The Feuerle Collection, Berlin

The Feuerle Collection è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata da Désiré Feuerle e Sara Puig nel 2016. Ambedue i soci fondatori hanno un background artistico, dato che Feuerle ha gestito una galleria negli anni Novanta, a Colonia, dove trattava opere di arte antica, moderna e contemporanea, mentre Puig è fondatrice del Sara Puig Institute for the Arts e ricopre la carica di presidente della Fundació Joan Miró di Barcellona. La collezione ospita opere dalla dinastia Han alla prima dinastia Qing, giustapposte alle prime sculture Khmer dal VII al XIII secolo e ad opere contemporanee di Zeng Fanzhi, Nobuyoshi Araki, Anish Kapoor, James Lee Byars, Cristina Iglesias e Adam Fuss. La penombra e l’oscurità sono le linee guida dell’intero allestimento in modo che il discrimine tra il cono di luce incentrato sull’oggetto d’arte e l’ambiente circostante che lo accoglie venga a creare una sorta di atmosfera ambigua e rarefatta che favorisce il raccoglimento, la meditazione e la purificazione. In questo modo il percorso di visita diviene una specie di rituale, un viaggio nelle viscere della terra per poi risalire lungo i lati marginali della propria coscienza. Per assurdo il tutto ricorda un rito sacro, una cerimonia dove il visitatore diventa il fedele che si accosta al simulacro, all’immagine della divinità. Il tutto con molto equilibrio, e con dispiegamento di opere di altissima qualità.

La collezione ha trovato casa in un ex bunker per le telecomunicazioni della seconda guerra mondiale (il cosiddetto Basa-Bunker sull’Halleschen Ufer a Kreuzberg) che è stato ristrutturato dall’architetto britannico John Pawson, con un misto di tocco brutalista e minimalista.

L’idea che sta alla base della Feuerle Collection è quella di un’opera d’arte a trecentosessanta gradi, senza distinzione di luoghi di provenienza e di tempo, in modo che segni tra loro dissimili e distanti possano costituire un corpo organico e integrato, una specie di segnale vibrante e significante. Secondo una tale modalità di disposizione e di giustapposizione delle opere, lo schema tradizionale di tipo cronologico viene a cadere a favore di rapporti empatici o di assonanza visiva. È una regola questa, ormai applicata in molti musei e in numerose mostre di arte contemporanea. Bisogna confessare che questa modalità rende più difficile la lettura e la contestualizzazione dell’opera, ma di certo dà un maggior fascino al percorso di visita, rendendolo particolare e coinvolgente.

Secondo questa idea l’opera d’arte contemporanea diventa senza tempo, l’antico diventa contemporaneo, le diverse opere d’arte si fondono tra loro per creare una nuova sensazione fantasiosa. Il che, tradotto in altro modo, significa: “Tutta l’arte è contemporanea” oppure, citando  Salvatore Settis, “tra antico e contemporaneo non c’è netta frattura ma una perpetua tensione, un continuo rinvio di forme e di stili. Possiamo però risalire fino ad Alois Riegl: “Quello che è stato una volta non può più tornare a essere, e tutto ciò che è stato rappresenta l’anello insostituibile e indissolubile di una catena di sviluppo”. Mi vengono in mente anche i “contrappunti” che Peggy Guggenheim, nella sua casa di Venezia, aveva costruito tra le opere dei suoi amati artisti del Novecento (Braque, Calder, Picasso…) e le maschere aborigine: un dialogo ravvicinato tra segni e significati dissimili e allo stesso tempo un percorso di rottura a livello cronologico.

Per dirla con parole di Désiré Feuerle “le diverse culture creano sentimenti simili o contraddicono la prospettiva classica, guardando un’opera d’arte come se fosse giustapposta con qualcosa che non ti aspetteresti o con qualcosa che sta persino rompendo l’armonia e, attraverso ciò, crea una nuova prospettiva sull’esperienza artistica”.

Infine, mi piace chiudere questo servizio con una citazione del critico letterario canadese Northrop Frye: un medico, in viaggio nella tundra artica, immerso nel buio gelido di una tempesta di neve, e senza più alcun punto di riferimento, esclama disperato: “Ci siamo persi!” La guida Inuit, che lo accompagnava, guardandolo intensamente gli rispose: “Non ci siamo persi, siamo qui”. Ecco, la Feuerle Collection, con i suoi 7mila mq di spazio espositivo, è una specie di “qui” ovvero una affermazione sulla coscienza del percepire riguardo a ciò che di solito non si riesce a vedere.

Roberto Grisancich

Info:

The Feuerle Collection
Hallesches Ufer 70
10963 Berlino
info@thefeuerlecollection.org
visite su appuntamento

Vista esterna della Feuerle Collection. Photo def image. Courtesy The Feuerle Collection, Berlin

Désiré Feuerle inside The Feuerle Collection. Anish Kapoor, Torus, 2002 (steel) and Khmer sculptures, in the background: Adorned Buddha Protected by Naga, Bayon Style, 13th century, polychrome wood. On the right: Vishnu, Banteai Srei Style, 10th century. Photo def image © The Feuerle Collection, Berlin

Installation view of The Feuerle Collection. Adam Fuss, From the series My Ghost (unique gelatin silver print photogram) with Large Side Table with Everted Ends, Early Qing Dynasty,17th century, tieli wood. Photo Nic Tenwiggenhorn © Nic Tenwiggenhorn / VG Bild-Kunst, Bonn, courtesy The Feuerle Collection, Berlin

Istallation view of The Feuerle Collection. Nobuyoshi Araki, Tokyo Comedy, 1997/2015 (gelatin silver print) with Stone Table, Song Dynasty to early Ming Dynasty, China, 10thcentury-15th century, limestone. Photo def image © The Feuerle Collection, Berlin


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