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Soy Cuba? Un arcipelago dell’identità

Soy Cuba? Un arcipelago dell’identità

L’incipit della mostra ‘Soy Cuba?’, ‘Sono Cuba?’, può sottendere alla domanda di maggiore portata: ‘Sono cittadino del mondo?’ Come ci suggeriscono le parole dell’artista José Yaque, (…) a volte mi sono domandato quanto sia possibile essere universale a partire dall’essere cubano, quanto sia possibile che la propria opera vada oltre il mare che separa la nostra isola dal resto del mondo (…), l’interrogativo sulla propria identità muove dall’appartenenza al paese d’origine, per arrivare a meditare sulla presenza dell’uomo nel mondo e nella storia. La condizione di essere cubano oggi viene riflessa nello sguardo sincero e personale di otto artisti che operano con libertà espressiva e autonomia di pensiero, accompagnati dagli interventi di Carlos Garaicoa e Pascale Marthine Tayou, due artisti di altra generazione (il secondo anche di diversa nazionalità  seppur legato emotivamente a Cuba).

L’isola caraibica soggetta a continue mutazioni, è rievocata negli spazi appena risorti della Palazzina del Teatro Franco Parenti di Milano, protagonista anche quest’ultimo di una trasformazione che ha tuttavia conservato il fascino della sua precedente configurazione.

Entrando nella mostra il rosso dell’opera di Reynier Leyva Novo, sembra voler sottolineare un confine al di là del quale ci si addentra in una zona emancipata, rivoluzionaria. Il rosso sangue, cosparso sulla tela e sulla sedia antistante, la Red Stokke Chair (progettata per essere utilizzata tutta la vita) è lo stesso dell’inchiostro usato nei titoli del Granma, quotidiano del partito comunista cubano, nei numeri pubblicati dalla nascita della figlia dell’artista nel 2014, al 2015.

D’un tratto, scoppia un boato. Restando in ascolto si capisce che non ci sono bombe, la guerra è passata, oppure solo lontana? Sono gli Aplausos (2014-2017) dell’installazione sonora di Susana  Pilar, approvazioni di gesta eroiche e orazioni politiche in nome della giustizia, o almeno come tale acclamata. Gli applausi divampano tumultuosi, tributati in occasione dei discorsi, tra gli altri, di Ernesto Che Guevara, alle Nazioni Uniti nel 1964, di Hugo Chàvez a Cuba nel 1994, di Vladimir Putin sulla situazione in Crimea nel 2014, di Barack Obama durante la sua visita all’Avana nel 2016, di Donald Trump sul cambiamento della politica estera nei confronti di Cuba nel 2017, momenti questi che hanno determinato le sorti di popoli e che a intervalli ci ricordano una condizione d’instabilità perpetua.

Il rumore spinge a proseguire in una più ampia sala dall’atmosfera rarefatta, dalle tinte azzurro pastello, esotico, cubano, suddivisa al centro da un corridoio aperto. I fori quadrati della struttura incorniciano le fotografie di Alejandro Campins sulla parete destra della stanza, dove alcuni bunker, risalenti alla Seconda guerra mondiale e alla Guerra Fredda, come monumenti della paura, contaminano il paesaggio. Grazie allo sguardo dell’artista assumono una teatralità poetica che rimanda alle vestigia di un colosseo, in cui gli attori hanno recitato fra la finzione e la realtà. Le fortezze appaiono più mistiche nelle parvenze metafisiche dei dipinti dello stesso Campins, che sospesi nello spazio e nel tempo, rammentano le nature morte di Morandi ombrose e mute.

Il potere del silenzio si cela dietro Palabra lesionada, perfomance / installazione in situ, da cui Elizabet Cervino vuole far scaturire una ‘Sacra conversazione’ con Parole nuove e sentite, non più svilite o manipolate dalla cupidigia umana. Cervino, attraverso un gesto primordiale apparentemente violento, rompe il pavimento con una barra simile ad una lancia, strumento arcaico, evocatore di virtù nell’antica Grecia, alla ricerca di un tesoro essenziale. È la spiritualità la sua arma.

