#MEMEPROPAGANDA

Questo venerdì alle ore 19:00 #MEMEPROPAGANDA giungerà a conclusione con un piccolo evento online, per festeggiare con una sessione di disegno collettivo organizzato insieme a superinternet.space e greencube.gallery. La capacità di carico del sito è limitata, ma si potrà accedere alla secret location seguendo le istruzioni che via via metteremo qui.

Clusterduck è un collettivo interdisciplinare attivo al confine tra ricerca, design e filmmaking, con particolare attenzione agli attori ed ai processi che stanno dietro alla produzione dei contenuti della Rete. Quali sono i vostri riferimenti?
Citare tutti gli influssi e gli eterogenei riferimenti che hanno contraddistinto questo primo anno di collaborazione è pressoché impossibile, forse proprio perché consideriamo la nostra attività come una pratica che varia costantemente, modulandosi sulle dinamiche elusive delle subculture di cui noi stessi facciamo parte. Forse è giusto dire che i nostri riferimenti sono il nostro network, le persone preziosissime con cui entriamo in contatto o collaboriamo, su un ventaglio che può andare dal più deep degli shitposter, alla pura accademia. Ultimamente stiamo seguendo molto il lavoro degli admins del blog The Philosopher’s Meme, le pubblicazioni di Geert Lovink su memetica e social network, (un estratto delle quali, peraltro, abbiamo voluto riprodurre anche nello spazio espositivo di #MEMEPROPAGANDA), così come tutta quella eterogenea galassia di collettivi, artisti, eventi, ricercatori e curatori accomunati dal loro interesse per il digitale: la Transmediale di Berlino, i newyorkesi DIS-Collective e gli olandesi Metahaven, per citarne alcuni. Durante quest’anno ci sono state molto utili le interviste fatte a Morehshin Allahyari e Daniel Rourke, che nel loro 3D Additivist Cookbook ci insegnano come sia possibile raccogliere un tema così vasto come quello dell’additivismo attraverso la redazione di un’opera collettiva. Tra gli italiani possiamo citare l’esperienza del gruppo creatosi attorno alla mailing-list AHA, fondata da Tatiana Bazzichelli con la significativa partecipazione di Antonio Caronia, o l’esperienza di Art is Open Source di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico. Stiamo lasciando fuori un bel po’ di gente ma è proprio questo il punto, non abbiamo semplici riferimenti ma network di riferimenti in continua espansione.

#MEMEPROPAGANDA è un progetto espositivo online/offline, curato dal collettivo Clusterduck ed ospitatato da Greencube.gallery, inaugurato l’8 Maggio e che proseguirà fino al 30 Giugno. La mostra rappresenta una riflessione sulla crescente influenza dei meme e dei contenuti memetici sulla società digitale, ed un tentativo di esaminare criticamente il loro crescente impatto in vari ambiti della contemporaneità. Ci raccontate le varie fasi dell’esposizione?
La mostra si articola in varie tappe. Nella prima fase, sei artisti, fumettisti e meme lord hanno lavorato per creare un set di poster propagandistici, che coinvolgessero figure, linguaggi o codici appartenenti alla sfera memetica. I poster sono poi stati diffusi attraverso il nostro network in località selezionate del mondo, online e offline. I poster avevano la funzione di invitare il pubblico a visitare la mostra, oltre che essere veicolo ed espressione di un messaggio: i meme sono un linguaggio potente, talvolta subdolo, in grado di attirare il “grande” pubblico ed innescare vere e proprie campagne politiche.
La seconda fase della mostra, tuttora in atto, è quella interattiva e partecipativa che ha luogo online, ed è stata pensata come un omaggio all’ambiente dove i meme e le prime creature memetiche hanno avuto origine: le imageboard. Grazie al software opensource Tinyboard + vichan, sviluppato da savetheinternet e vichan-devel, abbiamo potuto installare una imageboard praticamente identica a 4chan sui nostri server, dandoci la possibilità di backupparla costantemente, e dare così vita ad un archivio.
Qui gli utenti saranno liberi di partecipare ad uno o più draw thread, lanciati col fine sperimentale di creare nuove creature memetiche. Le interazioni generate dagli utenti sulla board verranno fedelmente documentate e archiviate, mentre alcune delle nuove creature originate dal pubblico partecipante diventeranno parte integrante della mostra.
La mostra si concluderà il 30 giugno con una celebrazione online in forma di disegno collettivo e partecipato: una festa in omaggio a vecchie e nuove rinascite memetiche, che avrà luogo nella piattaforma multidrawing 360° superinternet.space room, sviluppata da Pietro Parisi.

