Officine emotive di Gaia Scaramella

Che cos’è un’opera d’arte? Visioni materiali? Esperienze percettive? Non esiste una definizione esatta. L’artista Gaia Scaramella esplora ed espande questo concetto: oggetti comuni, e non, vengono da lei adoperati, rigenerati da una nuova pelle per creare esperienze. Fino al 17 giugno, lo Studio Stefania Miscetti di Roma presenta Officine emotive, mostra personale dell’artista. Le curatrici, Veronica He Pia Lauro, insieme a Gaia Scaramella hanno concesso a Juliet Art Magazine un’intervista!

Claudia Pansera: Voglio iniziare la nostra intervista con una domanda semplice, che ti avranno rivolto tante volte, ma che può risultare insidiosa. Chi è Gaia Scaramella?
Gaia Scaramella: Questa è una domanda decisamente insidiosa, che in realtà mi hanno fatto poche volte! Gaia Scaramella è una bambina nata nel 1979, da parto trigemellare. Quattro sorelle, mamma casalinga e papà commercialista. Infanzia felice e chiassosa. Casa numerosa e femminile. Carattere ribelle, estroso e anticonformista, già sviluppato in tenera età. Sono stata tante cose nella mia vita, ho spesso la sensazione di averne avute più di una: l’ultima mi vede nel “ruolo” di moglie, mamma di tre bambini, e artista. Probabilmente proprio l’arte è sempre stata l’unica compagna fedele e mai tradita. Mi sento un’artista libera, libera di avvalermi di molte tecniche e tematiche. Mi sento giovane, e probabilmente mi sentirò sempre una giovane artista.

Spesso gli storici dell’arte e i critici, nel tentativo di leggere un’opera, fraintendono il messaggio dell’artista. Tuttavia, quando ho visitato la mostra Officine emotive, accompagnata dalle parole di Veronica He e Pia Lauro, mi è sembrato subito chiaro il significato dell’esposizione. Vi chiedo quindi innanzitutto, di raccontarci perché lo Studio Stefania Miscetti ha scelto di ospitare l’esposizione di Scaramella e come nasce il progetto espositivo.
Veronica He e Pia Lauro: Ci lega a Gaia un rapporto di stima e di amicizia che abbiamo coltivato negli anni: in particolare, Pia ci aveva già collaborato circa dieci anni fa, nel contesto del progetto Almost Curators, coinvolgendola in un talk per la fiera Set Up di Bologna. È stato naturale invitare Gaia a prendere parte a un’altra esposizione da noi curata per lo Studio Stefania Miscetti: la collettiva Babies Are Knocking, che l’anno scorso ha visto quarantasei artisti confrontarsi con il pensiero immaginifico dei bambini. In quell’occasione, Gaia ha presentato un piccolo assemblaggio su carta dal titolo Space Sub School (cercandoti), che già presentava alcuni degli elementi che ritroverete in mostra: la memoria fotografica, il collezionismo, le commistioni di materiali, e il suo senso dell’umorismo. Quel giorno inoltre ci ha introdotto nel diversificato mondo delle sue ultime produzioni, numerose serie costituite da altrettanto numerose opere, disseminate in uno studio dalla disarmante vitalità. Ricordiamo nitidamente di esserci scambiate uno sguardo alla fine della visita allo studio pensando: “qui c’è una mostra”. Stefania Miscetti ha accolto con generosità la nostra proposta, sostenendoci durante tutto il percorso che ci ha portato alla creazione di questo lavoro. Il progetto si fonda su alcuni capisaldi: il rispetto per il processo creativo dell’artista, che si è tradotto nell’esposizione delle serie e non dei singoli elementi che le costituiscono; la volontà di dare respiro alla natura corale dei lavori, che ci ha spinte a presentare solo tre serie inedite; il desiderio di mostrare una selezione di opere legate, a nostro avviso, da un filo rosso, la relazione con l’altro come elemento costitutivo dell’io.

