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Polifonia di Saperi. Serpentine Marathon 2017

Polifonia di Saperi. Serpentine Marathon 2017

Pur configurandosi come format del tutto indipendente, dato il suo carattere specialistico e sperimentale in senso interdisciplinare e attivistico, uno degli appuntamenti culturali di maggiore rilevanza dell’Art Week londinese è stato certamente la Guest, Ghost, Host: MACHINE! Marathon, curata da Hans Ulrich Obrist per le Serpentine Galleries di cui è artistic director. L’edizione di quest’anno si teneva in un accogliente spazio della prestigiosa City Hall, attrezzato con le moderne apparecchiature di Radio Serpentine. La manifestazione – iniziata la sera prima nel “Magazine”, progettato dall’archistar Zaha Hadid, con A Prelude di due talk tra Obrist, Sarah Morris e Manthia Diawara – si proponeva di indagare, in particolare, il fenomeno dell’Intelligenza Artificiale (in forte crescita), mettendo a confronto i saperi di filosofi, sociologi, biologi, botanici, antropologi, scienziati, matematici, architetti, registi, scrittori e poeti, artisti e critici d’arte, dirigenti di istituzioni… L’evento consisteva in una sorta di laboratorio delle interconnessioni, dove i personaggi di alto profilo professionale a livello planetario, attraverso relazioni teoriche e dimostrazioni pratiche, esibivano gli esiti di ricerche, studi ed esperienze nei loro campi, coniugando urgenze del presente e visioni del futuro. Nel contempo la trasmissione on air favoriva maggiore comunicazione e scambio di idee. Dalle dieci del mattino a tarda sera i relatori si avvicendavano a ritmo serrato, puntualmente presentati da HUO e gestiti da uno staff competente. In quel rigoroso contesto non mancavano sorprendenti performance d’avanguardia, corporali e musicali, che contribuivano a tenere desta l’attenzione dei numerosi spettatori.
Il mio nuovo dialogo con Obrist – leader indiscusso dell’art system internazionale; maratoneta no stop di progetti curatoriali innovativi – ha preso avvio dal tema in argomento e si è esteso ai possibili sviluppi della realtà virtuale e ai suoi riflessi, più o meno condivisibili, nell’ambito estetico, scientifico e umano.
Luciano Marucci: In sintesi, come va inteso il tuo concetto di “attivismo” praticato, in particolare, nelle Maratone della “Serpentine”?
Hans Ulrich Obrist: Oggi c’è la necessità di rispondere alle esigenze del XXI secolo e di connettere molte discipline. L’idea è di fare un Festival dei Saperi dove ci proponiamo di mettere a confronto pareri diversi. Quest’anno abbiamo scelto l’intelligenza artificiale che ha un legame con il tema critico del lavoro nel futuro.
La strategia attivistica per certi aspetti si avvale dell’ “interazione” con il pubblico prevista nei tuoi progetti, nonché della “transdisciplinarità” dove i saperi sono in funzione culturale, sociale ed economica?
Abbiamo appena inaugurato la mostra Take Me (I’m Yours) all’HangarBicocca, da me curata insieme con Christian Boltanski, Chiara Parisi e Roberta Tenconi. Questa esposizione è su altre regole del gioco, modifica le abitudini nel visitare un museo: in essa si possono fare cose proibite in un museo. E le Marathon sono nate dall’idea che ciò si potrebbe applicare ai convegni che seguono sempre regole rigide; cioè come possiamo realizzare un ibrido dove i partecipanti sono liberi di fare interventi, performance, ‘manifesti’… L’idea è nei format, come riusciamo a svilupparli in modo più liquido.
Quindi il confronto tra gli specialisti sul tema prescelto per le Maratone è connesso alla crescita socio-culturale della realtà in divenire?
Sì, assolutamente, però è anche una resistenza, perché ogni anno viene scelto un tema che consideriamo fondamentale o critico per la società. Un tema importante si trova sempre, non soltanto per l’arte, ma urgente per le sorti del mondo.
Si può dire che la congiunzione di “attivismo”, “interazione” e “interdisciplinarità” definisca il carattere identitario delle diverse edizioni della manifestazione.
La scelta del tema comporta un lungo processo, molto organico. Ogni anno consultiamo una lista di tematiche che ci sembrano urgenti e alla fine si decide per una non ancora trattata con una adeguata consistenza critica, e che al momento abbia una maggiore criticità.
Secondo te, l’intelligenza artificiale, frutto della genialità umana, può accrescere le capacità inventive e ridurre l’attrazione verso la realtà fisica?
Penso che oggi con l’intelligenza artificiale si possa avere una situazione in cui creare una superintelligenza ‘benevolente’. Ne ha parlato l’ingegnere Kenric McDowell nella sua conversazione ma, se troviamo una superintelligenza malevolente, dobbiamo contrastarla.
I creativi delle varie discipline anche extrartistiche nel loro insieme possono incrementare l’intelligenza artificiale fino a renderla quasi autogenerativa?
L’importante è che l’arte partecipi a tali discussioni. Su questo oggi c’è un intenso dibattito. Nick Bostrom [direttore del Future of Humanity Institute] a Oxford è molto critico, come pure il cosmologo Max Stegmark. Nella nostra Marathon molto interessante è stato il panel discussion – moderato da John Brockman – con Venki Ramakrishnan (presidente della Royal Society), Andrew Blake e Jaan Tallin, che supporta le iniziative di Bostrom, nel quale essi hanno discusso a lungo, mostrandosi critici. L’arte deve partecipare a questi dibattiti, avere il suo posto al tavolo.
L’arte di domani dipenderà maggiormente dai media tecnologici avanzati?
Non possiamo mai affermare che l’arte sia costretta in questo senso. Come ho detto altre volte, penso che vi siano realtà parallele che possano continuare a coesistere con le nuove tecnologie, come il disegno, la scultura, la pittura. È vero, ci sono le nuove forme algoritmiche, ma una forma non esclude l’altra.
La creatività digitale, così precaria e performativa, potrà essere la principale forma d’arte del futuro?
Sarà una realtà importante, ma non la principale. Credo che si aggiunga come una possibilità. Basta guardare al programma della “Serpentine”. Prossimamente avremo in contemporanea una mostra di pittura di Rose Wylie [nei dipinti si ispira alla storia dell’arte, al cinema, ai fumetti, alle vicende del quotidiano] e quella di Ian Cheng, che lavora in contesti che prevedono l’uso di algoritmi evolutivi [esplora la natura delle mutazioni e la capacità degli umani di relazionarsi con esse]. Non possiamo dire che ci sia la supremazia dell’uno o dell’altro. Ripeto: sono realtà parallele.
Artisti come Ed Atkins e Al Maria – che tu conosci bene – usando la metodologia digitale, realizzano opere interessanti…
Assolutamente sì. Sono figure che hanno a che fare con varie discipline, che lavorano tra arte, performance, cinema, architettura. Sono protagonisti capaci di rendere liquide queste frontiere tra discipline.
Vedremo dove ci porterà la “Machine” del tempo. Se non sbaglio, anche tu l’hai messa in moto per tentare di scoprire anzitempo dove stiamo andando.
Non dobbiamo chiudere le discussioni, ma aprirle. La Marathon di quest’anno non  è stato un abbraccio acritico all’idea dell’intelligenza artificiale, ma l’illuminazione di tanti angoli diversi su questo tema, con la possibilità di analizzare anche aspetti critici.
La rivoluzione digitale sicuramente trasformerà certa fisicità del quotidiano, ma l’importante è che, attraverso la realtà aumentata, non venga ri-creato un mondo disumano e non si perda la volontà di socializzare. Ti pare?
È fondamentale che non si crei l’isolamento, ma che le nuove tecnologie aiutino a stabilire dialoghi tra gli umani. Per questa ragione l’arte deve partecipare al dibattito apportando il suo sostanziale contributo.

