Nella sede delle scuderie e Parco del Castello di Miramare apre al pubblico «Naturae», una mostra collettiva con artisti contemporanei italiani e internazionali che indaga i rapporti fra uomo e natura. Il progetto, a cura di Melania Rossi, si pone come un’esplorazione del legame tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda invitando a riflettere attraverso lo sguardo degli artisti in mostra sulle nuove possibilità offerte da questa eterna dicotomia. Il percorso espositivo si articola nello spazio delle scuderie e nel parco del castello dove sono state installate le opere di Mimmo Paladino e Bianco Valente.
Il castello fu edificato per volere dell’Arciduca Massimiliano D’Asburgo tra il 1856 e il 1860 perché diventasse una residenza di famiglia. Il complesso sorge dinnanzi al mare sulle scogliere del golfo di Trieste in una posizione altamente suggestiva dove, tra la natura del parco circostante, si stagliano le sue torri bianche. All’interno sono conservate le sale con arredi e opere d’arte degli Asburgo, compresa la grande biblioteca con volumi ottocenteschi dedicati all’uso e da cui si deducono gli interessi e gli argomenti di studio dell’epoca. Tra tutti spicca la collezione di volumi di botanica, alcuni dei quali esposti in occasione della mostra “Ars Botanica”. Il parco storico è l’altro gioello del sito: si estende per 22 ettari e contiene una vasta collezione botanica con specie esotiche e locali voluta dal suo proprietario originale e poi curata nel tempo. In sintonia con lo spirito del luogo, la mostra propone una visione caleidoscopica di come l’essere umano si relaziona alla natura, come la conosce, la studia o la visualizza laddove non è possibile a occhio nudo confrontandosi con lo spazio e il tempo, modificandolo mediante l’azione o oppure partecipando passivamente ed entrando con il corpo nel paesaggio.
Le opere di Macodo Murayama sfruttano le tecnologie più recenti di modellazione 3D per ricostruire fedelmente la struttura di alcuni fiori. Il risultato è uno spaccato etereo del fiore impresso sulla tela nelle sue varie prospettive e angolazioni che rivelano forme sinuose ed ergonomiche racchiuse nella struttura della pianta. L’opera prende il nome della specie vegetale rappresentata come a volerne catturare l’essenza, ma allo stesso tempo si presenta come una versione moderna dello “Studio di” caro alle arti figurative. Al posto di matita e pennello, sono il microscopio e la CGI a indagare e catturare la realtà, ponendo l’interesse sulle proprietà estetiche piuttosto che su quelle scientifiche.
Nei due piani delle scuderie ogni sala è concepita come un ambiente a sé nel quale prendono forma le visioni singolari degli artisti (con alcune eccezioni, che vedono le opere dialogare fra loro, come nel caso di Marina Abramović e Serse Roma). L’opera video di Abramović è “Stromboli”, un filmato a camera fissa che riprende l’artista sdraiata sulla sabbia dell’isola vulcanica con le onde del mare che la accarezzano finché un’onda la sommerge e il video riparte. Ai lati della sala sono appesi due gradi disegni a grafite che raffigurano i riflessi del cielo sulla superficie del mare, intitolati “A Fior d’acqua”. L’immagine in bianco e nero si svincola dal tipico blu della sua raffigurazione astraendo l’immagine che sembra quasi una melma cosmica o un brodo primordiale in aggregazione e in disfacimento. L’allestimento è scandito dalla presenza di citazioni e frammenti di testi letterari e scientifici, ma anche di poesie come nel caso delle opere sopra menzionate che sono state accostate a questo spezzone di “Del paesaggio e altri scritti” di Rainer Maria Rilke: «Le acque fluiscono e in esse oscillano e tremano le immagini delle cose. E nel vento, che stormisce tra gli alberi antichi, crescono i giovani boschi, crescono verso un futuro che noi non vivremo. (…) Il paesaggio è là, privo di mani e non ha viso; oppure è tutto viso e l’immensa grandezza dei suoi tratti spaventa e schiaccia l’uomo».
La veduta, solitamente cittadina o naturalistica viene sostituita da un “Bodylandscape” di Rebecca Horn del 2007, una tela 207 x 175 cm realizzata con acrilici e matite. I segni sono l’espressione dell’estensione corporea dell’artista. L’ampiezza delle braccia detta la composizione e il disegno diventa atto performativo abbandonando la sua funzione illustrativa per dare luce a un’astrazione dettata dalla cosa più concreta: il limite dettato dal proprio corpo. Anche nelle tele di Hermann Nitsch il corpo determina l’opera, come in “Senza titolo” (2009), in cui le pennellate sono sostituite da getti di pittura spalmati dalle impronte dei piedi dei partecipanti all’azione, riconoscibili da vicino ma che da lontano appaiono come un unico flusso, un’aggregazione di materia in divenire determinata dal contrasto dei colori.
Il titolo della mostra, “Naturae”, dal latino natura ma anche essenza, nascita o costituzione fisica denota le diverse sfaccettature del termine che comunemente viene associato al mondo vegetale, animale o geologico. Il termine lasciato in sospeso potrebbe alludere al suo caso genitivo, “della natura”, o al dativo “alla natura”, ma anche essere il nominativo plurale indicando il fenomeno come molteplice e non assimilabile a una cosa sola. Si tratta quindi di nature diverse e diverse prospettive sulla natura, sia in quanto entità differente dall’uomo, da osservare e studiare, ma anche come qualcosa di inseparabile e non distinto con cui forse l’essere umano sta perdendo il contatto. Il titolo della mostra evoca necessariamente l’opera di Tito Lucrezio Caro, “De Rerum Natura” o “la natura delle cose”, un trattato eclettico ispirato dalla filosofia di Epicuro sulla costituzione fisica della materia, sul suo ordine e sulla sua forma di cui la mostra tiene conto e dedica una didascalia a un frammento del testo: «In effetti il tempo cambia totalmente il mondo; in tutte le cose a uno stato deve succedere un altro stato, e nulla rimane simile a sé stesso: tutto si trasforma, la natura modifica tutto e costringe tutto a cambiare».
L’opera visionaria considera i fenomeni naturali come qualcosa di intellegibile all’uomo e indaga la fisica della materia. In età moderna di questo testo si interessò anche Albert Einstein, che ammirava il pensatore latino del I secolo a.C. «per l’ingegno e l’abilità artistica»: pur rifiutando «l’idea di Lucrezio come padre antico della fisica moderna», Einstein gli attribuiva tuttavia un merito ben maggiore, ovvero quello di aver saputo «liberare l’uomo dalla paura che suscitano religione e superstizione e che ci rende schiavi; una paura alimentata e sfruttata dai sacerdoti per i propri interessi».
Info:
AA.VV. Naturae. Ambienti di arte contemporanea
curata da Melania Rossi nell’ambito della rassegna Miramare contemporanea
6/12/2024 – 9/11/2025
Scuderie e Parco del Castello di Miramare
Viale Miramare – 34151 Trieste
Originario di Bologna, studia design della moda e arti multimediali allo IUAV di Venezia. Crede nella possibilità di sconfinamento tra le discipline e che l’arte possa avere un ruolo attivo nell’abbattere le disuguaglianze e unire le persone creando comunità.
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