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We’re closed, come closer. PARSEC: oltre la serran...

We’re closed, come closer. PARSEC: oltre la serranda

Può capitarti di camminare per le strade di Bologna, ritrovarti in via del Porto e imbatterti, al civico 48/CD, in una serranda chiusa. Sin qui, nulla di nuovo. Soprattutto in questo momento storico, “chiuso” sembra essere una parola estremamente ricorrente. Se ti avvicini però, ti accorgerai che sulla serranda c’è una fessura particolare, che ti invita a guardare attraverso per scoprire l’arte che si cela al di là della chiusura.

Si tratta di Close (), progetto espositivo a cura di PARSEC, un collettivo formato da 11 ragazze (curatrici, artiste, storiche dell’arte, operatrici culturali) che ha inaugurato il proprio spazio culturale in ottobre 2020 con Put yourself out there, evento che esplorava la tematica del gioco come campo di azione libera. PARSEC sta per parallasse di un secondo d’arco; indica lo spostamento angolare apparente di un oggetto, quando viene osservato da due punti di vista diversi.

Cosa abbia a che fare la più antica e affidabile modalità di misurazione delle distanze stellari con il neonato spazio artistico e culturale bolognese è spiegato nel Manifesto stesso di PARSEC: Questa divergenza non è però solo soggettiva, osservante e osservato sono intrinsecamente “mediati”: lo sguardo del soggetto è già nell’oggetto osservato. Dunque la realtà dipende dalla nostra personale costruzione, ma noi veniamo costantemente inclusi nelle immagini che creiamo. È in questo cortocircuito riflessivo, in questo sdoppiamento di noi stessi in qualcosa che sta dentro e fuori l’immagine, che si manifesta il nostro essere nel mondo. La realtà che vediamo dunque non è mai “intera”, vi è sempre un punto cieco nel quale siamo inclusi in essa.

Parsec non è soltanto luogo espositivo, bensì uno spazio di cultura partecipata e fluida, aperto al confronto pratico e teorico. Nasce infatti dall’esigenza di riflettere sul ruolo e sulle responsabilità dell’arte nel contemporaneo e – prima delle disposizioni riguardanti la sospensione delle attività culturali – il programma prevedeva residenze artistiche e laboratori, oltre che mostre. Davanti alle complicanze che inevitabilmente in questo periodo colpiscono tutto il mondo della cultura, Parsec decide di reinventarsi con CLOSE (). E allora sì, chiude – temporaneamente – la serranda dello spazio, ma pensa a un’alternativa che renda comunque fruibili, in sicurezza, le opere dei giovani artisti con cui collabora. La fessura diventa uno spiraglio per far emergere ciò che altrimenti resterebbe celato.

Dopo la mostra di Iside Calcagnile, è la volta di Gloria Dardari con la sua video installazione Dhomus. Giovane artista attiva a Bologna, inizia a lavorare in ambito cinematografico e televisivo come scenografa. Ciò influenza la sua pratica artistica: mediante la fotografia, il video e le installazioni, tenta di far dialogare spazi concreti e mentali.  È questo che accade anche in Dhomus, nelle stanze concrete di una casa il corpo nudo di un uomo è abbandonato ad uno stato in bilico tra la vita e la morte. Il corpo appare senza vita, accasciato penzoloni nel silenzio dell’ambiente domestico, eppure respira, è vivo. Attraverso l’opera l’artista riflette sulla sua immagine personale, si guarda fuori da sé e si libera della propria soggettività. Un processo fisico e psicologico al tempo stesso, che rende la Dardari spettatrice e attrice di quel respiro che ancora smuove le membra deposte.

Close () non si ferma all’esposizione di installazioni fruibili dalla fessura, ma immagina queste come il punto di partenza da cui far nascere riflessioni e spunti, sotto forma di approfondimenti online messi a disposizione del pubblico. È interessante l’approfondimento proposto per Dhomus intitolato “In caduta libera”, che comprende una serie di estratti di testi di autori diversi, accostati a immagini tratte dal mondo dell’arte. A riprendere i vari “stadi” che il corpo assume in Dhomus alcune illustrazioni di una delle fondatrici di Parsec, Giulia Monte.

Da Hito Steyerl che parla di caduta come di qualcosa di relazionale (se non c’è suolo verso cui cadere allora si rimane in uno stato di sospensione) a Giovanni Bitetto che in “Scavare” parla di come si muoia un po’ ogni giorno, dal fenomeno psicologico del perturbante (unheimlich) che può corrispondere all’immaginare il momento della propria morte, a Bill Viola che parla della mortalità dell’immagine: “Infine, c’è il nulla, quando la spina è staccata e l’apparecchio spento. In analogia con il nostro corpo ciò corrisponderebbe agli occhi chiusi, al sonno e alla morte”.

Una serie di interessanti spunti che si riflettono nel corredo di immagini legate, in qualche modo, all’opera di Dardari. Sbirciare nella fessura per scoprirci immersi in Dhomus non è poi così diverso da quello che aveva immaginato Duchamp in Étant donnés; Hippolyte Bayard in La noyade inscena la sua morte e realizza la prima messa in scena fotografica della storia; l’abbandono del braccio di Meleagro, che più volte torna nelle Deposizioni del Cristo, è lo stesso tragico abbandono del corpo di Dhomus. È una serie di rimandi: da una immagine a un pensiero a un’altra immagine e poi alla realtà contemporanea. Perché non ci sentiamo forse un po’ tutti, in questo momento, in caduta libera? L’opera e gli approfondimenti costituiscono una buona occasione per fermarsi, avvicinarsi, sbirciare   in profondità in noi stessi e – per quanto possibile – reagire alla condizione di chiusura e distanza che stiamo vivendo.

Ornella D’Agnano

Info:

Gloria Dardari. Close ()
19 dicembre 2020 – gennaio 2021
Parsec
via del Porto 48 c/d, Bologna

Progetto CLOSE ( ), PARSEC, Via del Porto 48/CD

Gloria Dardari, Dhomus. Video 4’55 in loop, 2019

Gloria Dardari, Dhomus. Video 4’55 in loop, 2019

Gloria Dardari, Dhomus. Video 4’55 in loop, 2019


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