Capita che i mondi segreti di un artista non emergano in piena luce, bensì dall’oscurità, che li culla per mantenerli protetti e segreti. Alcune volte è la pittura a renderli visibili, mentre in altre occasioni è la scultura, il disegno o la fotografia a restituirli manifesti. Roberto Alfano (1981, Lodi) è convinto che il mondo sia un sistema aperto, costruito su continue relazioni, da ciò discende la sua capacità di creare un rapporto fluido di continua e reciproca contaminazione tra i diversi linguaggi espressivi. Per questo motivo l’atto di combinazione è l’azione più naturale che Alfano esegue per dar vita a immagini promiscue che vengono poste in relazione con qualcosa di diverso, sino a disarticolarne il senso, negando qualunque rapporto di somiglianza con il reale. In questo modo, qualsiasi linguaggio venga utilizzato, si apre uno spiraglio di luce verso irreali creature, le cui parti del corpo permettono un vitale contatto con l’esterno, cosicché polmoni, mani, naso, occhi, orecchie e piedi sono ingranditi e irreali. Proprio tali forme anomale gli permettono di mantenersi infantile, sia nella difformità dei profili sia nella scelta dei toni puri e sgargianti. Pare che quanto avuto in dono dalla propria infanzia gli sia rimasto ancora in circolo e proprio questa rudimentale ingenuità è motivata dalla pratica collettiva di laboratorio che svolge con bambini e portatori di disabilità, i quali riescono a mantenere appieno un’espressività genuina e diretta. Pertanto, la traccia irriflessiva dell’azione disegnativa lo conduce a lavorare all’informe, sino a ricordarci come in età giovanile, ognuno di noi abbia posseduto un dono ormai perduto, il saper disegnare senza mai riconoscere l’errore.

Roberto Alfano nel suo studio, Lodi, 2022, ph. credit Davide Sabbatini, courtesy l’artista
Inoltre, l’abbandono della verosimiglianza e il continuo passaggio da una tecnica all’altra fa sì che l’opera sia esperienza di una traccia fisica ancor prima di indicare una figura. Tant’è che, a prescindere che il supporto sia tela, tavola o carta fotografica, emerge la scia dell’attrito di qualunque strumento venga alla mano dell’artista, così la forma rimane aperta e pulsante di vita, una gioiosa e pura operazione, allo stesso tempo grezza e priva di limiti tecnici. Così, disegnare, dipingere o fare scultura per Alfano è come abbandonarsi al flusso di visioni che con ansia richiedono di emergere, di fugaci proiezioni che compaiono e scompaiono all’improvviso. Perciò è abbastanza naturale che molte delle figure possiedono distorsioni fisiche, in cui sono evidenti bocche sproporzionate e occhi inseriti in altre parti del corpo. L’evidente confusione formale colpisce nel profondo, in quanto questa totale disarmonia sembra sì gioiosa di essere emersa, ma a tratti risulta persino dolorosa, perché quando alla luce è chiamata a vivere un mondo cui non appartiene. Questo immaginario si colloca in un raro e prezioso stato di dislocazione, al punto tale da donarci una visione diversa del vivere quotidiano.

Roberto Alfano nel suo studio, Lodi, 2022, ph. credit Davide Sabbatini, courtesy l’artista
Allora, considerando i pochi riferimenti al reale e il forte valore simbolico e metaforico di tutta la produzione artistica di Alfano, è utile domandarsi che valore abbia per l’artista lo spazio dello studio e come gestisca tale luogo. Quali sono gli oggetti che occupando queste zone ne influenzano la creazione? Inoltre, sebbene l’atto di esecuzione sembri abbastanza veloce e irruento, per Alfano l’opera è paragonabile alla pagina di un disordinato prosatore, piuttosto che di un poeta. Un flusso ininterrotto e sovraccarico d’immagini, dall’aspetto basico annunciano un creato felicemente confuso, in cui, a differenza di quanto accade in molte delle ricerche d’artista attuali, le questioni della bellezza estetica e dell’imitazione non lo conducono a un’apertura d’orizzonte, bensì valgono come una minaccia di oscuramento creativo. In tal senso le sue creature si posizionano tra la pacata felicità dell’esistenza e la malinconia di un sogno mai compiuto e appena sfiorato. Per questo motivo ogni scena, come nel caso delle opere esposte alla mostra A matter of light, presso lo SPAZIOC21 di Reggio Emilia, visitabile fino al 21 giugno 2025, ci interroga sul valore della fluidità delle tecniche artistiche, svelando l’importanza di vivere lo spazio dello studio con libertà e scioltezza, così come avviene nella sua intera produzione artistica. In tale luogo, proprio come nelle sue opere, si respira la congiunzione tra la spiritualità e la visibilità, una surrealtà interiore che non intende rappresentare l’imitazione della natura bensì una significazione simbolica così intraducibile da rimanere misteriosa. Così le domande che seguono intendono rivelare come per Alfano lo studio sia uno spazio intimo, riservato, talvolta perturbante, altre volte rarefatto. Si tratta di un territorio sospeso, straniante, denso di laceranti presenze che danno colpi allo stomaco e carezze, uno spazio ricco di errori, azioni e relazioni del sé al cospetto di attente alterità.

