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Matteo Fato. Il presentimento di altre possibilità...

Matteo Fato. Il presentimento di altre possibilità

Un terribile incantesimo. Terribile, sì. Ma non lasciatevi, vi prego, ingannare dall’accezione dispregiativa che comunemente pregiudica l’uso di questo termine, al contrario, imprimete nelle menti ciò che Søren Kierkegaard scriveva ne il Diario: “l’angoscia è il primo riflesso della possibilità, un batter d’occhio, e tuttavia possiede un terribile incantesimo”. Con queste parole Matteo Fato, uno tra gli artisti più interessanti della scena artistica contemporanea, dà il benvenuto allo Studio Museo Francesco Messina, palcoscenico d’occasione della mostra Il presentimento di altre possibilità, a cura di Sabino Maria Frassà. Affine all’idea di uomo che è tanto più grande quanto più profonda è la sua angoscia, ben intesa come il rapporto generale con il mondo che l’individuo produce nel suo intimo, Fato non ha fatto in fretta ciò che doveva fare ma si è preso tre anni di tempo per preparare una mostra che traduce visivamente la sintesi razionale della sua visione totalizzante di pittura.

Vincitore del Premio Cramum nel 2016, egli si è avvalso della possibilità di esporre in quello che per vent’anni è stato lo studio dell’artista del Novecento italiano Francesco Messina, per ricavarne la libertà di un approccio auto-riflessivo, cercando di fare proprio lo spazio ospitante anziché invaderlo. E ci è riuscito, superando brillantemente l’infida sfida di una verifica a posteriori che può sprigionare nuovi significati ma anche possibili incongruenze. I quattro piani del museo diventano un circuito lirico-temporale in cui si rintracciano i termini della riflessione che Fato ha condotto sulla pittura e sulle sue articolazioni tecniche, cromatiche e spaziali, con accenti installativi nei suoi esiti più intensi.

La pittura, il disegno e l’incisione si confrontano infatti con quei materiali che in passato erano considerati semplici supporti o strutture, come il legno, lo specchio e il neon, e che oggi sono diventati linguaggio trovando espressione in una progettualità site-specific. Il suggerimento che all’ingresso siamo invitati a cogliere – e che ci portiamo a casa nella forma di un poster che Matteo Fato e Gianni Garrera ci regalano – è che “Non è l’Arte che imita la Natura, ma la Natura che imita l’Arte”. E se “La produzione è il compimento della contemplazione” allora è così, arricchiti di questa preziosa suggestione, che al piano terra contempliamo quattro opere, realizzate tra il 2012 e il 2019, che sintetizzano il corso della serie dei dipinti dei busti, focale nella ricerca artistica di Fato da quando, all’incirca dodici anni fa, per caso e per fortuna, trovò e fece suo un busto abbandonato.

Corre veloce l’occhio del visitatore verso la traduzione della fisicità della pittura in una massa organica cerebrale che contraddistingue l’imponente Eresia (del) Florilegio (2018). Opera emblematica non solo perché l’eresia del florilegio esorta a meditare sulla possibilità dell’errore, per scongiurare il rischio di un’arte senza vita, ma anche perché la presenza – tipica, nel titolo – di un segno di interpunzione stimola una lettura rallentata e riflessiva. Non trascurando l’installazione costruita intorno all’oggetto con cui gli incisori calibravano il chiaro-scuro, la pigna, Cose Naturali (Pigna) e Senza Titolo (Argilla), saliamo i due piani attraversando incisioni calcografiche, disegni e stampe a contatto da foto stenopeiche della serie (osservando la parola) (2005-19) che ci conducono a (Il presentimento di altre possibilità) (2016-19), scultura in multistrato e pittura olio (3 anni di accumulo) che dà il titolo alla mostra. Il busto sembra porre l’accento sul significato parziale di ogni possibile, lasciando un segno definitivo che sottrae terreno alla dimensione del finito e apre alla ricerca dell’infinito.

Scendiamo, infine, al piano interrato, dove l’occhio cade fin dai primi passi che muoviamo all’interno del museo, richiamato da un volume, ampio e frammentato, che si cerca di ripristinare nella propria immaginazione. È un cavalletto, sì, scomposto. Perché è proprio dentro al suo studio che l’artista dispensa vita ed energia, ordendo trame di immagini che si danno in maniera indiretta. Per gli angeli più alti (2015/19) è l’ultima colossale opera della serie qui esposta di riproduzioni di un cavalletto antico, avviata nel 2011 con (Osservando la Parola) e ripresa tra il 2012 e il 2014 con (Corna di bue). Quello che si cela dietro questi cavalletti, nella stanza più nascosta dello spazio, è la più recente opera, Ritratto di un Autoritratto (2019), che rende la collezione, preesistente ed esposta, di autoritratti di Francesco Messina, un oggetto di studio, di rappresentazione e di installazione. Così si conclude la sintesi che Matteo Fato ha allestito, operando una serie di scelte nella consapevolezza che in esse, una volta compiute, si è giocato la possibilità di dare una direzione e uno sviluppo al proprio percorso artistico, lasciando il presentimento di altre (e future) possibilità.

Elsa Barbieri

Info

Matteo Fato. Il presentimento di altre possibilità
A cura di Sabino Maria Frassà
Studio Museo Francesco Messina
24 maggio – 23 giugno
In collaborazione con Cramum

La mostra è resa possibile grazie al supporto di: Galleria Monitor Rome / Lisbon; Sanpaolo Invest-Private Bank; Masciarelli Tenute Agricole; PARCO1923 e PTC-Professional Trust Company

Matteo Fato

Matteo Fato, solo show, Il presentimento di altre possibilità
A cura di Sabino Maria Frassà
Assunto di Gianni Garrera
veduta dell’installazione
Studio Museo Francesco Messina, Milano
photo Michele Alberto Sereni Courtesy Monitor, Rome – Lisbon


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