«Continua la nostra valorizzazione di artisti che, originari di questi luoghi o legati al territorio parmense, non hanno avuto in vita l’attenzione che avrebbero meritato». Con queste parole, Carla Dini, segretario generale della Fondazione Monteparma, introduce all’ampia antologica dedicata all’artista fotografo Aldo Tagliaferro (1936-2009). Promossa appunto da Fondazione Monteparma, in collaborazione con l’Archivio Aldo Tagliaferro di Parma, CSAC Centro Studi Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma e due gallerie d’arte, la parmigiana Niccoli e la bergamasca Elleni, la mostra, ospitata con un eccellente percorso espositivo nei locali di APE Parma Museo, ha per titolo “Aldo Tagliaferro. Opere nello spazio – Rappresentazione tra realtà e memoria”, ed è curata da Cristina Casero, direttrice di CSAC e docente di Storia della Fotografia e di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università di Parma. «Aldo Tagliaferro – aggiunge Casero, accomunata all’artista anche dalla comune nascita legnanese e dalla successiva adozione parmense – è un fotografo molto concettuale e ha indagato il fenomeno del consumo delle immagini, mettendo al centro il ruolo del fruitore. Aldo non ha mai seguito le mode ed è dunque rimasto ai margini del mercato». Tra le impressioni critiche che la visita alla mostra trasmette all’osservatore, ha ampio spazio, per l’appunto, questo atteggiamento al confine tra artista e studioso da lui assunto durante la sua lunga creatività.

Aldo Tagliaferro, Premio San Fedele, 1965, ph. courtesy Fondazione Monteparma
La vastissima antologica è strutturata su una quindicina di capitoli introdotti da riflessioni dell’artista che indirizzano anche l’approccio critico ed emotivo del fruitore. Si inizia con fotografie giornalistiche che raffigurano la realtà (spesso di lotta sociale) perché Tagliaferro aveva dichiaratamente affermato (siamo a metà degli anni ‘60) che la fotografia dovesse essere aderente al reale. Una posizione neorealista e politica che ben presto il fotografo abbandonerà per adottare la metafisica e la sperimentazione come guida della propria creatività. Scorrono così davanti ai nostri occhi rielaborazioni da laboratorio di fotografie sulla coscienza black o sul dramma della guerra condotta dagli USA in Vietnam. Anche il secondo capitolo sembra una parentesi rispetto a ciò che Aldo Tagliaferro diverrà. L’artista legnanese, infatti, frequenta il cenacolo artistico delle Botteghe di Sesto San Giovanni, affiancandosi ad artisti visivi e pittorici come Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e Antonio Scaccabarozzi. Anche la fase immediatamente successiva del percorso creativo di Tagliaferro lo vede eccezionalmente aderente a una corrente, quella della Mec Art, teorizzata da Pierre Restany e avente tra le sue fila artisti di fama come Mimmo Rotella ed Elio Mariani.

Aldo Tagliaferro, “Donna Ragazzi Retino Positivo Negativo”, 1970, courtesy Collezione Christian La Monaca, Bergamo
Nel 1969, l’artista fotografo inizia a teorizzare e divulgare la propria poetica, affermandola con forme espressive concettuali. Tagliaferro comincia dunque a penetrare non solo l’artefatto, ma anche le sue possibilità sperimentali, analizzando dall’interno l’immagine e la sua possibilità combinatoria. Appartengono a questa fase opere che nel titolo affermano in modo perentorio questi concetti: “Le possibilità combinatorie donna + retino + negativo” o “Natura morta con donna + notte + ragazzo” sono opere fotografiche che nascono combinando più immagini (l’artista ne dichiara quattro) e utilizzando il retino sia come collante sia come elemento di scansione. Immediatamente successivo è il progetto dal titolo “Analisi di un ruolo operativo”. Realizzato in coincidenza di una sua partecipazione alla Biennale veneziana, il progetto prevede l’accostamento di elementi lontani tra loro (come il lavoro di alcuni artisti e i cartelli di avviso di uno zoo oppure la sostituzione di figure monumentali dei Giardini sempre con questi fuorvianti cartelli da zoo. L’effetto è quello di multipli surreali che catturano l’attenzione grazie all’effetto involontariamente grottesco di queste foto che, nelle intenzioni di Tagliaferro, dovevano comunque essere divulgative (come detto in premessa, questo è stato un elemento costante della poetica del fotografo).

