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Ulderico Tramacere. L’essenzialità poetica d...

Ulderico Tramacere. L’essenzialità poetica della fotografia

Gli scatti del fotografo Ulderico Tramacere (1975) raccontano avvenimenti, paesaggi e atmosfere dell’Italia di oggi sintetizzandone l’essenza in potenti immagini simboliche in bianco e nero. Nel 2016 è stato premiato nella sezione “Proposta MIA” con Pecora Nera a MIA Photo Fair a Milano, dove tornerà in marzo con un nuovo progetto. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare gli ultimi sviluppi del suo lavoro.

A L: Al MIA Fair a Milano dal 9 al 12 marzo 2018 esporrai un lavoro nuovo, Nylon. Un progetto che ti ha visto presente nel maggio 2017 al momento dell’espianto degli ulivi durante la realizzazione del TAP (trans adriatic pipeline) – e dei relativi scontri – sulla costa adriatica salentina e nell’entroterra. Le stampe però mostrano dei soggetti del tutto lontani dall’idea che si potrebbe avere di un fotografo che immortala la tensione degli scontri. Puoi raccontarci cosa volevi catturare con Nylon?
Ho iniziato nel maggio del 2017 ma ancora oggi (proprio oggi, in effetti!) continuo a recarmi in quei luoghi e a fotografare. E non perché non sia soddisfatto del progetto, ma perché la ricerca non si conclude mai, ma evolve nei nuovi progetti che si susseguono.
La scelta di “Nylon” è stata, prima di tutto, scelta di linguaggio: alla narratività del reportage ho preferito, in questo caso, l’essenzialità poetica. L’editing è stato drastico, ma viene facile quando la tua visione è chiara. Ho scelto di raccontare l’intera vicenda di TAP attraverso l’immagine simbolica degli ulivi pronti all’espianto. Li ho contemplati a lungo, a lungo li ho fotografati. E non avrei potuto produrre altro che fosse all’altezza del mio sentire: amo definire questa serie come una “danza macabra”, danza e allo stesso tempo paralisi. Il momento di stallo che precede lo spostamento coatto verso un futuro ancora tutto da scrivere, controverso, incerto. L’intento era quello di fotografare il sentimento di un’identità che si sente in pericolo; senza necessariamente conferire un giudizio di valore sul gasdotto che va realizzandosi, ho cercato di trasferire il mio sentimento e, probabilmente, quello di molti altri (credo). Il dramma dello stallo e l’attesa dello spostamento; eradicare le solide radici, proteggerne le chiome, i frutti fino a quel momento raggiunti. La ripetitività della serie cerca di trasmettere il senso di questo paesaggio surreale, irrimediabilmente mutato, dove ti trovi circondato di ulivi che non sono più ulivi ma che, al contempo, rappresentano anche te stesso.

A L: Nel progetto Pluriball la lettura può essere su due piani, uno più narrativo (in cui catturi tutta la fase di imballaggio delle opere d’arte sacra dopo il terremoto a Norcia) più alcuni scatti in Fine Art in cui i close-up sulle opere e sui volti delle sculture avvolte nel pluriball hanno profondi ed universali rimandi. In Cellophane, Idomeni del 2016, attraverso la scelta di un oggetto-simbolo, in questo caso il telo di plastica, fotografi una realtà che spesso facciamo finta di non vedere, quella dei migranti alle frontiere europee. Anche qui il singolo scatto possiede la forza del non esplicito. Cosa ti spinge a voler raccontare storie così “delicate”?
Forse perché credo di saperle rappresentare con il rispetto che meritano. Probabilmente perché applico su di esse il medesimo sguardo che vorrei fosse indirizzato alla mia, di storia. Tutto questo accade naturalmente, ci rifletto solo ora che mi è stata posta la domanda. Probabilmente nella mia vita ho perseguito progetti impopolari, ma posso dire che ho agito quasi sempre in conformità con ciò che sono. Fatta questa premessa, con Pluriball ho cercato (ancora una volta) di raccontare la tragedia della devastazione del terremoto in centro Italia come devastazione dell’identità storica del territorio; il Cristo avvolto dal pluriball è evidentemente un nuovo Cristo Velato, con nuovi rimandi: possiamo rimediare alle fitte crepe che ci sono state inferte?
Con Cellophane è in scena un altro dramma ma, come per gli altri lavori, sono lontano da un approccio sensazionalistico dei drammi personali e altrui; ricollegandomi a ciò che ho detto inizialmente, questo velo, quindi tutto il lavoro sui film plastici può intendersi come la resa dell’impossibilità di un racconto vero e obiettivo. La plastica distacca, ma non nasconde. E le aberrazioni sono costitutive di ogni racconto: mentre io ne faccio una cifra stilistica, vi è chi nella ‘pulizia’ di un’immagine pretende di dire la verità su ciò che siamo e su ciò che succede. Io non ho questa presunzione.

