La Fondazione Biscozzi | Rimbaud di Lecce si concentra in questi mesi su un aspetto inedito e affascinante della produzione di Sandro Chia (Firenze, 1946), figura chiave della Transavanguardia e artista di risonanza internazionale. La mostra Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989-2017, curata da Lorenzo Madaro, non celebra in maniera generica l’opera di Chia, ma si addentra in un territorio specifico e definito: la sua produzione su carta tra il 1989 e il 2017. Un corpus di cento opere che promette di svelare un “archivio intimo di immagini”, come suggerisce il comunicato stampa, offrendo una prospettiva privilegiata sulla natura metamorfica del suo linguaggio pittorico e sul suo costante dialogo con la storia dell’arte. Lorenzo Madaro, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e curatore attento alla rilettura degli anni Ottanta – come testimonia questa stessa mostra – ci guida in questa intervista attraverso le scelte curatoriali che hanno dato forma all’esposizione.

Sandro Chia, ph. Federico Cimatti, courtesy Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS
Antonella Buttazzo: Il titolo della mostra, I due pittori, sembra suggerire un concetto di dualità, forse anche di autoriflessione. In che modo questa dicotomia si manifesta nel lavoro di Chia?
Lorenzo Madaro: C’è un’intervista molto intensa che Sandro Chia ha rilasciato a Flash Art nei primi anni ‘80, in cui precisa a Giancarlo Politi e Helena Kontova che ogni mattina, per trovare un compagno di strada e di battaglia per il suo percorso quotidiano, apre un libro d’arte. C’è sempre questa idea di un’arte che ripensa a sé stessa, ai suoi confini, ai suoi territori e alle sue prospettive. Quindi, l’ipotesi è che nel lavoro di Chia ci sia un costante lavoro di riflessione sulle immagini, sulle loro trasformazioni, metamorfosi e contaminazioni. Per questo motivo, I due pittori, citati nel titolo dell’esposizione, sono, secondo la mia idea curatoriale, Sandro Chia e gli altri artisti della storia dell’arte con cui ha dialogato, con cui si è confrontato, con cui ha instaurato un profondo percorso di ricerca sin dagli esordi. Non dimentichiamo che, tralasciando la sua fase concettuale iniziale, Chia ha improntato il suo percorso su una riflessione sull’immagine, ipotizzando e costruendo un ritorno all’iconografia.

“Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989-2017”, installation view, courtesy Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS
La Transavanguardia ha segnato un ritorno alla pittura, ma con modalità differenti per ciascun artista del gruppo. Quali elementi distinguono Chia rispetto agli altri esponenti del movimento?
La mia maestra Laura Cherubini, una grande storica dell’arte che si è occupata molto anche di Transavanguardia, avendola vista nascere da vicino, mi dice sempre che in realtà non c’è mai stato un vero e proprio ritorno alla pittura, perché la pittura non se n’era mai andata. D’altronde, a Roma c’erano artisti come Mario Schifano e Tano Festa che erano pittori. Quindi, più che un ritorno, era un nuovo modo di fare pittura, più consapevole e allo stesso tempo intelligentemente scanzonato. La Transavanguardia è stata un fenomeno interessante per il sistema dell’arte, perché per la prima volta è stata strutturata in modo sistematico: vi è infatti un palinsesto di ruoli in cui c’erano l’artista, il gallerista, il collezionista e il museo. Ci sono artisti che a trent’anni sono entrati nei maggiori musei del mondo. Quanto alla storia espositiva di Sandro Chia, è veramente epica. Il mio allievo Simone Melis, che oggi è il curatore dell’archivio Paladino e ha lavorato con me come assistente alla mostra di Chia, ha ricostruito la sua biografia nel catalogo in modo molto accurato, ripercorrendo anche i suoi anni iniziali. Chia ha esposto in tutte le grandi gallerie e musei nei primi anni ’80, ricevendo una grande attenzione con il suo lavoro dedicato a una rilettura della storia dell’arte con guizzi ironici e dissacranti.

“Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989-2017”, installation view, courtesy Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS
La mostra propone una lettura retrospettiva della produzione su carta di Chia, ma il testo che hai predisposto per il comunicato stampa sottolinea anche l’importanza di rileggere gli anni Ottanta nel loro complesso. Quali sono gli aspetti più fraintesi di quel decennio che questa mostra contribuisce a chiarire?
Oggi, dopo aver rivalutato gli anni ‘60 e ‘70, è davvero arrivato il momento di ripensare agli anni ‘80, soprattutto di rileggerli e di comprendere anche la loro attualità come ricerca. Ci sono artisti straordinari etichettati in certi percorsi, come la Transavanguardia, che, come dice il mio amico Mimmo Paladino, è stata un’intuizione e una concettualizzazione di Achille Bonito Oliva. Ma questa concettualizzazione non poteva esaurire la complessità di quei percorsi. La Transavanguardia è importante perché, dopo il Futurismo e l’Arte Povera, l’arte italiana è uscita dai confini nazionali in modo dirompente: l’Arte Povera aveva avuto un successo anche internazionale, con grandi mostre come Live In Your Head: When Attitudes Become Form di Harald Szeemann, ma la sua affermazione negli Stati Uniti è avvenuta dopo gli anni ‘80. La Transavanguardia, a dire il vero, è stata la prima a conquistare l’America e il Nord Europa, grazie anche a galleristi illuminati come Gian Enzo Sperone, Paul Maenz ed Emilio Mazzoli, a cui devo molto per questa mostra.
Osservando le opere in mostra, emergono riferimenti diretti e indiretti alla storia dell’arte, dal Rinascimento fino all’arte moderna. In che modo Chia lavora con la tradizione senza cadere nel citazionismo fine a sé stesso?
Sandro Chia, in realtà, ripensa le immagini in modo scanzonato e geniale. Il punto fondamentale è proprio la possibilità che lui offre a noi di rileggere le immagini, di ripensare a scene che appartengono all’arte come alla vita. Ci sono figure che si muovono liberamente nello spazio dell’opera, corpi, con un erotismo più o meno velato. Ecco, possiamo dire che nel lavoro di Chia c’è la vita stessa.

Sandro Chia, “Senza titolo”, 2001, tecnica mista su carta, 27,8 x 21 cm; “Senza titolo”, 2014, tecnica mista su carta, 28,6 x 21 cm. Foto Rolando Paolo Guerzoni, courtesy Galleria Mazzoli, Modena
Il tuo lavoro curatoriale ha spesso affrontato il tema della rilettura storica di momenti cruciali dell’arte contemporanea italiana. In che modo questa mostra si inserisce nel tuo percorso di ricerca?
Per il mio percorso curatoriale la rilettura storica è fondamentale perché concilia un grande amore antico che è quello per la Transavanguardia, per gli anni ‘80 e per Chia. Inoltre, rappresenta una bellissima esperienza alla Fondazione Biscozzi | Rimbaud, un luogo di eccellenze con cui collaboro da tempo: dalla Presidente Dominique Rimbaud e alla sua assistente Anna Maggio, ai miei colleghi del Comitato Scientifico Paolo Bolpagni, Dario Cimorelli, Roberto Lacarbonara e a tutto lo staff della comunicazione. Poi, non posso tralasciare una persona a cui sono legato da lunga amicizia nata per merito di Mimmo Paladino, un gallerista, un collezionista, un punto di riferimento internazionale nella storia dell’arte, Emilio Mazzoli, il primo che ha portato in Europa Jean-Michel Basquiat, nel 1981 a Modena, e soprattutto che ha prestato le cento opere, a me e alla Fondazione, per la mostra. Quindi, questa mostra è «un’onda fortunata di felici coincidenze», come avrebbe detto Alighiero Boetti, cioè di tanti aspetti positivi.
Guardando alla scena contemporanea, ritieni che l’eredità della Transavanguardia e il linguaggio pittorico di Chia abbiano ancora un’influenza sulle giovani generazioni di artisti?
Sì, certo. Se pensiamo a tutta l’ossessiva e compulsiva presenza di pittura legata all’immagine che c’è in giro, mi sembra davvero che la Transavanguardia sia più viva che mai. Di conseguenza, anche il lavoro di Chia è incondizionatamente contemporaneo.
Info:
Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989-2017 a cura di Lorenzo Madaro
22/02 – 15/06/2025
Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS
Piazzetta Baglivi 4, 73100 Lecce
www.fondazionebiscozzirimbaud.it

Dopo aver conseguito la maturità linguistica, ha proseguito gli studi laureandosi in Storia dell’Arte presso l’Università del Salento, con una tesi bilingue sui Preraffaelliti. Da allora, contribuisce attivamente come articolista e collaboratrice con blog nazionali e con riviste e programmi TV locali.
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