Aldo Tagliaferro, “Verifica di una mostra”, 1970, courtesy Collezione Juliana e Luigi Franco, Torino
Il dialogo costante con la sensibilità del fruitore trova conferma con l’opera tematica intitolata “Verifica di una mostra” che, realizzata come in una sequenza cinematografica, mostra tutto il campionario emotivo che può nascere nel momento in cui un visitatore si aggira all’interno di una mostra. Nel 1977, la poetica di Tagliaferro si focalizza sulla ricerca del dualismo istinto-razionalità con il titolo “Evidenziazione attraverso la quotidianità del vivere – Analisi del dualismo nel proprio ruolo”. Un uomo olandese, in un parco pubblico, si spoglia per imitare le statue lì collocate; arrivano i tutori dell’ordine che lo invitano a rivestirsi per poi allontanarlo dal parco. Il dualismo di cui si parlava è evidente nel momento in cui si analizza l’alternanza di atteggiamento: l’uomo da istintivo passa a razionale, mentre i poliziotti, razionali nel momento in cui invitano l’uomo a rivestirsi, poi diventano imbarazzati (e quindi irrazionali) quando l’uomo inizia a rimettersi gli abiti. “Identificazione – della propria disponibilità” gioca anch’essa con un atteggiamento duale: sono protagoniste due finestre, una fotografata dall’interno che, attraverso sette fasi, si schiude completamente; l’altra fotografata dall’esterno che compie il percorso diametralmente opposto. L’intenzione del fotografo è quello di chiedere all’osservatore in quale delle due situazioni potrebbe identificarsi, con il sottotesto dell’inutilità di questo gioco, giacché l’azione delle due finestre, attraverso due percorsi opposti, è la medesima.

Aldo Tagliaferro, “Analisi di un ruolo operativo”, 1970, 4 strisce, 325 × 66 cm, Collezione Juliana e Luigi Franco, Torino
Anche “Identificazione – teatro trasposizione”, pur portando la fotografia sul palcoscenico teatrale, mostra un’intenzione autoriale simile a quelle precedenti: ciò che interessa a Tagliaferro è registrare la reazione dei fruitori di uno spettacolo e l’identificazione degli attori con i personaggi recitati. La ricerca si concentra sempre sul senso di destabilizzazione che la scena deve suscitare. Alle soglie degli anni ʽ80, lo sguardo e la ricerca dell’artista si rivolgono a sé stesso: “L’io – ritratto” è un viaggio all’interno della propria immagine, espressa attraverso tre modi. Vediamo Aldo Tagliaferro frontale, ne vediamo la nuca, lo vediamo in negativo. Il senso di questo modo di autorappresentarsi è quello di porsi in modo oggettivo per non sopravvalutare l’ego e l’effetto è quello di un artista giocoso e dotato di grande e necessaria autoironia applicata alla ricerca artistica. Una sorta di mappatura è rappresentata dal progetto tematico “Identificazione oggettivata”, in cui Tagliaferro esplora le possibilità dei modi di rappresentare una coppia di gemelli. Davanti ai nostri occhi si srotola un enorme papiro fotografico in bianco e nero che racchiude le infinite varianti iconografiche con codice binario: l’uno fronte e l’altro retro, l’uno laterale destro e l’altro fronte, e continuando così in una serie quasi infinita di possibilità.

Aldo Tagliaferro, “L’Io ritratto (particolare n. 28)”, 1979, courtesy Galleria d’arte Niccoli, Parma
Quasi un omaggio a una parte importante della propria sfera personale è il progetto tematico sulle acconciature africane (Aldo Tagliaferro, durante un viaggio nello Zaire, conobbe la sua futura moglie). La sua ricerca fotografica in questo progetto intitolato “Dal segno alla scrittura – Analisi della pettinatura africana” inizia da una foto di testa femminile ripresa in un contesto ordinario per poi, lavorando con una prassi intensa di sottrazione, giungere alla sola traccia segnica dell’acconciatura. Nel cuore degli anni ‘70 Aldo Tagliaferro si cimenta in una “Analisi del feticismo da un’immagine trovata”, serie tematica che indaga le infinite possibilità di lettura di un’immagine, una volta che la stessa è decontestualizzata. Un wall of dolls è frammentato dal fotografo e ai nostri occhi sembra così scorrere una sorta di parete feticistica di appassionati di bambole. Del 2000 è la serie “Sopra/Sotto un metro di terra”, l’ultimo capitolo esposto all’APE Parma Museo in questa ampia retrospettiva. Sempre agendo in modo molto concettuale, Aldo Tagliaferro ci mostra un quadrato di terra scavata e la stessa porzione di cielo. Il progetto fotografico sembra semplicistico e invece l’effetto sul fruitore (un elemento che, come abbiamo sottolineato più volte, era centrale nella poetica di Tagliaferro) è di profondo estraniamento. Del resto, la creatività dell’artista fotografo ha oscillato sempre lungo il fil rouge della rilevazione di una reazione e della rivelazione della stessa.
Info:
Aldo Tagliaferro. Opere nello spazio – Rappresentazione tra realtà e memoria
11/04/2025 – 29/06/2025
APE Parma Museo
Strada Farini, 32/a – Parma
www.apeparmamuseo.it

Sono Giovanni Crotti, classe 1968, e mi sento in dovere di ringraziare la scrittura perché sospinge la mia vita. Coltivo dentro di me moltitudini che mi portano a indagare, conoscere, approfondire ogni espressività culturale e creativa, per poi scriverne cercando sempre di essere chiaro e documentato nei contenuti.
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