A L: Quale spirito accompagna i tuoi progetti (evocazione, narrazione, descrizione, il caso)?
Credo ci siano tutte le componenti che ha elencato, ma ogni progetto ha una storia a sé. Anche in progetti in cui prevale l’inclinazione evocativa si può rilevare una narrazione precisa, anche dettagliata; mi piace pensare di avvicinarmi al linguaggio e allo spirito poetico – collegandomi dunque a un amore adolescenziale, quello per la poesia.

A L: Come idei e segui i tuoi progetti fotografici?
Probabilmente l’unica cosa che accomuna le varie progettualità che ho portato avanti negli anni sono i lunghi tempi di gestazione. Sono un entusiasta, dunque penso ogni giorno a tantissimi progetti… poi magari non ne seguo nessuno. Oppure mi innamoro e lo porto avanti strenuamente. Oppure mi innamoro ancora e lo lascio lì, lo dimentico e poi lo ritrovo, dopo tempo, più bello di prima. No, non ho una metodologia unica, agisco prevalentemente per come sento e, non meno importante, per come i risultati si mostrano. La forma è il contenuto, quindi ho bisogno del tempo necessario per la valutazione. Sono abbastanza severo con me stesso, pretendo sempre molto. Come anticipato per Nylon, i progetti non li ritengo quasi mai conclusi con un risultato che sia una mostra o una pubblicazione; i progetti evolvono in altri progetti, spontaneamente. L’importante è mantenersi attivi e pronti, muoversi sempre.

A L: Come stampi?
Sicuramente stampo meno di quanto vorrei, perché mi piace stampare bene, raggiungendo ottimi risultati. Ho avuto il piacere di confrontarmi con stampatori illustri, e vedere come un’immagine prende la forma che avevi in mente proprio grazie alla maestria di un altro, è ogni volta emozionante. Non ho però un unico stampatore di riferimento: al momento mi avvalgo di collaboratori differenti in base allo specifico prodotto che intendo ottenere. Per questi motivi utilizzo vari tipi di stampa, da quella tradizionale fine art a metodi più sperimentali, in stretta dipendenza dal progetto.

A L: Hai una storia da raccontarci che sta dietro ad un tuo progetto?
Tra i ricordi più cari che ho ci sono degli episodi legati all’evolversi del progetto Arneo (2015). Paradossalmente, sono legato a due fotografie che non sono state realizzate per più ragioni. La prima: un giorno vagavo nelle vigne salentine per fotografare le donne che, cesoie alla mano, ripulivano le piante dai tralci secchi. Mi sono imbattuto in un grande sedere bianco, una luna nel vigneto; la donna era lì accovacciata per i suoi bisogni fisiologici ed era davanti a me. La fotografia era fantastica, ma non sono riuscito a scattarla.
Sempre negli stessi giorni, la seconda storia: un contadino anziano mi raccontava delle lotte per la terra con particolare fervore, giacché i ricordi erano vividi e forte ancora la passione politica che li animava. Mi raccontò che in quel punto, in quella campagna arida, lì dove giaceva quel mucchio di massi un contadino era andato a raccogliere cicorielle selvatiche. Era appena tornato dal fronte a piedi, precisamente dalla Russia. Era sopravvissuto, ritornato nella sua terra e raccoglieva la verdura. Ma era forse capitato nel posto e nel momento sbagliato: i sorveglianti dei territori nobiliari lo spararono in pieno ventre, e il testimone (ora anziano, ma allora bambino) ricorda il fuoriuscire del suo sangue e delle sue viscere bagnando quella terra dove ora sostavo io. Come raccontarlo?