La mostra Officine emotive presenta tre gruppi di opere, tutte realizzate durante l’ultimo anno. Dall’evidente serialità, scaturiscono però diversi piani di lettura, che possono essere declinati dal fruitore in letture intime e personali. Tuttavia i numerosi elementi, seppur di diversa natura, potrebbero presentare delle assonanze. Cosa esprimono queste opere e che tipo di riflessione c’è dietro?
Gaia Scaramella: Le serie (così da me definite, perché considerate opere in divenire) scelte per la mostra sono costituite da numerosi elementi, che sicuramente aprono al fruitore diverse chiavi di lettura, è vero. L’artista fornisce la sua, ma nella piena contemplazione del bagaglio culturale, personale, intimo ed emotivo, di chi guarda. Nel caso di Concerto per archi, opera composta da seghe ad arco, private della loro lama, tengono e tendono un finto filo di perle. L’aspetto narrato nell’opera è quello della tensione creata dai due elementi, il legame e l’equilibrio tra la nostra parte maschile e femminile. I due elementi collaborano nella loro funzione, statica ma vibrante. In Senza termine, la relazione è materna e il tema affrontato è quello della relazione interrotta, appunto. Gli occhi della madre, dipinti con bitume, si fanno piccole sindoni sulle “camicie della fortuna” neonatali. È la fotografia di un gesto di dolore e devozione delle madri che si portano in volto le vesti dei figli, come per sentirne l’odore, il dolore.  Il titolo ha un doppio riferimento, il primo riguarda l’assenza di un termine esatto, che descriva questa condizione femminile, il secondo sottolinea la permanenza dolorosa generata da questo tipo di distacco. Gli occhi rappresentano un grido corale, un gesto ripetuto moltissime volte. L’occhio come simbolo di creatività e autoguarigione al tempo stesso. Lo sguardo della mamma è il primo contatto relazionale del bambino, e in questo caso anche l’ultimo. Con Inclinazione naturale è invece l’installazione che domina la sala espositiva: è un’opera sul conflitto verbale tra le parti. Le bocche dei ritratti fotografici sono sempre censurate, coperte da ramificazioni per gli uomini, e nidi di vespe, calabroni e api, per le donne. Questi elementi sono pensati come veri e propri “fumetti” tridimensionali. La scelta dei rami non è casuale. Il disegno della loro ramificazione deve essere trattato e immaginato come un testo scritto che si cristallizza e materializza nell’aria, dove rimane. La risposta femminile con il nido deve essere colta come difesa e accudimento della casa, della famiglia, una casa pericolosa, rischiosa e pungente al tempo stesso.

Ho letto che per te la serialità significa eco e rimbombo. Questa serialità, che provoca risonanza e che scandisce bene i concetti, è rivolta solo al pubblico oppure rappresenta un personale passaggio fondante nella costruzione delle opere e dei loro significati? Più semplicemente, ti serve per introiettare quello che stai realizzando?
Gaia Scaramella: Entrambe le cose sicuramente, la ripetizione è ossessione, ridondanza, ritmo. In certe opere, più che in altre, è stata sicuramente una necessità nell’elaborazione del “problema” affrontato. Mi riferisco a Senza termine in questo caso, dove la pittura di questi occhi è stata per me una stancante elaborazione del lutto. Mentre per Inclinazione naturale, ad esempio, la ripetizione è stata assolutamente funzionale e quasi condominiale.

Non voglio chiederti esplicitamente perché hai scelto come titolo Officine emotive. Piuttosto ti chiedo, non pensi che l’ampio e complesso scenario che proponi possa essere soggetto a troppe interpretazioni? Non hai paura di essere fraintesa?
Gaia Scaramella: No, non ho paura di essere fraintesa, trovo altamente democratico tutto questo, come spiegavo sopra, io intendo fornire un “canovaccio” nella lettura della mia ricerca, tutto il resto, ovvero la lettura degli altri, spesso è arricchimento anche per me. In questo periodo mi sono confrontata con tante persone, ho visto tra le più disparate reazioni dinanzi alle opere. Chi sono io per dire che non è così? Permettimi di citare Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello. “Su l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell’esteriorità, un’impossibilità di conoscere la verità assoluta”.

Esponi il dolore e la verità in modo disarmante. Quello che vediamo parla di te?
Gaia Scaramella: Anche, sì, ma anche degli errori collezionati.

Ti consideri artista per vocazione o per necessità?
Gaia Scaramella: Mi considero artista come dato di fatto. La parola “vocazione” la trovo troppo cattolica per le mie corde, e “necessità” troppo terapeutica.

Mi piacerebbe concludere l’intervista lasciando la parola a Veronica e Pia. Come definireste con una sola parola, o in poche battute, la mostra di Gaia Scaramella?
Veronica He e Pia Lauro:In Officine emotive Gaia mette in atto una lucida e concreta rappresentazione delle relazioni affettive e, se da un lato non lascia scampo alle emotività di ognuno di noi, dall’altro ricorda che nell’incontro e nello scontro con l’altro è racchiusa l’essenza della conoscenza e della consapevolezza di sé.

Claudia Pansera

Info:

Gaia Scaramella, Officine emotive
a cura di Veronica He e Pia Lauro
17/03/2022 – 17/06/2022
Studio Stefania Miscetti
via delle Mantellate 14, 00165 Roma

Gaia Scaramella, Inclinazione naturale, 2021/2022, dettaglio. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI

Gaia Scaramella, Concerto per archi, 2022. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI

Gaia Scaramella, Senza termine, 2021, dettaglio. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI

Gaia Scaramella, Senza termine, 2021. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI

Gaia Scaramella, Inclinazione naturale, 2021/2022, dettaglio. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI

Gaia Scaramella, Inclinazione naturale, 2021/2022. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI

Gaia Scaramella, Officine emotive, 2022, exhibition view at STUDIO STEFANIA MISCETTI. Ph Giorgio Benni, courtesy dell’artista e STUDIO STEFANIA MISCETTI


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.