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Sospesi tra tradizione e intelligenza artificiale: chi ci ha colpito a Mia Photo Fair BNP Paribas 2025

Dialogo è la parola magica eletta a tema della 14esima edizione di Mia Photo Fair BNP Paribas. E dialogo è sicuramente quello che la fotografia ha instaurato da tempo con altre componenti: l’estetica, le forme architettoniche, la pittura, l’intelligenza artificiale, i software di post produzione. È terminata domenica scorsa questa importante kermesse e anche noi intendiamo ripercorrerla attraverso lo sguardo dei fotografi che maggiormente ci hanno impressionato, anticipando che l’elenco è soggettivo e necessariamente parziale.

Pelle Cass, “Volleyball at Northeastern University”, 2018, (“Crowded Fields” series), printed on heavy 100% rag paper with a matte finish, 60 x 90 cm, courtesy OTM Gallery

Pelle Cass, “Volleyball at Northeastern University”, 2018, (“Crowded Fields” series), printed on heavy 100% rag paper with a matte finish, 60 x 90 cm, courtesy OTM Gallery

Una coinvolgente conferma e una interessante novità sono proposte dalla cortonese OTM Gallery, spina dorsale del festival internazionale di Cortona on the Move. La conferma è rappresentata dallo statunitense Pelle Cass e le sue grandi fotografie affollate (“Crowded Fields” è il titolo di questo suo progetto) di figure che compiono lo stesso gesto in un massificato numero di posizioni. Per raggiungere questo risultato, Cass colloca la fotocamera su un treppiedi, scatta migliaia di fotografie dei campi da gioco sportivi e assembla le figure selezionate in un’immagine finale che diventa una sorta di mosaico affollatissimo di corpi che occupano lo spazio in tutte le direzioni. La novità interessante, tra le altre, proposta dalla galleria toscana è il progetto della fotografa svizzera Léonie Rose Marion. Con questa serie tematica che esplora l’inquinamento luminoso sugli esseri viventi notturni, la fotografa riesce ad armonizzare molto bene il senso della propria lodevole ricerca con uno spiazzante senso estetico.  Del resto, Marion agisce al confine tra il rigore della scienza e l’emotività della poesia, potenziando il suo messaggio con una monocromia che ci invita a riflettere su come impattiamo, noi esseri umani, sulla natura.

Léonie Rose Marion, “Constellation 150”, 2024, (“Relever la nuit” series), inkjet print on Hahnemühle Photo Rag Matt Baryta 308 gsm, 13 5x 97cm, courtesy OTM Gallery; Sara Rossi, “Perché”, (“ABC” series), 2013/2025, digital print on Hahnemühle paper, © the artist, courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

Léonie Rose Marion, “Constellation 150”, 2024, (“Relever la nuit” series), inkjet print on Hahnemühle Photo Rag Matt Baryta 308 gsm, 13 5x 97 cm, courtesy OTM Gallery; Sara Rossi, “Perché”, (“ABC” series), 2013/2025, digital print on Hahnemühle paper, © the artist, courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

ABC è il progetto fotografico della milanese Sara Rossi, presentato da Glenda Cinquegrana Art Consulting. All’occhio dell’osservatore la base della fotografia, una sorta di linea di orizzonte, apparirà all’altezza di una scritta associata a un luogo italiano non integralmente riconoscibile. L’elemento di evidenza è l’insegna pubblicitaria (mutilata anch’essa rispetto alla sua interezza), quindi il segno alfabetico, in cui declina il paesaggio periferico italiano, oggetto dell’indagine di Rossi, capace di conferire una sensazione vivamente poetica ed estraniante alla fotografia. Beba Stoppani presenta un progetto che unisce molte riflessioni sul nostro rapporto con il luogo e la natura. Proposta dalla milanese Red Lab Gallery, la serie tematica denominata “Suspended/Sospeso” è, come afferma direttamente l’artista, “una fluttuazione tra un passo e l’altro, tra passato e futuro”, attraverso una dozzina di paesaggi raffigurati al confine tra fotografia e pittura. Significativa è la sottoserie numerata da #10 a #13 nella quale la fotografa sembra “stabilirsi alla stessa altezza di ciò che include nel proprio sguardo” (Giovanna Gammarota, curatrice), proponendo paesaggi aridi con sfumature di beige e marrone volutamente sgranate ma di grande impatto visivo.