Roberto Alfano nel suo studio, Lodi, 2022, ph. credit Davide Sabbatini, courtesy l’artista
Maria Vittoria Pinotti: Come scegli le forme espressive da adottare?
Roberto Alfano: La scelta può variare in relazione allo stato emotivo e ai contesti. Tendenzialmente scelgo il disegno e la pittura quando mi trovo in una condizione intima/riflessiva oppure quando devo buttare fuori con una certa urgenza tutta una serie di contenuti emotivi ingombranti. In un certo senso, anche per la scultura è così, quando non è finalizzata a un’installazione pubblica o a percorsi partecipati.
Quanto conta per te l’informe in un’opera?
L’informe per me rappresenta la gestualità spontanea e istintiva, è un dialogo con l’errore, per metabolizzarlo, valorizzarlo e renderlo strumento. È la forma in divenire della trasformazione. L’informe ha un valore identitario nel contesto della pratica artistica e non solo.

Roberto Alfano, “A matter of light”, 2025, installation view, ph. credit Fabrizio Cicconi, courtesy SPAZIOC21, Reggio Emilia
Come gestisci gli spazi del tuo studio?
Lo studio è organizzato in due ambienti: l’archivio e la zona lavoro. Sono spazi ben definiti ma che hanno continuità. Mi piace che siano presenti tutti i momenti della mia produzione degli ultimi anni, da riguardare per valutarne il progresso nella ricerca e le affinità con il mio vissuto e con la società che mi circonda e influenza.
Quali sono gli aspetti essenziali del tuo studio che influenzano anche la tua ricerca d’artista?
Innanzitutto la sua posizione. Il mio studio è un vecchio fienile, quindi si trova in campagna, in una località ben isolata dalla città. Poi gli spazi sono molto ampi. Questo mi permette di lavorare senza particolari vincoli relativi alle dimensioni e, soprattutto in pittura, di dedicarmi a lavori di grande formato. Anche la luce ha un ruolo importante. La luce naturale che passa dai due finestroni laterali e quella del lucernario creano un’atmosfera intima che rende molto piacevole l’habitat.

Roberto Alfano, “A matter of light”, 2025, installation view, ph. credit Fabrizio Cicconi, courtesy SPAZIOC21, Reggio Emilia
Come hai lavorato e riflettuto per realizzare le opere attualmente esposte allo SPAZIOC21?
Il lavoro per “A matter of light” è frutto di una ricerca che ha radici nella tarda adolescenza, ricerca alla quale ho potuto dare continuità solo nel 2020 e poi, a partire dal 2024, con SPAZIOC21 ho avuto modo approfondire in modo viscerale. Nelle opere in mostra ho cercato di riportare (credo con buoni risultati) alcune forme della luce a partire da quella naturale (in prevalenza sole, stelle e fiamme), per poi investigare la luce artificiale degli interni ricercando un’atmosfera di sospensione, e infine mi sono cimentato nel tentativo di descrivere un’idea di luce interiore e alcune suggestioni derivanti dalla mia curiosità per l’astrofisica.
Info:
Roberto Alfano, A MATTER OF LIGHT: studio sulla materia luminosa (Vol. 1)
24/04/2025 – 21/06/2025
SPAZIOC21, Via Emilia San Pietro 21, 42121, Reggio Emilia
Orario al pubblico: da martedì a sabato dalle 10 alle 13 e 15 alle 18
www.spazioc21.com
www.alfanoalfano.com

Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
NO COMMENT