L’artista Omar Mahfoudi (Tangeri, 1981) si presenta per la prima volta in Italia, presso la galleria CAR di Bologna, con la personale Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato, curata da Andrea Busto. Questo titolo garuttiano preannuncia e inquadra la pratica del pittore: si assiste a una dimensione eterea, in cui figure umane e natura si dissolvono tra il viola livido e l’indaco palliativo.

Omar Mahfoudi, “Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato”, photo by Manuel Montesano, courtesy CAR Gallery, Bologna
Numerosi sono i riferimenti all’arte europea che si possono rintracciare nello stile di Mahfoudi – Busto lo accosta a Caspar David Friedrich, Emil Nolde, J. M. William Turner, tra gli altri – e di questi artisti si ritrovano il magnetismo del segno, i soggetti vibranti, la visione nebulosa e la natura straordinaria di ciò che è ordinario. Le opere espongono colate di crepuscolo, vuoti cromatici che emanano un’intensa forza attrattiva, albori riflessi che germogliano da suoli incerti, epifanie evanescenti di persone e paesaggi inviolati. La materia di creazione di questo mondo tende a liquefarsi sulla superficie del quadro, scorre e ingloba la tela come fosse melassa.

Omar Mahfoudi, “Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato”, photo by Manuel Montesano, courtesy CAR Gallery, Bologna
Oltre alle suggestioni pittoriche, ne sovviene anche una di tipo letterario, in particolare la poesia L’erica di Antonia Pozzi[1]: «[…] Nel bosco / alla mia animalesca irrequietudine / che mordicchia nocciole / tu offri l’erica livida dei morti / e il mio offuscato amore / lustra / lavati d’acido pianto». Pozzi e Mahfoudi non si sono mai incrociati, eppure guardano al mondo in modo affine. Si percepisce una gravità emotiva, la densità del pathos che permea i quadri: colate di lacrime esistenziali innaffiano atmosfere sospese; flora e fauna convivono negli ecosistemi di questo universo pittorico come se si aggrappassero l’una con l’altra per non essere strappate alla realtà. Tuttavia, viene da chiedersi quali siano le intenzioni della figura che protrude dalla natura. Sta aspettando lo spettatore? Se ne sta allontanando? Sta svanendo o apparendo? Quando è iniziato questo evento ambiguo di apparizione e sparizione? Avrà una fine?

Omar Mahfoudi, “Faces 2”, 2024, liquid acrylic on canvas, 40 x 30 cm”, photo by Manuel Montesano, courtesy CAR Gallery, Bologna
«[…] È lui che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge[2]». Così Roland Barthes definisce il concetto di punctum, ed è la stessa sensazione con cui le figure umane di Mahfoudi attirano a sé l’astante, una cattura senziente dentro lo spazio indeterminato dei suoi quadri. Eppure, diversamente da come prosegue Barthes, i punctum di Mahfoudi non ghermiscono, non feriscono, bensì avvolgono e catalizzano lo spettatore, lo fanno guidandolo lentamente fino ad addentrarsi nel suo spazio fluido. È nello sguardo silente e incisivo che si trova il punto sensibile di tali figure: una certezza tra ambienti e corpi sfuggenti. Un’altra costante nella sua produzione è la poetica dell’impercettibile che carpisce. When the Moon Calls (2025) ne è un esempio: convivono due punti focali che rapiscono lo sguardo, la luna piena e una figura immersa nella liquidità di uno spazio indeterminato. Le origini di Mahfoudi riemergono in questo lavoro più recente, si attiva un gioco di indagine innescato dall’incontro tra lo spettatore e lo spazio del quadro in cui si ricerca l’essere umano, la cui presenza è al limite tra ciò che è impalpabile e ciò che si rivela, un punto fermo tra le onde di un paesaggio sublunare.

Omar Mahfoudi, “Blue Flower Boy”, 2023, acrylic on canvas, 80 x 80 cm”, photo by Manuel Montesano, courtesy CAR Gallery, Bologna
Nell’evoluzione della sua poetica, la figura umana appare progressivamente più vicina, più grande, quasi avesse acquisito più fiducia in chi la guarda, o come se riuscisse sempre più ad assecondare quel mondo interiore incerto da cui si proietta. In Blue Flower Boy (2023) appare una presenza tanto ieratica quanto auratica, cattura chi si trova al suo cospetto. La sua esca? Ancora una volta, un’ambiguità tra assenza e presenza, così forte da dissolvere anche i confini netti tra la fisicità di questo corpo e la proliferazione della natura che lo avvolge. La mostra Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato si presenta come esperienza di una pittura rarefatta e seducente, in cui si apprezzano atmosfere misteriose, tecniche ingannevoli, la poetica di un artista il cui stile ben si guarda dalla definizione “orientalista”. A emergere, infine, è una profonda cura verso l’arte di Omar Mahfoudi, sia da parte del curatore sia del gallerista.
Ayleen Ivonne Liverani
[1] Antonia Pozzi, Acqua Alpina. Poesie 1929-1933, 2023, Pungitopo Editrice, Messina.
[2] Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, 1980, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, p. 28.
Info:
Omar Mahfoudi. Esistenze disperse nella liquidità di uno spazio indeterminato
a cura di Andrea Busto
22/05 – 26/07/2025
CAR
via Azzo Gardino, 14/a – Bologna
https://www.cardrde.com/

Ayleen Ivonne Liverani, operatrice culturale negli ambiti dell’edu-curatela e della mediazione. Attiva tra Italia e Messico, indaga l’ambiente dell’arte in quanto spazio di esplorazione e interrogazione e come opportunità di creazione e narrazione di immaginari alternativi.
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