Potreste definire la parola “meme” per chi non conosca ancora bene di che si tratti? Come sono diventati un fattore nella discussione politica?
Il meme doveva rappresentare, nell’intenzione originale dell’inventore del termine, il biologo evoluzionista Richard Dawkins, l’equivalente sociale di ciò che il gene è in campo biologico: l’unità minima di trasmissione di informazioni culturali, simboli, idee e valori. La verità è che, quando parliamo di meme, praticamente nessuno usa la parola in tale accezione, e probabilmente il concetto sarebbe stato archiviato dalla storia come una maldestra incursione da parte di un eminente scienziato in un campo a lui estraneo. Invece è arrivato internet: senza entrare qui nelle complesse diatribe sull’origine e la genealogia dei meme, possiamo dire che il termine “internet meme” è venuto a definire un contenuto online di tipo visivo, caratterizzato dall’assenza di autorialità, dalla facile riproducibilità e dall’apertura a reinterpretazioni e manipolazioni. In altre parole, i meme solitamente non hanno un autore unico, ma sono il prodotto di remixaggi incessanti e continui da parte di comunità online. Anche per questo molti ricercatori di memetica (la disciplina emergente dedicata allo studio dei meme) piuttosto che sull’osservazione dei singoli meme, preferiscono concentrarsi sullo studio dei formati, vale a dire le “cornici” dalle quali vengono poi creati i singoli meme. Più che come singole immagini, i meme andrebbero quindi pensati come un processo creativo incessante, generato da complesse reti di interazioni online. È importante quindi evitare il frequente equivoco che dipinge i meme come “le immaginette buffe e virali di internet”. Per quanto i meme abbiamo quasi sempre un contenuto fortemente umoristico, si tratta spesso di un umorismo quantomeno particolare, infarcito di referenze criptiche e surreali, difficilmente accessibile ai “non iniziati”; e per quanto molti meme siano diventati virali ad un certo punto della loro esistenza, la viralità non è considerata precondizione necessaria per classificare un meme come tale.
In quanto linguaggio prediletto delle subculture online, i meme hanno acquisito molto presto un ruolo particolare nella comunicazione su internet. In un certo senso, sono effetto e vettore di un’accelerazione generalizzata innescata dal processo di digitalizzazione, processo che con la nascita dei social e la diffusione degli smartphone ha subito una radicalizzazione ancora pienamente in atto. Per rispondere alla seconda parte della domanda: la risposta più semplice sarebbe che i meme sono diventati un fattore politico per una serie di scelte improvvide da parte del team elettorale di Hillary Clinton, che ha regalato un palcoscenico inaspettato alle frange più radicali dei sostenitori online di Trump (la famosa “Alt-Right”). Molti di questi, bene o male, erano e sono dei memerz della primissima ora, e hanno portato alla ribalta i meme assieme al loro beniamino. La risposta più complessa richiederebbe un excursus negli ultimi due decenni di internet culture e nella recente frammentazione ideologica attraverso una miriade di piattaforme.
In questo senso, contrariamente alla narrazione dominante, che vuole 4chan come culla per eccellenza della cultura memetica, va ricordato che esiste un vastissimo panorama antecedente a 4chan e reddit (un esempio famoso lo possiamo trovare nel Tekno Viking e nelle sue infinite reinterpretazioni) che solo ora sta iniziando a diventare oggetto di ricerca. Questo processo di frammentazione può essere considerato espressione di una “guerra” culturale ancora pienamente in atto, che ci riguarda tutti, e le cui battaglie si stanno combattendo su scenari disparati in tutto il mondo. Internet, o meglio i tanti e diversi internet che ci sono nel mondo, è uno degli scenari chiave, forse lo scenario chiave per eccellenza; e se l’ipotesi che i meme sono il linguaggio antropologicamente caratteristico di internet contiene anche solo una minima parte di verità, la padronanza di questo linguaggio potrebbe essere una delle chiavi per assicurarci un futuro degno di essere vissuto.

