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Sara Lorusso. Esistenzialismo

Sara Lorusso. Esistenzialismo

Sara Lorusso (Bologna, 1995) ha studiato fotografia presso Spazio Labò e attualmente è iscritta all’Accademia di Belle Arti dove frequenta il corso di fotografia, cinema e televisione. La sua ricerca artistica, che spazia dall’immagine analogica a installazioni che stimolano l’interazione dello spettatore, indaga le molteplici possibilità di comunicazione e fraintendimento generate dai nuovi linguaggi multimediali e le modalità in cui la loro capillare presenza nella realtà quotidiana condiziona la nostre esperienze e percezioni. Perfettamente a suo agio, come la maggior parte dei millennial, nelle sofisticate dinamiche della rete e della manipolazione digitale, riesce allo stesso tempo ad estraniarsi dal flusso continuo delle informazioni telematiche per analizzarle criticamente e cogliere le implicazioni semantiche sottese alle logiche di funzionamento delle tecnologie da cui sono veicolate. Non si tratta quindi di scandagliare ipotetiche contrapposizioni tra realtà e virtualità, naturale e artificiale, ma di individuare alcuni concetti chiave della società digitale per riportarli a una matrice esistenziale che rimane nonostante tutto profondamente umana e di evidenziare i sintomi della loro persistente incarnazione anche nelle manifestazioni più asettiche dell’estetica 2.0. Per questo motivo quindi non c’è alcuno scollamento concettuale e operativo nell’alternanza tra media tradizionali e interattivi che caratterizza la pratica artistica di Lorusso, in quanto entrambi riflettono la medesima impalpabile fluidità dei nostri tempi con particolare attenzione per la sfera esperienziale ed emozionale giovanile.

Nella serie di scatti intitolata Sulla sessualità (2015-2016) realizzati con una kodak 200 color plus, l’artista indaga la complessa sensibilità femminile nel delicato momento della post-adolescenza, quando il corpo manifesta il proprio potenziale erotico ed estetico per diventare anche corpo sociale esposto a condizionamenti, forzature e confronti che nell’era della condivisione social risultano ancora più invasivi e destabilizzanti. Le composizioni, avvolte da una soffusa penombra naturale, presentano dettagli intimi ed emotivi della fisicità dell’artista associati a fiori, frutti e piante che si sovrappongono agli attributi sessuali amplificandone la sfera di influenza con calibrate analogie morfologiche e cromatiche. Gli scatti, che riescono a essere simultaneamente espliciti e delicati, esplorano il tema dell’identità biologica e della sua rappresentazione enfatizzando ciò che ancora si tende a nascondere perché considerato tabù e che per questo rischia di diventare facile merce di scambio mediatica.

Si basa sempre su procedimenti di analogia visiva e differenza semantica il progetto Search for yourself on the net presentato lo scorso giugno a Localedue di Bologna a cura di Irene Angenica e Francesca Manni. In quel caso i visitatori sono stati invitati a pubblicare in rete un selfie che li ritraeva mentre compievano determinate azioni associando la loro immagine a una serie di oggetti predisposti dall’artista, simili per forma e colore ma diversi per funzione e ambito di utilizzo. La foto così ottenuta diventava poi il fulcro di una schermata di ricerca di google immagini che riuniva le voci risultanti dalla digitazione di una medesima parola chiave, proiettando il ritratto in un’infinita serie di ripetizioni differenti in cui l’identità individuale dei soggetti si disperde in un mare di affinità casuali e spesso prive di consequenzialità. Lo straniamento generato  da questi mosaici di eterogenee conformità virtuali enfatizza come la razionalità umana differisca dalle logiche che presiedono al funzionamento dei software che ne costituiscono le protesi cognitive, suggerendo riflessioni quanto mai attuali sul piano della reciproca compatibilità e sostenibilità.

Indaga invece le implicazioni relazionali della virtualità il progetto Welcome to my life, recentemente  presentato a cura di Irene Angenica e Davide Da Pieve negli spazi di Porto dell’Arte, home gallery sperimentale nata per incentivare e sostenere giovani artisti attraverso eventi espositivi site-specific in un appartamento situato nella Manifattura delle Arti di Bologna. Chiamata a confrontarsi con uno spazio abitativo privato, Lorusso decide di investigare il labile confine tra condivisione e intimità mettendo a disposizione dei visitatori il proprio telefono cellulare e lasciandoli liberi di interagire con i suoi ricordi e i suoi contatti. L’esperimento richiama, con i dovuti aggiornamenti epocali, la performance effettuata da Marina Abramovic a Napoli nel 1974, quando si prefisse di rimanere immobile per sei ore in balia del pubblico invitato da un messaggio scritto a utilizzare liberamente su di lei 72 oggetti collocati su un tavolo, alcuni inoffensivi come piume, fiori e acqua e altri potenzialmente pericolosi, come pistole, coltelli o rasoi. In poco tempo l’iniziale timidezza degli astanti degenerò in un’intensificazione di violenza, culminata nel gesto di qualcuno che le mise la pistola in mano puntandogliela alla gola. Lo scopo dell’artista era mostrare quanto sia facile disumanizzare una persona che non lotta per difendere i propri confini e come in circostanze particolari anche le cosiddette persone “normali” possano diventare inaspettatamente aggressive.

Niente di tutto questo è capitato all’evento bolognese, che si svolgeva in una situazione protetta e condivisa con persone più o meno direttamente conosciute e di fiducia, ma l’installazione di Sara Lorusso riesce comunque a suggerire inquietanti scenari di prevaricazioni di genere e atti di bullismo telematico simili a quelli che emergono come cause di certi sconcertanti episodi di cronaca, riflettendo sulle dinamiche che li generano e su come internet e i social abbiano cambiato i rapporti di forza tra le persone amplificando e archiviando ogni loro azione. Diventa inevitabile quindi chiedersi cosa sarebbe successo se il telefono fosse stato esposto in un luogo veramente pubblico e fuori controllo e quanto queste interferenze virtuali avrebbero condizionato la vita reale di Sara se non ci fosse stato modo di avvertire i suoi contatti dell’avvenuta intrusione. Il lavoro, oltre a creare una forte contrapposizione dialettica tra la funzione comunicativa/connettiva del cellulare e la sua opposta valenza di diario segreto contemporaneo e catalogo di esperienze, insiste sulla delicata intersezione tra il naturale desiderio di un individuo di costruirsi un’identità, la necessità di rafforzarla attraverso l’auto-rappresentazione e il successivo slittamento di quest’ultima in pratiche “promozionali” omologanti che finiscono per contraddire l’individualità.

http://itsmesaralorusso.tumblr.com/

http://portodellarte.wixsite.com/home

Sara Lorusso, Sulla Sessualità, 2015-2016

Sara Lorusso, Sulla Sessualità, 2015-2016

Sara Lorusso, Search for yourself on the net, 2017, installation view at Localedue

Sara Lorusso, Search for yourself on the net, 2017

Sara Lorusso, Welcome to my Life, 2017, metallic pedestal, smartphone, installation view at Porto dell’Arte ph Flavio Pacino


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