A L: Cosa ti piacerebbe suscitassero le tue fotografie ai visitatori?
Mai produrre solide convinzioni ma sempre smuovere i pregiudizi. Vorrei coltivassero il dubbio che cerco di rendere con una ricerca della forma mai soltanto ‘bella’.

A L: l’Arte può salvare il mondo?
E il mondo può salvare l’Arte? Perdoni il gioco di parole… ma è necessario rifletterci.

A L: Hai una galleria di riferimento?
Al momento no, qualche sporadica collaborazione in passato ma posso dire di non aver mai avuto esperienze soddisfacenti. Questo non significa che io non ne sia alla ricerca: probabilmente ho un’idea romantica delle gallerie e dei galleristi. Per me, in tutti i settori, l’incontro è tutto: forse non ho un buon carattere, ma pretendo che chi si avvicina al mio lavoro lo faccia con rispetto e preparazione. Ho avuto la fortuna di incontrare persone con le quali ho solidi rapporti che si basano su queste componenti per me essenziali e spero davvet����<��poi, un gallerista con queste caratteristiche, con il quale nasca un ‘amore’ corrisposto.

A L: Vuoi anticipare qualche tuo prossimo progetto ai nostri lettori?
Ho in mente un libro ‘meraviglioso’ in cui la forma e il contenuto dialogano magnificamente. Il libro che ho in mente richiede uno sforzo notevole anche dal punto di vista delle risorse da impiegare. Come vorrei incontrare un gallerista attento, lo stesso mi auguro per il settore dell’editoria. Conosco gli affanni, capisco che le figure che animano il mercato dell’arte debbano stare dietro ai conti per tante ragioni. Ma sono convinto che un momento di crisi possa essere superato solo attraverso l’azzardo, altrimenti così procedendo si otterranno risultati sempre più piatti e rassomiglianti, dove solo chi può autofinanziarsi o servirsi di sponsor è in grado di sostenere le spese di pubblicazione. Non parlo di investimento come salto nel vuoto ma, una volta riconosciuta la qualità del prodotto artistico, è necessario andare avanti e impegnarsi con valide competenze, voglia di fare e capacità di affrontare l’evolversi del mercato con dinamismo ed entusiasmo. Le assicuro che questo paga molto di più di un prodotto commissionato e confezionato in cui si ambisce, semplicemente, a coprire le spese; mi piace pensare che in questo mondo esistano imprenditori ‘illuminati’ e creativi; nuovi mecenati dell’era contemporanea che siano anche coraggiosi, capaci di andare oltre le mode massificate e prive di vera qualità. In grado anche di cambiare e creare il mercato, non solo di assecondarlo.

Alessia Locatelli

Ulderico Tramacere, Casa, Cellophane series, Idomeni, 2016

Ulderico Tramacere, Cristi, Pluriball series, Norcia, 2016

Ulderico Tramacere, Cristo Velato, Pluriball series, Norcia, 2016

Ulderico Tramacere, Danza Macabra I, Nylon series, Melendugno, 2017

Ulderico Tramacere, Danza Macabra II, Nylon series, Melendugno, 2017

Ulderico Tramacere, Danza Macabra II, Nylon series, Melendugno, 2017

Ulderico Tramacere, Deposizione, Cellophane series, Idomeni, 2016

Ulderico Tramacere, Madonna con bambino, Pluriball series, Norcia 2016

Ulderico Tramacere, Pecora Nera, Arneo, 2014

Ulderico Tramacere, FiliArneo, 2014


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