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Luca Bertolo. Le imprevedibili virtù della pittura...

Luca Bertolo. Le imprevedibili virtù della pittura

«Chi per primo paragonò fra loro pittura e poesia, fu un uomo di fine sentimento che aveva colto in sé un effetto simile di entrambe le arti. Entrambe, egli percepiva, ci rappresentano oggetti assenti come se fossero presenti, la parvenza come la realtà; entrambe ci illudono, e l’illusione di entrambe piace.» E. Lessing, Laocoonte ovvero dei confini tra poesia e pittura, 1766.

La difficoltà critica di divergere sulla pittura attuale, al solco degli anni Venti del XXI secolo, tralasciando la questione anacronistica in quanto è convinzione di chi scrive che la Novità non può più essere considerata metro di valutazione1, risulta certamente avvedersi di una diffusa prosaicità. Contemplando, nella libertà espressiva, comunque fattuale una ricerca artistica pragmatica e razionale, l’efficacia di questa, tuttavia, non potrà mai fare a meno di una scintilla sentimentale, scaturita spesso proprio dalla pratica: è la proteina sintetizzata dal pensiero e la mano, l’essenza dell’Arte2.

Con la personale Why write? Why paint? proposta dalla galleria SpazioA di Pistoia fino al 10 gennaio 2020, Luca Bertolo sposta il baricentro della fenomenologia pittorica sul piano critico, in quanto elemento persistente nell’opera sia nella fase creativa che in quella fruitiva e persino durante la fase realizzativa: l’opera d’arte, essendo manifestazione di un linguaggio, mantiene costante un concetto che inevitabilmente esonda e confluisce in altri. Se la matrice letteraria spicca già dal titolo, omaggio allo scrittore americano Philip Roth, ripreso plasticamente con un lavoro di grandi dimensioni evocante la copertina di Why Write? Collected Nonfiction 1960-2013, oltre a permeare in tutti quei lavori comprensivi di scrittura (Deleuze, Sulla Poesia, Lettera), la riflessione cui invita Bertolo non ha, invero, quel rigore tautologico di un’arte post-filosofica3 ma preme sulla licenziosità formale, dove il colore è indubbio protagonista, formulando la questione esistenzialista nell’unica possibile non-risposta: la poesia.

La mostra assume il carattere di una parafrasi Baudelaireiana4 privilegiando una compiuta delicatezza, senza, in fondo, negare qualche momento melodrammatico in linea con la suddetta licenza che intacca, evidentemente, l’estetica e l’allegoria: i verdi freddi ma pastosi di Terzo Paesaggio #21 o Natura Morta o Madonna con Bambina che accompagnano finemente le pallide e liriche soluzioni di Appunto, Fiore di Anna #2 e Lucherino, sono contrapposti a situazioni ironiche (Why write?, Untitled 19#05, Smiley 19#02) o ad acute riflessioni metafisiche come L’odio ma soprattutto OGGI, sorta di lapide del Presente accantonata come in un cimitero abbandonato (allusioni politiche? Chissà). L’aspetto romantico che coinvolge una forte interazione di pubblico, tutt’altro che episodico in questo ventennio post 2000, coniabile come Romanticismo Relazionale, arricchisce la ricerca del Bertolo di una condotta cosciente e responsabile, persino etica, non solo nella personificazione dell’essere pittore, pure nella volontà di porre strazianti domande: dov’è la poesia? Ce n’è ancora nel mondo? Calliope si è prostituita a viziosi ed egocentrici artisti o è migrata anche lei nella speranza di un approdo meno desolante della terra d’origine?
L’assenza di risposte a questioni illogiche trova affermazione critica nella constatazione del Vacuo, fisica e temporale, dell’acerrimo vissuto attuale, perché la profondità poetica e artistica non è più verticale ma espansiva.

