All’intersezione tra memoria, nostalgia e nuovi orizzonti poetici si colloca l’ultima creazione di Eugenio Barba (Brindisi, 1936), “Le nuvole di Amleto”, in scena al Teatro Arena del Sole di Bologna prima dell’imminente approdo alla Biennale Teatro di Venezia. La riflessione sul testo shakespeariano del leggendario fondatore dell’Odin Teatret, teorico della rivoluzionaria drammaturgia definita “Terzo Teatro” nei cui canoni continuano a riconoscersi molteplici esperienze teatrali, non si configura come semplice rilettura o rivisitazione, ma come una trasfigurazione poetica radicata nell’humus creativo di una compagnia che ha fatto dell’erranza e della trasformazione la propria grammatica espressiva. Non è casuale la scelta del sottotitolo “Dedicato a Hamnet e ai giovani senza futuro”, in cui si annida il processo germinativo dell’operazione drammaturgica all’origine dello spettacolo. Il personaggio di Hamnet, figlio di Shakespeare morto a undici anni aleggiante in tutta la pièce a raddoppiare il protagonista, è infatti utilizzato come dispositivo concettuale volto a interrogare l’eredità che si trasmette tra generazioni, la sostanza incorporea di ciò che resta dopo la scomparsa, il rapporto dialettico tra padri e figli in un mondo che sembra aver smarrito le coordinate del futuro.

“Le nuvole di Amleto”, regia di Eugenio Barba, ph. Stefano di Buduo, courtesy ERT-Emilia Romagna Teatro Fondazione
Lo spazio scenico dell’Odin Teatret si materializza come territorio liminale, soglia percettiva tra mondi possibili, cartografia emotiva in cui oggetti, corpi e parole acquisiscono una valenza simbolica che trascende il loro significato immediato. Il pubblico è invitato a sedersi (dallo stesso Barba), invece che sulle canoniche file di poltroncine schierate di fronte a un palcoscenico rialzato, lungo i due lati di una sorta di ring rettangolare, delimitato alle altre due estremità da teleri dorati, nel corso dello spettacolo a tratti amplificati o annullati da proiezioni cromatiche o grafiche. La configurazione spaziale suggerita, dunque, non è mai statica ma immerge lo spettatore in un paesaggio semantico mutevole, dove la luce – orchestrata da Stefano Di Buduo – crea zone di presenza e assenza, con chiaroscuri che evocano la transitorietà dell’esistenza e il potere seduttivo delle ombre. In questo universo simbolico, la presenza scenica degli interpreti si manifesta in una corporeità diffusa e controllata in ogni dettaglio, frutto di decenni di ricerca sulla pre-espressività e sull’antropologia teatrale. Gli attori – Antonia Cioaza, Else Marie Laukvik (co-fondatrice dell’Odin nel 1964), Jakob Nielsen, Rina Skeel, Ulrik Skeel e Julia Varley – si muovono secondo un codice corporeo virtuosistico nell’ibridare tradizioni differenti mantenendo quella tensione tra forze antagoniste (tra evanescenza e concretezza, tra respiro vocale e consistenza corporea) che è alla base del bios scenico elaborato da Barba. La stratificazione temporale che caratterizza lo spettacolo (Hamnet e Hamlet erano nomi intercambiabili in Inghilterra nei registri di epoca shakespeariana) è ulteriormente incrementata nella compresenza di attori veterani – custodi di una memoria incorporata in più di mezzo secolo di ricerca – e nuove presenze. Questa coesistenza generazionale non rappresenta solo una scelta di casting, ma diventa veicolo di trasmissione di un sapere artigianale, di quell’etica del lavoro che in scena ha i suoi numi tutelari nelle presenze archetipiche di Eugenio Barba e di Else Marie Laukvik.

