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“Conservare il futuro”: il difficile equilibrio tr...

“Conservare il futuro”: il difficile equilibrio tra passato e presente nel libro di Chiara Bertola

La Fondazione Querini Stampalia è un luogo magico nella città di Venezia in cui Chiara Bertola ha vissuto intensamente per circa un ventennio, durante la realizzazione del progetto curatoriale “Conservare il futuro”, volto a connettere gli spazi del museo con le opere site-specific e di provenienza differente qui esposte negli anni della sua permanenza. La collocazione di opere contemporanee in un palazzo del XVI secolo, che ha avuto interventi di Valeriano Pastor, Mario Botta, Michele De Lucchi, non è stata semplice e ha contemplato quello che ogni curatore dovrebbe realizzare, ma che non sempre, soprattutto nell’epoca attuale di grande egocentrismo curatoriale, si riesce invece a mettere in atto.

Giovanni Anselmo e Chiara Bertola, Galleria Tucci e Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torino, 2017. Ph. Agostino Osio, courtesy Fondazione Querini Stampalia onlus

«La difficoltà del mio lavoro è stata quella di trovare un equilibrio» scrive Chiara Bertola nel suo ultimo libro. In realtà, le molteplici sfide che ha dovuto affrontare, per giungere a un risultato più che riuscito, si sono basate sul fatto che l’Italia sia, al contempo, un luogo del presente che può dialogare con il passato. Questo stretto binomio, che aderisce perfettamente ai luoghi della Fondazione Querini, ha fatto sì che “Conservare il futuro” mettesse in atto l’ossimoro insito nel nome del progetto, secondo cui l’istituzione aveva il compito di conservare un’eredità, e che tramite lo sguardo degli artisti questa potesse essere traghettata verso il futuro. «Ho cominciato a capire che si trattava di creare relazioni con ciò che era depositato in quelle stanze, aprire in esse una fessura attraverso cui interagire con il passato, senza imporre spazi separati». Nell’intento di far dialogare gli spazi e le opere d’arte, inizia così il lavoro di Bertola, volto a conoscere gli artisti, entrare nella loro dimensione domestica, condividere il tavolo da pranzo con la famiglia Pistoletto, compiere lunghi viaggi in macchina da New York a Long Island con i coniugi Kabakov, respirare la dimensione della loro opera tramite i racconti del loro vissuto. Solo in questo modo il suo lavoro curatoriale è diventato prima una missione, poi parte della sua vita a tutti gli effetti così, la progettazione di un’opera per la Querini ha assunto una dimensione di immersione assoluta nella visione del progetto che l’artista voleva realizzare, mettendosi completamente a sua disposizione per tale finalità.

Giuseppe Caccavale, Resi conto, 2006. Ph. Agostino Osio, courtesy Fondazione Querini Stampalia onlus

I progetti presentati nel testo permettono al lettore di conoscere il dietro le quinte delle installazioni, ma soprattutto spingono a riflettere sui concetti di cui l’arte dovrebbe nutrirsi, pescandoli dalla quotidianità degli esseri viventi, ma poi declinandoli con il vocabolario sofisticato che è completo appannaggio della creatività artistica. Emergono così, ad esempio, lemmi come “Arte militante”, rappresentati dal lavoro di ricerca di Jimmy Durham, rivolto a mettere in luce la cultura consumistica e capitalistica, analizzando il pensiero dei lavoratori delle isole di Venezia, ovvero la base della piramide: operai che, lavorando sugli oggetti e le materie prime, hanno creato la forza di questa città secolare.

Kiki Smith, Homespun Tales. Ph. Roberta Iachini, courtesy Fondazione Querini Stampalia onlus

Mona Hatoum, Interior Landscape, 2009. Ph. Agostino Osio, courtesy Fondazione Querini Stampalia onlus

Lo stesso animo ribelle, ma interpretato con il forte patimento provato per i tormenti vissuti in Russia, viene esternato nell’opera di Ilya Kabakov in cui passato e presente sono fortemente congiunti e iconicizzati. L’opera “Where is our place?” trovò molteplici difficoltà in fase di realizzazione, ma l’intervento più geniale di Kabakov fu quando, accorgendosi che dalle finestre del piano in cui era collocata, si scorgeva una vista mozzafiato sulla città, propose di nascondere il panorama agli occhi del pubblico utilizzando spessi teli di nylon, per evitare di distrarre lo spettatore. Quello che può sembrare un mero escamotage organizzativo, in realtà porta l’attenzione della narratrice su quanto un’opera site-specific miri a far aderire il messaggio dell’artista al luogo nel quale il lavoro è posizionato, a tal fine, infatti, anche le pareti della sala che accoglieva l’opera vennero dipinte di grigio e marrone, ricordando allo spettatore quel clima desolato e freddo della steppa del paese di Kabakov.

Joseph Kosuth, The material of the ornament, 1997. Ph. Alessandra Chemollo, courtesy Fondazione Querini Stampalia onlus

L’opera di Michelangelo Pistoletto, artista con cui Chiara Bertola ha collaborato a lungo durante la sua carriera, non solo in Querini, è stata influenzata anche dall’esposizione di “Gabbie specchio” (1973) nell’area Scarpa del palazzo veneto. La potente struttura in ferro, che conteneva grandi specchi, aveva il pregio di frantumare la realtà così com’era, introducendo l’inconfutabile imprevedibilità delle immagini deformate dalla rifrazione. Tale opera metteva in evidenza come l’arte potesse mistificare la realtà con la quale entrava in contatto e come i punti di vista diversi nell’arte rappresentassero uno degli aut aut per amplificare il concetto o diminuirne la portata. È curioso osservare che, ora che Chiara Bertola è stata nominata direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Torino, tra le opere della collezione permanente appare proprio “Divisione dello specchio” (1975) di Michelangelo Pistoletto ed è impossibile non chiedersi quanto questo lavoro, che mette in risalto le diverse percezioni della realtà su piani differenti, ispirerà la nuova direttrice nel progettare e far dialogare installazioni e opere future, in questa nuova fase della sua carriera.

Info:

Chiara Bertola, Conservare il futuro
Fondazione Querini Stampalia Editore
querinistampalia.org


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