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Giorgina Della Porta. Ombre Profonde

Giorgina Della Porta. Ombre Profonde

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Data / Ora
Date(s) - 23/03/2019 - 25/03/2019
6:00 pm - 10:30 pm

Luogo
La casa di Schiele

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OMBRE PROFONDE di Giorgina Della Porta

Testo critico a cura di Simone Pellegrini

Śūnyatā

Paul Ricoeur ci indica una strada per ritrovare il senso del simbolico. Si tratta di disfare i concetti, compromettere il significato di quanto è stato assunto e a tratti compreso.

Recuperare le immagini che un ignoto destino sembra aver condotto ad esaurimento, significa anche, appunto, decostruire una eredità procedurale e di pensiero. Significa nondimeno acconsentire ad una più tarda eredità. Si può per far questo arretrare, quasi come per sfuggire alla bestia escatologica, sulla linea della storia, fino a vederla moltiplicarsi, farsi sinuosa, curvare, dissodare il terreno sempre fiorente del mito.

Certo nell’aria si respira, quel che di ferino e definitivo, ci vorrebbe partecipi alla consegna di tutte le cose. Eppure, la tentazione di questo luogo in cui volendo diversamente si è giunti, è forte nei suoi richiami e persino l’ingenuità appare una conquista. Proprio per questo si dà nuovamente il male che non si è ancora fatto. In nessun luogo e non ora si riceve quel che scuote i corpi fino a pregiudicarli.

È un mondo questo antefatto? O si tratta piuttosto di un gioco di ombre sull’orlo di un passaggio impervio?

Con quale dei tanti piedi lo si potrebbe varcare, con quale delle innumerevoli mani potrei scacciare quel che afferro e avvicino con altre? Non è per la salvezza questo inscenarsi, perché quel male di prima è una corruzione necessaria e comunque una corruzione meno anonima di altre. E le mani sanno questo come di ogni indicibile, al punto che tra tanto urtare e prendere si sono persino agitate le acque, che poi sono lingue, che poi saranno fiamme.

Disfare i concetti, è anche cadere e queste bassezze della materia, si sa per esperienza a venire, sono attraenti a tal punto che nessuna sospensione percolante può fare sfoggio di sé troppo a lungo. Così prima del tempo, prima di ogni confessione, prima di Agostino e Descartes qualcosa qui si è fatto grave e basso. Lo stupore per compensazione e in vista dell’eternità non ha convinto nessuna delle forze a sperimentare altro che non fosse su una verticale persa nei suoi poli.

Il tempo ha fatto la sua irruzione, per un errore di traduzione e si è innestato sul fianco della vita complessa differenziandola come per esaurirla. Lo ha fatto producendo un gran frastuono, come una di quelle furie celesti esagerate a cui lo spazio non avrebbe retto se non si fosse dato una via supplementare di fuga.

Lo si considerò in quel dove, come una variabile non imperante, una tra le tante variabili instabili che non avevano mai fatto mondo. Però poi ci fu un momento, un momento primo e certo, in cui le mani si arrestarono avendo sancito per sempre il proprio e l’improprio, il profittevole e l’avverso. In quel momento si fecero le corolle e si fissarono gli occhi, tutti, vittime di una univoca distrazione.

Ogni ombra si concesse un corpo confidando, come nel prima tutto slegato, in quantità e qualità mutevoli.

Solo la notte rimase un mistero confuso con una promessa.

Così era come e dove, non mai perché e neppure quando.

A volerle poi convocare ora queste immagini, per meglio riconoscerle, dopo che le si era radunate in alture per smaliziarle e diseducarle, le si troverebbe nuovamente agitate in maniera scomposta come per una mancata evocazione.

Simone Pellegrini


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