Le opere in mostra rappresentano un’ideale unione tra due soggetti agli antipodi. Il primo è il kelp, un particolare tipo di alga bruna ritenuto tra gli organismi a crescita più veloce dell’intero pianeta, in grado di svilupparsi lungo le coste in ampie foreste sottomarine fino a profondità di sessanta metri. Da questa viene estratto l’acido alginico, ampiamente usato nell’industria alimentare, farmaceutica e cosmetica. Il secondo è il Sokushinbutsu, un particolare rituale religioso di automummificazione volontaria praticato dai monaci buddisti. Attraverso un lungo e doloroso procedimento fisico, alimentare e mentale della durata di tremila giorni, l’organismo del praticante viene predisposto a un lento processo di mummificazione mentre questi è ancora in vita.

Disposte nello spazio espositivo troviamo una serie di delicate sculture nere e trasparen- ti formate da acqua, kelp e inchiostro. La loro struttura serpentiforme, così come la loro densità, non è stata decisa dall’artista ma dalle condizione fisiche e chimiche dell’ambi- ente in cui sono state create.

Il progetto si struttura così come un’indagine sui modi in cui la materia organica può occupare lo spazio, nel momento in cui si aggrega per costituire un organismo vivente. Le sculture di Kanah sono crisalidi, a diversi stadi della loro evoluzione. Le opere si pre- sentano come resti di un processo di automummificazione agito sulla materia in for- mazione, imposto a una soluzione di acqua e alghe. Un processo naturale condotto con obiettivi innaturali, cronaca concreta dell’incontro tra logica umana e ubique forze della Natura. Ricordi di liquidi allestiti in quella che un tempo fu una fontana.