Simon Villaret, Jules Durand, David Renaissance man, Shay Ariely, Dottor Pira, Nicole Ruggero, Polyducks con la partecipazione speciale di Pietro Parisi. Questi gli artisti coinvolti nel progetto. Potete raccontarci il criterio di selezione che avete adottato?
La decisione di coinvolgere artisti provenienti da ambienti molto diversi tra loro ha risposto ad una serie di esigenze: si tratta in primo luogo di una scelta coerente con la linea curatoriale che ci stiamo dando come Clusterduck, che da un lato vuole rompere le “filter bubbles” di internet, ossia i gruppi e le culture chiusi ed arroccati su sé stessi; e dall’altro vuole rispecchiare la vastità dei diversi approcci stilistici e culturali che esistono nell’universo dei meme. C’è poi anche una ragione di tipo eminentemente pragmatico: per avere una selezione di poster che potessero attirare l’attenzione di un pubblico vasto, considerando che dovevano servire come “call to action” alla partecipazione nella board, ci è sembrato opportuno scegliere artisti e opere che sapessero parlare a pubblici diversi, culturalmente e geograficamente.
Nicole Ruggiero, per esempio, è una classica 3D artist: solitamente le sue creazioni sono corpi in ambienti virtuali, come artista è fortemente radicata nella “internet culture”, ma durante la sua adolescenza disegnava dei meme character in MS Paint; per questo ci sembrava interessante coinvolgerla, anche per mostrare al pubblico qualcosa di diverso rispetto alle sue opere più conosciute.
Shay Ariely è un’illustratrice e tattoo artist: i suoi personaggi hanno attirato la nostra attenzione fin dall’inizio, perché secondo noi hanno un grosso potenziale memetico, richiamando ad esempio un personaggio famoso nell’ambiente chiamato “dolan duck”. La cosa interessante di Shay è che non aveva conoscenza dei personaggi dei meme prima di #MEMEPROPAGANDA: è stato molto interessante introdurla a questo mondo, insegnandole  l’albero genealogico di personaggi come Gondola e di Pepe, e pensiamo che l’opera prodotta da Shay sia molto potente a livello comunicativo.

Quartostato, Gondola and the Fourth Estate

Clusterduck, Pepeshow, Pepe Show or Pepe’s family tree

wojak Feelings at the beach or Wojaku 2019s family three

Gondola and some earth Porn

Poster #MEMEPROPAGANDA

David III è quello che si potrebbe definire un memer professionista: i suoi meme sono molto interessanti per noi da un punto di vista artistico, per esempio usa il font (il classico IMPACT dei meme “old school”) in modo più moderno, con dei vuoti e dei pieni che lo rendono più leggero, e spesso sceglie di usare un colore solo. David è molto minimal e il suo minimalismo secondo noi è un gran punto di forza, perché sviluppa uno stile riconoscibile in un ambiente dove riuscire a farsi riconoscere è tendenzialmente molto difficile.
Simon Villaret invece si contrappone allo stile minimal e propone un’estetica caotica, piena di immagini png, sfumature e font veramente “dank”: oltre ad essere un artista, è anche admin di un gruppo segreto su facebook che raggruppa una comunità interessante di artisti e designer, e il suo stile secondo noi è davvero un’ottima espressione di come sia caotico e incasinato internet.
Dottor Pira è un fumettista ormai affermato, anzi consigliamo vivamente di leggere il suo ultimo capolavoro SUPER RELAX スーパー・リラックス ULTRA HD 1080. Lo seguiamo da tempo, e per noi rappresenta un anello di congiunzione tra una certa cultura Hip Hop underground italiana già nerd e l’attuale mondo di Internet: ci affascina per il modo in cui i suoi personaggi, pur non essendo meme, ne richiamano fortemente l’estetica e lo spirito.
Jules Durand è il nostro “diamante”, abbiamo già collaborato con lui durante la Wrong Digital Biennale e stiamo collaborando con lui ad un progetto editoriale molto importante per noi. Le opere di Jules sono ricercate e precise, e nonostante gli avessimo chiesto di produrre un solo poster ne ha fatti circa 68, ispirandosi al design di propaganda del Maggio francese ed integrandolo con la sua profonda conoscenza dei meme. Jules è quello che si dice un “meme connoisseur”.

