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I meccanismi surrealistici: l’amore, l’...

I meccanismi surrealistici: l’amore, l’eccesso, l’osceno

Limite e interdetto, contestazione e trasgressione, eccesso e diritto al non senso: questo sembra essere il terreno comune entro cui si dispiega il lavoro congiunto di Hans Bellmer e Georges Bataille. La collaborazione tra l’artista visivo e il critico e filosofo francese per le illustrazioni di Madame Edwarda è stata letta da Sarane Alexandrian come ineludibile, pare per una “straordinaria armonia di temperamento” (Alexandrian, 1975).
Scritto da Bataille tra il settembre e l’ottobre del 1937 sotto lo pseudonimo di Pierre Angelique, Madame Edwarda è un breve scritto che lega la sessualità più brutale all’esperienza mistica; Edwarda è una prostituta sifilitica di bordello che si concede ad un piacere estremo e degradante, simbolo dell’eccesso di una comunicazione erotica che, nella propria nudità sovrana, secondo Bataille, rende l’uomo simile a Dio. Sartre affermerà che Bataille è uno spinoziano, nell’aver riportato Dio sulla terra: nel turbamento connesso al gioco erotico la discontinuità dell’essere individuale scorge l’apertura alla continuità e alla totalità inintellegibile.

Ugualmente, il lavoro di Hans Bellmer, dalle bambole a grandezza naturale alle fotografie pubblicate sul giornale surrealista Minotaure, ha molto a che fare con le proprie ossessioni sessuali; è stato detto da Susan Rubin Suleiman che il Surrealismo, da Magritte a Man Ray, da Breton a Bellmer, fu un club al maschile in cui la dimensione di apparente eccentricità potesse essere riportata ad una visione conformista del corpo femminile, ricondotto alle aspettative della millenaria cultura patriarcale. Eppure, le illustrazioni di Bellmer per Madame Edwarda sembrano riguardare piuttosto una tensione ributtante tra desiderio sessuale e la volontà di fare parte della società civile. Comune, in questo senso, sia a Bellmer che a Bataille, il riferimento alle opere di Sade, il cui uomo sovrano, il libertino per eccellenza che si sottrae alla via dell’utile e si concede alla sregolatezza estrema, si apre ad una sovranità che sfida la morte.

Si consideri l’illustrazione che vede Edwarda salire su una scala a spirale (forse una parodia del famoso Nudo che scende le scale di Duchamp?), e che continua oltre la cornice della pagina: il suo intero volto e la parte superiore del torso sono rimpiazzate dall’organo genitale femminile, esposto completamente alla visione dello spettatore. Si è detto che la sua ascensione la identifichi come Dio (Bataille stesso le fa dire, nel racconto, “You can see for yourself…I’m GOD”), e che si faccia interprete di quei movimenti dialettici, di trascendenza e immanenza, di misticismo ed erotismo, che sono sempre stati ricorrenti nell’intera opera del filosofo francese. Oppure, con intento ancor più letterale, si veda un’altra illustrazione di Bellmer, quella del corpo senza testa della prostituta, cui sono applicate due grandi ali. Di nuovo il motivo ascendente, che stavolta vede la donna librarsi nel cielo, è accostato al trattamento grinzoso e profano delle carni, dove ancora la brama sessuale è possibilità di morte.

Una simile tensione esasperata è quella che anima anche un’altro autore surrealista, questa volta uno scultore, anch’esso vicino all’idea di brutalité di Bataille: Alberto Giacometti, cui, fino al 12 settembre, è dedicata un’ampia retrospettiva al Guggenheim di New York. È interessante notare come funzioni, anche in questo caso, il motivo verticale, esile, grafico delle sculture, il legame tra osceno e morte (si pensi anche all’opposizione, sempre presente in lui, tra buona madre e cattiva madre) : l’artista non si assesta sulle posizioni di Breton, per il quale, invece, l’amore è un sentimento salvifico e non certo paradossale. Senz’altro in Giacometti c’è una finitezza lucida lontana dall’informe batailleano, ma il corpo-grafico della donna, della madre, è ancora formato da continue aperture e sprofondamenti (Spoon Woman, Woman with her Throat Cut, Grande Femme): è la tomba-vulva (Soldini, 1998); un teatro dell’ambiguo, insomma, forse lo stesso che, in tempi più recenti, ha animato le installazioni di Sarah Lucas, tra object trouvè e superfici lucide in bronzo di ascendenza surrealista, tra bellezza e trauma, tra misticismo e visceralità.

Sara Cirillo

Georges Bataille ritratto da Alberto Giacometti, 1947; © 2018 Artists Rights Society (ARS), New York / ADAGP, Paris

Hans Bellmer, La Poupée, 1936; © ADAGP, Paris and DACS, London 2018


Sarah Lucas, Nice Tits, Whitechapel gallery, Londra, 2013; fotografia: Reuters / Stefan Wermuth


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