura leggendaria di questa tecnica arcaica.

La citazione del mito, dove la figlia dell’artigiano ricalca l’ombra dell’amato per imprimere la sua effige, mentre le abili mani del padre ne modellano sui segni tracciati una terracotta, è stata consumata nei secoli (Alberti, Vasari, Regnault, Fussli …) contribuendo senz’altro ad alimentare l’aspetto romantico del disegno, traghettato nel corso del Novecento fino a conquistare un valore postmediale (al pari del cinema). Il percorso di Emanuele Becheri, in mostra presso la galleria Fuoricampo di Siena fino all’11 luglio, è somatico prima che psichico, evoluto non solo per la longevità conquistata in quasi vent’anni di ricerca ma per il sempre più cosciente rimpolparsi di grovigli relazionali delle sue opere. Stati d’animo, caratterizzata dalla duplice locazione tra la galleria e la Sala di San Galgano nel complesso di Santa Maria della Scala (visitabile fino al 6 luglio) verte sull’intimo e turbolento rapporto tra il disegno e la scultura, presentando alcuni concilianti pezzi della produzione recente dell’artista.

Se nei primi lavori il Becheri ricercava una dispersione autoriale concependo il caso come elemento di creazione declinato in gesti ciechi (Donner à Voir, 2004) o incontrollati (Shining, 2007), nelle ultimissime opere è lampante la presenza manuale (persino digitale) dell’artista, indice di un progresso intellettuale simile all’Évolution créatrice (1907) di Bergson, dov’egli afferma che l’uomo dovrebbe definirsi homo faber piuttosto che homo sapiens. La coerenza di percorso, oltre a riguardi estetici, viene alla luce per la costante imprevedibilità sistematica delle opere, non più limitata nell’atto creativo ma ora allargata al momento percettivo del fruitore, spostando coscientemente il baricentro artistico: l’oggetto diviene arte non nel momento in cui è fatto, ma nel momento in cui è visto, così come la poesia diviene arte non quando è scritta ma quando viene letta.

La dispersione autoriale è così mantenuta.

In tal senso, più che agli innumerevoli e stuzzicanti rimandi visuali1 preme sottolineare due punti sulla mostra senese di matrice letterario-concettuale: l’aspetto Ecfrastico e l’aspetto Cristologico.

La necessità di scandire l’opera attraverso vari mezzi interpretativi (memoria, suggestione, prospettiva, …) pone un valore di costante traduzione sull’opera stessa e un’ennesima vaporizzazione dell’autenticità. L’ecfrasi (dal greco èk-phrasis, “fuori-descrivere”) nell’ambito della storia dell’arte ha assunto valori estetici che spesso si accordavano, se non addirittura competevano, con i lavori plastici specie quando i soggetti erano pezzi perduti o inesistenti. Nel caso del Becheri è la fisiognomica ad essere oggetto di descrizione caricando le sculture e i disegni di un’eloquenza letteraria raggiunta con una téchne sofferta ed erosiva, l’artista diviene il fiume che erode con costanza e fatica epica «… è l’acqua cheta, l’acqua che rovina i ponti, che si insinua in ogni anfratto e lambisce ogni cala … gorgoglia nei sotterranei e nelle chiaviche»2.

La dinamicità mutevole del suo lavoro si arricchisce di connotati psico-teologici in relazione, innegabilmente indotta, alla seconda location della mostra in una sala ex corsia femminile del pellegrinaio di Santa Maria della Scala. Per chiarire, viene in soccorso proprio il monogramma dello Spedale con la scala sormontata da una croce3: il cammino calvarico e trascendente dell’artista per quanto appaia immediato e spontaneo risulta doloroso e catartico, senza tuttavia negarsi un filo di narcisismo o sprezzatura, come suggerisce lo stesso autore in una poesia introduttiva alla propria mostra. Riequilibra questa fuga pindarica la Pietas Carnis evidente nei lavori ma persino nel carattere dell’artista, corpo abbandonato tra le braccia della Natura capricciosa.

Becheri è Cristo, ma un cristo primitivo e autarchico, cannibale e romantico, il Themroc4 dell’arte.

[1] soprattutto Rodin: con Figura nel paesaggio, 2017 il Becheri pare ricostruire una piccola Porte de l’Enfer, 1889. Sul nesso tra la mano e il divino, sintetico ma efficace D. JARRASSÉ, La mano di Dio o la mano dell’artista, in Rodin – Forma e Movimento, Ed. Ita Rusconi Libri, Rimini, 2002, pg. 213-214.

[2] Cfr. M. PRAZ, Whitman e Proust, in Il patto col serpente: paralipomeni di “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica”, Milano, 1972, p.448.

[3] sull’aspetto anatomico del complesso della scala, in particolare sul riferimento al collum capitis Cfr. L. DI FONZO, La mariologia di san Bernardino da Siena, «Miscellanea francascana», 1947, 1-2, passim, e pp. 38-39, 41, 44, 55, 58, 59, 60.

[4] C. FARALDO, Themroc, France, 1973.

Info:

Emanuele Becheri. Stati d’animo
24 maggio – 11 luglio 2019
Galleria Fuoricampo
Via Salicotto 1/3, angolo Piazza del Campo, 53100 Siena (Italy)
info@galleriafuoricampo.com – www.galleriafuoricampo.com

Emanuele BecheriEmanuele Becheri. Stati d’animo, installation view at Galleria Fuoricampo, Siena

Emanuele Becheri. Stati d’animo, installation view at Galleria Fuoricampo, Siena

Emanuele Becheri, Stati d’animo#11, 2017 pongo on paper, 30 x 42 cm

Emanuele Becheri, Figura nel paesaggio, 2017, Santa Maria della Scala


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