Sulla scia della imageboard 4chan, punto di riferimento e luogo di nascita di numerosi fenomeni di internet e meme, anche voi nello spazio espositivo online della Green Cube avete adottato una board collaborativa di immagini aperta al pubblico che abbia voglia di cimentarsi. Potete spiegare il perché di questa scelta e quali risultati vi aspettate di ottenere?
Uno dei lati fondamentali del nostro lavoro come gruppo, è la volontà di creare dataset indipendenti: piccoli spazi, archivi, chat, gestiti autonomamente e messi a disposizione del nostro network. Un progetto con simile matrice è ad esempio quello che portiamo avanti su Delicios, un archivio di link che attinge direttamente ai nostri gruppi di ricerca Telegram attraverso un bot, realizzato in collaborazione con Pietro Parisi. Quello che stiamo facendo per noi non è solo una mostra a partecipazione collettiva, ma un’operazione collettiva presentata come una mostra. Avvicinarci ai meme come si farebbe con qualsiasi altra forma d’arte, individuando degli autori e selezionando delle opere, per poi creare una cornice concettuale e materiale in cui esporle, ci sembrava insufficiente (se non impossibile) nel caso dei meme, che sono allo stesso tempo linguaggio, forma artistico-espressiva e sottocultura online. Non abbiamo la pretesa di ottenere risultati, la nostra è piuttosto una pratica che talvolta, richiamando la metodologia della field research antropologica, ci piace definire come osservazione partecipante (quello che abbiamo osservato finora ad esempio è che spostarsi da una  piattaforma all’altra è difficile; il nostro network non viene da 4chan, ma da facebook, reddit, discord, telegram, prima ancora tumblr, ultimamente persino instagram).
Una delle grosse questioni che ci stiamo ponendo è come arginare la deriva delle destre, come controbattere a tattiche insidiose come quella dei sostenitori di Trump di inserire volutamente dei typo nei tweet suoi e del suo entourage, per triggherare così l’odio dei grammarnazi e portare gli haters, loro malgrado, a condividerne i tweet. O, tornando ai meme, come combattere le trappole di troll supportati da masse di twitter-bot e utenti assoldati per memare e twittare in favore di Trump, o nel caso dell’Italia, di Salvini. Purtroppo le recenti elezioni italiane hanno offerto la tragica riconferma di un meme divenuto celebre dopo il trionfo di Trump: “The left can’t meme”, ossia “la sinistra non sa memare”. L’amara verità, che troppi a sinistra ancora rifiutano di accettare, è che cercare di reagire con la razionalità, o, peggio ancora, col moralismo, rispetto ad un esercito di troll digitali dell’Alt-Right, è come presentarsi ad un’orda inferocita di hooligans dello Spartak pensando di essere ad un seminario su Habermas. Non solo il linguaggio e gli argomenti non sono adatti alla situazione, ma la reale natura del nostro avversario sfugge alla maggior parte degli attori politici e dei media mainstream, generando equivoci grotteschi. Un esempio recente è stata l’apparizione, presso un comizio elettorale di Salvini, di una bandiera del Kekistan, un fantomatico stato immaginario creato da alcune frange di sostenitori di Trump. Senza entrare nei dettagli, bisogna sapere che, come tutte le azioni dell’Alt-Right, anche i simboli e le insegne del Kekistan sono frutto di una complessa dinamica mitopoietica, in cui i confini fra beffa, ideologia e propaganda sono molto labili e di difficile definizione: un vero e proprio campo minato per i media mainstream, schiavi delle semplificazioni e dei titoli ad effetto. Ecco quindi che la bandiera del Kekistan è diventata, per Repubblica, “la bandiera dei neonazi USA”. Una doppia vittoria per l’Alt-Right nostrana: da un lato sono riusciti a ottenere spazio mediatico su tutti i principali giornali italiani, dall’altro si sono potuti fare beffe dei “normie” (così vengono definiti dagli insider i “non iniziati” alla cultura dei meme) e del loro moralismo, a loro dire ipocrita e superficiale. Senza voler essere troppo ottimisti, ci pare che la risposta collettiva a queste derive reazionarie potrebbe anche consistere, fra le altre cose, nell’elaborazione di un nuovo linguaggio memetico per smascherare questi meccanismi e combattere i troll sul loro terreno; magari ritrovando così il piacere di ridere assieme, e ricreando una prospettiva comune di solidarietà e partecipazione attraverso i meme.

Cosa ne pensate dei social network per la pratica artistica?
Sicuramente anche in campo artistico stiamo assistendo a quella sorta di decostruzione e riconfigurazione di strutture storiche che startuppers e giornalisti amano riassumere col termine “disruption”: i social hanno reso possibile un dialogo diretto tra artisti e pubblico, e in generale possiamo constatare come il ruolo dei tradizionali “gatekeepers” del sistema-arte sia al momento oggetto di una forte ridefinizione. Non siamo così ingenui da immaginarci un futuro roseo, in cui la presa ferrea dei big player sul white cube verrà costretta ad allentarsi dall’insurrezione dei creatori di contenuti digitali: piuttosto, come in altri campi, stiamo assistendo all’erosione di poteri antichi e all’emergere di nuove gerarchie.
Al di là di questo, come testimoni diretti di buona parte del dibattito europeo che si è scatenato tra il 2007 e il 2010 rispetto alla pratica artistica sui social e all’emergere del Web 2.0, possiamo dire che, nella nostra esperienza, ogni tentativo di normare, descrivere e definire i limiti della suddetta forma di espressione è destinato a suscitare in pochi anni al massimo qualche risata.
Questo perché è nella natura stessa del media non essere mai uguale a sé stesso, e quindi gli scritti o le produzioni degli artisti che all’incirca un decennio fa hanno investito tutte le loro attenzioni in un fenomeno come second life ci suscitano lo stesso sorriso divertito che possono regalarci le visualizzazioni di Facebook ai suoi esordi.
Quindi, per non dilungarci ulteriormente in analisi destinate all’oblio, abbiamo pensato che la maniera migliore per rispondervi fosse affidarci al media stesso: MEME

Federica Fiumelli


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