“Le nuvole di Amleto”, regia di Eugenio Barba, ph. Stefano di Buduo, courtesy ERT-Emilia Romagna Teatro Fondazione
La poetica sviluppata dal regista è espressione di un teatro nutrito di contaminazioni culturali e tecniche espressive diverse, che agisce nelle periferie geografiche, sociali e artistiche facendo convergere antropologia, poesia e artigianato scenico. La drammaturgia procede per accumulazione di segni, per montaggi di frammenti, secondo una logica associativa che privilegia le connessioni rizomatiche rispetto alla linearità narrativa. In questo mosaico di materiali eterogenei, anche l’iconografia shakespeariana viene decostruita e ricomposta secondo traiettorie devianti che conducono verso territori più ampi, dove la vicenda del principe danese si incarna in un corpo attoriale plurale e inquieto, catalizzatore di interrogazioni esistenziali eccedenti il contesto originario. Lo spettatore è fin dall’inizio calato in una dimensione fantasmatica e in una temporalità dilatata, in cui la progressione drammatica cede il passo a una contemplazione attiva dei segni. Lo sguardo è sollecitato a soffermarsi negli interstizi, sui dettagli all’apparenza marginali, su quella porosità concettuale che si genera tra un gesto e l’altro, tra una parola, un verso gutturale, un passo di danza e il silenzio che li riverbera.

“Le nuvole di Amleto”, regia di Eugenio Barba, ph. Stefano di Buduo, courtesy ERT-Emilia Romagna Teatro Fondazione
Nell’Odin Teatret, ogni elemento scenico viene sottoposto a un lavoro di continua rielaborazione, stratificazione e affinamento e gli attori sono un tutt’uno con i costumi e con la fluidità della scenografia: gli oggetti scenici non sono mai semplici accessori ma veri e propri attanti, portatori di simbologie che si attivano nel contatto con il corpo dell’attore. Tale tensione semantica genera un campo di forze in corto circuito temporale dove l’eredità shakespeariana e la contemporaneità instaurano un dialogo fecondo, tramite il quale le domande sull’identità, sulla vendetta, sull’amore e sulla morte – centrali nell’Amleto – vengono riformulate alla luce delle criticità del presente. La drammaturgia sonora, che nei passaggi tra i vari quadri scenici prende il sopravvento scompigliando le relazioni tra gli attori, dissolve ogni volta la densità delle voci e dei corpi, che in ciascuna scena “fanno sistema” concatenando senza sbalzi qualitativi il registro lirico, quello animalesco e persino una surreale versione della recitazione classica. Le scelte registiche evidenziano tale tensione tra forma e contenuto, risolvendola di volta in volta con un nuovo funambolico equilibrio tra rigore compositivo e rischio espressivo, tra tradizione e sperimentazione.

“Le nuvole di Amleto”, regia di Eugenio Barba, ph. Stefano di Buduo, courtesy ERT-Emilia Romagna Teatro Fondazione
Nell’amalgama biologico e psichico che caratterizza la presenza scenica degli attori dell’Odin si manifesta quella grammatica visiva fatta di precisione e abbandono, di controllo e rischio, che contraddistingue la versatilità dei corpi degli attori, in grado di farsi granitici come di camminare sfiorando il suolo al limite della levitazione. Il corpo dell’attore si offre in ogni gesto come addestratissimo strumento di una resistenza creativa contro l’omologazione, contro la banalizzazione dell’esperienza teatrale, testimoniando la possibilità di un teatro che ancora si interroga sulle proprie radici e sul proprio senso in un’epoca di effimeri consumi culturali. Nella sua essenza più profonda, “Le nuvole di Amleto” non è dunque solo un’opera teatrale, ma un’interrogazione sulla persistenza e la transitorietà dell’esperienza artistica, sulla possibilità di trasmissione di un sapere incorporato tramite comunità temporanee e transculturali. Tra riflessione filosofica e prassi artistica, lo spettacolo di Barba ci invita a ripensare il nostro rapporto con l’eredità culturale, con la memoria collettiva e con le incertezze future in una prospettiva sospesa tra tradizione e utopia. Quello da lui esplorato è un territorio di confine tra visibile e invisibile, tra materia e chimera, tra memoria e assenza, dove un tentativo ostinato di dare corpo all’incorporeo trasforma l’atto teatrale in un susseguirsi di epifanie visive.
Info:
“Le nuvole di Amleto” è in scena all’Arena del Sole di Bologna dal 14 al 18 maggio, nella Sala Leo de Berardinis, con il seguente calendario: mercoledì ore 19.00, giovedì e venerdì ore 20.30, sabato ore 19.00, domenica ore 16.00. Lo spettacolo, prodotto da Tieffe Teatro, Odin Teatret ed Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, ha una durata di 70 minuti
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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