Philip Shalam, Liverpool Street (“Refracted Lens” series), print on baryta paper mounted on 3 mm Dibond and 3mm acrylic, 80 x 120cm, © the artist, courtesy Levi Blanchaert gallery

Philip Shalam, Liverpool Street (“Refracted Lens” series), print on baryta paper mounted on 3 mm Dibond and 3mm acrylic, 80 x 120cm, © the artist, courtesy Levi Blanchaert gallery

“I’m a purist”, mi dice Philip Shalam che presenta una selezione dei progetti “Refracted Lens” e “Metropolis” nello stand della Galleria Levi Blanchaert. La purezza di cui parla il fotografo inglese fa riferimento al non uso dell’intelligenza artificiale che, a uno sguardo disattento, sembrerebbe esserci. E invece le sue grandi opere fotografiche sono frutto di un collage interamente fisico: nel caso del primo progetto, l’artista scatta molte foto dello stesso soggetto, stampa, taglia, ricompone e crea immagini finali destrutturate e con una magnetica capacità poetica. Nel caso del progetto “Metropolis” la stessa tecnica d’atelier è adattata a una moltitudine di scatti di soggetti differenti per avere un risultato finale solo apparentemente inquietante, nei fatti al confine tra dimensione onirica, fotografia e architettura.

Phillip Toledano, “Polite extra slim the smoking head 1”, 2024, courtesy © Phillip Toledano, courtesy Tallulah Studio Art

Phillip Toledano, “Polite extra slim the smoking head 1”, 2024, © Phillip Toledano, courtesy Tallulah Studio Art

Fra le proposte più interessanti di uso dell’intelligenza artificiale, ci ha particolarmente convinto il progetto (che nasce da un libro fotografico) “Another America”, in cui il fotografo inglese Phillip Toledano rilegge la storia (sia quella delle persone newyorchesi ritratte in immagini dal poderoso impatto, sia la grande Storia con la S maiuscola) con l’uso dell’I.A. Proposto dalla galleria milanese Tallulah Studio Art, Toledano accompagna il suo progetto con ampie riflessioni sul confine tra verosimile e realtà, tra racconto storico reale e rivisto. La presa dell’I.A. sull’arte contemporanea è molto robusta, afferma il fotografo: se tutto può essere vero, allora nulla lo è realmente. Le sue grandi fotografie, soprattutto quelle in bianco e nero con soggetti vintage, sono davvero coinvolgenti e riescono a trasmettere un’inquietante sensazione di quanto sia facile costruire una verità.

Camilla Gurgone, “Process to shape the imaginary” n°4 and n°5, 2024, courtesy Viasaterna

Camilla Gurgone, “Process to shape the imaginary” n°4 and n°5, 2024, courtesy Viasaterna

Camilla Gurgone, giovane fotografa lucchese con all’attivo già un interessante palmarès e proposta dalla milanese Viasaterna, declina in modo originale l’I.A. in un progetto che cerca di dare forma all’immaginario. “Process to Shape the Imaginary” prende avvio dal quesito su cosa sia la materia dei propri sogni e l’artista ne cerca gli elementi attraverso una vera e propria full immersion virtuale che poi riproduce, in sintonia con l’evanescenza dell’attività onirica, su carta termica destinata dunque anch’essa (insieme all’opera d’arte e alla materia primordiale del sogno) a dissolversi nel tempo. L’effetto sull’osservatore è magnetico: questo maniacale tentativo di connettere un’attività umana e personale (il sogno) con il mondo circostante è molto coinvolgente e richiama la leggerezza calviniana in cui la fotografa plana efficacemente nell’opera d’arte.

Roberto Salbitani, “Venezia, Circumnavigazioni e derive”, 1990, silver salt print, 36,5 x 36,5 cm, © the artist, courtesy Cartacea Galleria Stampa ai sali d'argento

Roberto Salbitani, “Venezia, Circumnavigazioni e derive”, 1990, silver salt print, 36,5 x 36,5 cm, © the artist, courtesy Cartacea Galleria Stampa ai sali d’argento

Si chiude questa promenade antologica con una solida certezza. Proposto dalla galleria bergamasca Cartacea, l’artista Roberto Salbitani ci mostra, con tre tappe della sua intensa e vastissima anima di investigatore dei territori italiani, il suo sguardo su Venezia (qui ritratta in una serie di tondi ‘decantati’ per circa quarant’anni, dagli anni ‘70 agli inizi duemila), l’Etna e il Parco di Bomarzo. L’effetto delle opere è affascinante, ci si trova davanti a una analogica sintesi di acqua, fuoco e pietra, una sintesi “non inquadrata nel senso etimologico del termine” e dunque dall’aspetto altamente sacrale, oscillanti tra l’effetto epifanico della visione e un nucleo oscuro e nascosto.

Info:

www.miafairbnpparibas.it


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