(Conversazione via Skype, 2 novembre 2017, ore 1,39-1,55)

Luciano Marucci

Hans Ulrich Obrist introduce “Guest, Ghost, Host: MACHINE!” Marathon, City Hall, Londra, 7 ottobre 2017 (courtesy Serpentine Galleries; ph © Plastiques Photography)

Gilbert & George durante il loro intervento “GODOLOGY!” (courtesy Serpentine Galleries e gli artisti; ph © Plastiques Photography)

Timothy Morton, autore del libro “Hyperobjects: Phiposophy and Ecology after the End of the World”, alla Marathon. Davanti a lui il robot Siri; sulle gradinate Hans Ulrich Obrist (courtesy Serpentine Galleries; ph Luciano Marucci)

Panel discussion (da dx): John Brockman (moderatore), Jaan Tallinn (inventore di Skype), Venki Ramakrishnan (Premio Nobel 2009 per la chimica) e lo scienziato Andrew Blake (courtesy Serpentine Galleries; ph © Manuella Barczewski)

L’artista tedesca di origine giapponese Hito Steyerl in “Bubble Vision” (courtesy Serpentine Galleries; ph © Manuella Barczewski)

Zadie Xa con Jihye Kim in “Perfumed Purple Rice and Sateen Song for Sadie” (courtesy Serpentine Galleries; ph © Manuella Barczewski)


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