Info:

Luca Bertolo. Why write? Why paint?
fino al 10 gennaio 2020
SpazioA
via Amati 13, 51100, Pistoia
0573/977354 – info@spazioa.it – www.spazioa.it

[1] Superati i criteri formali e affrontando un momento storico dove la reperibilità delle immagini è continua e incessante, non è assolutamente più opportuno legarsi all’innovazione strutturale nella creazione di un’opera d’arte: il “nuovo” non è altro che uno spettro ottocentesco che buona parte della critica artistica insegue tuttora. La valutazione oggettiva si deve spostare sull’artista, il suo grado di coscienza e la capacità di interagire con la comunità.

[2] A riprova di quanto suddetto, lo stesso Bertolo fa notare un alone di Romanticismo nell’arte Minimal di Sol Lewitt, in un’intervista del 2010, di cui vale la pena riportare il passaggio:
«Nel caso dell’arte concettuale, la follia sta nel fatto di trattare le idee come cose slegate da ogni pratica, da ogni interazione con le cose, con il corpo, con la materia. M’interessa Sol Lewitt quando, nei suoi “Paragraphs on Conceptual Art”, dice cose come: “Gli artisti concettuali sono mistici piuttosto che razionalisti. Saltano a conclusioni che la logica non può raggiungere”. Oppure: “I giudizi razionali ripetono giudizi razionali. I giudizi irrazionali conducono a nuove esperienze”. È verissimo. È paradossale che sia diventata poi opinione comune considerare gli artisti concettuali, in generale, dei razionalisti, dei geometri dello spirito, con i loro schemi… poi vai a leggere uno dei loro testi fondanti e al primo punto si dice che gli artisti concettuali sono mistici piuttosto che razionalisti! Dove si parla sì di logica, ma per utilizzarla al limite dell’ossessione: “Irrational thoughts should be follone absolutely and logically”. Allora comprendi la grandezza di Sol Lewitt… La dimensione concettuale deve comunque tener conto di una forma di irrazionalità. La cosa che più mi distanzia dal modo concettuale di intendere l’arte è la loro opinione che la dimensione realizzativa sia solo un sottoprodotto dell’idea. Ripeto, per quel che ne so, realizzare un’opera è la stessa cosa che realizzare l’idea di un’opera, entrambe si formano, trovano una forma, la giusta forma, durante il processo. Fare arte significa produrre pensiero, non illustrarlo.» Cfr. Artext incontra Luca Bertolo, 2010, http://www.artext.it/Bertolo-Luca.html

[3] Vedi il fondamentale J. KOSUTH, L’arte dopo la filosofia: il significato dell’arte concettuale, Costa&Nolan Ed., Genova, 2000.

[4] Il riferimento è puntuale soprattutto nella stesura critica di Baudelaire, per quanto, come in un gioco di specchi, sia valevole pure per la produzione poetica. Sull’argomento è nota l’opinione dell’autore francese: «Credo in coscienza che la migliore critica sia quella che riesce dilettosa e poetica; non una critica fredda e algebrica, che, col pretesto di tutto spiegare, non sente né odio né amore, e si spoglia deliberatamente di ogni traccia di temperamento; ma – riflessa dall’occhio di un artista, – quella che ci farà vedere un quadro attraverso lo specchio di uno spirito intelligente e sensibile, se è vero che un bel quadro è la natura riflessa. Così la migliore recensione critica di un bel quadro potrà essere un sonetto o un’elegia.» Cfr. C. BAUDELAIRE, A che serve la critica? In Scritti sull’arte. Prefazione di Ezio Raimondi. Traduzione di Giuseppe Guglielmi e Ezio Raimondi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1981, pp. 57.

Luca BertoloLuca Bertolo, Why Write? Why Paint?, 2019, exhibition view at SpazioA

Luca Bertolo, Natura morta / Still Life, 2019, oil on canvas, cm 70 x 80Luca Bertolo, Natura morta / Still Life, 2019, oil on canvas, cm 70 x 80

Luca Bertolo, Lucherino, 2019, oil on canvas, cm 40 x 50

Luca Bertolo, Lucherino, 2019, oil on canvas, cm 40 x 50

Luca Bertolo, Il fiore di Anna #2 / Anna’s Flower #2,2019, oil and crayon on canvas, cm 200 x 250

Luca Bertolo, Why Write? Why Paint?, 2019, exhibition view at SpazioA


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