Nella biblioteca del Teatro il viaggio continua, grazie all’espediente narrativo di piccoli frammenti di vita raccolti in un iPad, mediante una virtualità immersa nel presente al di là dell’oceano. Per mezzo del suo obiettivo l’artista Leandro Feal cattura sistematicamente i frequentatori del Bar Roma, dove più di sessant’anni fa l’edificio ospitava un hotel nella parte più antica della città dell’Avana. Al visitatore è dato possibile seguire il profilo Instagram del locale dove continuano ad apparire immagini della ‘nuova’ vita notturna cubana. La sequenza trova una chiave di lettura nel messaggio Muy amado, no temas, la paz sca contigo. esfuérzate y aliéntate. Dn 10:19 che compare in uno degli scatti, su di un foglietto mostrato da delle mani femminili. Dunque è possibile valicare i confini e specchiarsi nell’altro mare e nel volto del prossimo per ritrovare se stessi e poi tornare indietro più consci di esistere. Feal inoltre installa le sue fotografie in un’altra opera site specific utilizzando la simmetria delle Sale Gemelle, che ritraggono la vita quotidiana a Cuba, uno scenario in continua trasformazione, tribolazione. Compare in diversi ritratti della strada l’insegna ‘America’, traccia di un’ideologia persa nello scarto di generazioni in corsa verso il futuro incerto.

In diversi interventi artistici è riscontrabile l’utilizzo rinnovato di risorse, in particolare nei lavori di Osvaldo González che ridefiniscono lo spazio con lo scotch e la luce, in un gioco scrupoloso di aggiunta e sottrazione. Si assiste inoltre al ricorso a pratiche che talvolta si fanno esse stesse opera, come il gesto di rottura di Elizabet Cervino oppure la perfomance Otro Juego de Piscina organizzata da Luis López-Chavez in occasione dell’inaugurazione e riproposta in forma fotografica e filmica in mostra. Si tratta di una gara di nuoto, in cui a seconda dell’ordine di parole sulle mute dei nuotatori viene ricomposta la frase “L’arte è una proposta estetica che cambia il suo significato con il denaro”, così che la sfida fra diversi concorrenti metaforicamente ridefinisce il rapporto fra arte e denaro.

 Tanti sono i tentativi di trasmettere lo spirito creativo di Cuba e il suo contesto attuale, in un andirivieni di emozioni, di microstorie che ricongiungono l’io con la persona, il singolo con la collettività. La globalizzazione si trasforma in profetica coesistenza di passato e presente, dando la possibilità all’isola di convivere con il resto del mondo. La rinascita della Palazzina coincide con una fiorente attività di artisti cubani, giovani e con una già matura consapevolezza d’intenti. La riqualificazione di un ambiente così come dell’io e del noi, emerge in tante riflessioni aperte nel corso dell’esposizione a partire dal quesito iniziale, ‘Soy Cuba?’, ereditato dal titolo del film sovietico di Mikhail Kalatozov e ancora oggi in sospeso. La mostra nasce da un’idea di Marina Nissim in collaborazione con Galleria Continua ed è curata da Laura Salas Redondo.

Vanilla Ciancaglini

Info:

Soy Cuba? 8 artisti contemporanei
13 ottobre – 19 novembre 2017
Palazzina dei Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti
via Carlo Botta 18 Milano

Alejandro Campins, dalla serie Letargo: Arcoiris, photocredit: Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti

Luis López-Chávez, Otro juego de piscina, 2017, photocredit: Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti

Elizabet Cerviño, 2017, photocredit: Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti

Reynier Leyva Novo, Perfect Doctrine, della serie The Weight of Ideology, 2014-2015, sedia e inchiostro rosso. Processed by Ink 1.1, 2016,  photocredit: Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti

Pascale Marthine Tayou, Cuba mi Amor, 2015-2017, photocredit: Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti


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