L’Arengario Studio Bibliografico

“L’Arengario Studio Bibliografico” si erige come fulcro specializzato nella ricerca e raccolta di materiale legato all’arte visiva. Una realtà coordinata e fondata dai fratelli Tonini, Paolo e Bruno, i quali sin dal 1980 rivolgono la propria esplorazione verso un mondo sempre ed in continuo “svelamento”, di passione e testimonianza, inerente alla “raccolta documentativa”. Come verrà raccontato in seguito da Paolo “l’interesse è archeologico: la viva testimonianza di qualcosa che ci riguarda intimamente, un frammento della memoria collettiva.”
Conseguendo con uno degli archivi più ricchi, ricercati e variegati in Italia, i fratelli Tonini, si instaurano nel panorama della documentazione delle arti visive tramite un interesse personale e una radicale passione, venuta poi a sfociare nella principale attività professionale, che prende luogo fisico nei pressi di Gussago dove gran parte dell’archivio-studio trova dimora. Lo stesso, trova “reviviscenza” tramite le mostre realizzate presso un secondo spazio, quello espositivo, presso la galleria 17.2 artgallery a Brescia, (ricordiamo la recente mostra dedicata a Gino de Dominicis e alla Minimal Art), grazie alla quale molti materiali trovano visibilità, come libri d’artista, cataloghi, fotografie, inviti, poster e documenti originali.
La galleria, quindi, stabilisce uno spazio espositivo nel centro di Brescia dedicato ai libri d’artista e ai documenti originali delle avanguardie artistiche e letterarie del ‘900. In collaborazione con l’Arengario Studio Bibliografico, la galleria-libreria costituisce un crocevia d’incontro fra appassionati, collezionisti, curatori di musei e studiosi.
Di particolare interesse per questa intervista fu come nacque questa necessità di riscoperta di un lato forse più intimo e ricercato del lavoro di alcuni artisti, in particolare modo di una sfumatura del “fare artistico”, di soffermarsi sul dialogo, la riflessione, lo studio, la ricerca e il pensiero del materiale, dell’azione, del concetto e dell’idea, per cui la documentazione diventa necessaria, se non protagonista e fondamentale strumento comunicativo, nonché opera stessa.
Queste situazioni e il materiale stesso riguardano i più svariati artisti, provenienti dall’Arte povera, concreta, concettuale e Land art, che diedero vita a gran parte del loro lavoro tramite il materiale documentativo delle loro opere, spesso uniche testimonianze. Per citarne alcuni, ricordiamo il lavoro artistico di Richard Serra, Carl Andre, Walter de Maria, Donald Judd, artisti come Michael Heizner e Richard Long, come anche Giovanni Anselmo, Giulio Paolini, Jannis Kounellis, Robert Morris, Agnes Martin, Gino de Dominicis, George Maciunas, Joseph Kosuth. Materiali di architetti e designer come Ettore Sottsass e Bruno Munari, riviste come Casabella, Archizoom, sino gli studi di Ugo la Pietra e i manifesti di Joseph Beuys.
Tantissime altre correnti e ideologie artistiche, culturali e politiche, dal Lettrismo al Situazionismo, Arte Cinetica, Bauhaus, Cultura di protesta e Fluxus, Poesia concreta visiva e sonora, Minimal Art, per continuare tramite il Surrealismo, il Teatro d’avanguardia, l’Architettura radicale e il Cinema d’avanguardia.
Un archivio che si arricchisce di molteplici periodi storici coincidenti con declinazioni artistiche che continuano ancora, come il Futurismo e Dada o l’Azionismo viennese, svelandosi e raccontandosi tramite monumentali cataloghi, foto originali storiche, ma si può parlare, soprattutto, di inviti alle mostre, di bozzetti di idee, di poster di concerti o happening, sino a veri propri libri d’artista e dunque opere, sino a manifesti politici, coronati essi stessi da un “fare artistico intrinseco”, il quale esponenzialmente li rende unici.
Un dialogo incidente con un pensiero relativo all’era delle immagini e degli oggetti “simulacro”, effimeri e fugaci, racchiusi in un dedalo in fieri, per il ritorno ad una necessità di “ri-possedimento”, non solipsistico, ma comune o riavvicinamento tramite il recupero di un sentimento nostalgico, come una sorta di “elaborazione del lutto”.
Abbiamo, pertanto, avuto modo di argomentare, insieme a Paolo, alcune delle dinamiche principali che dirigono la dimensione di questa loro passione e attività, dunque la volontà che la fece nascere, sino ai meccanismi che coordinano il mercato del collezionismo, dell’arte.

Vanessa Ignoti: Come si è sviluppata la vostra attività? Nacque da un desiderio di collezionare” o di diffondere”?
Paolo Tonini: Per quanto mi riguarda né l’uno né l’altro: la decisione di rilevare le bancarelle di piazza Vittoria fu la prospettiva di guadagnarmi da vivere e aiutare la famiglia che era di 5 persone e viveva con lo stipendio di papà impiegato alle poste. Avevo vent’anni e semplicemente rimandai ad anni successivi Parigi e la rivoluzione. Bruno mi affiancò presto, dopo un paio d’anni. Poi la rivoluzione non ci fu e a Parigi ci andai la prima volta di notte in treno per portare a un cliente la “litolatta” di Munari.
L’attività si svolse da sé, attraverso i libri e i documenti che cercavamo e trovavamo seguendo semplicemente i nostri gusti – che erano i più strani e diversi – col desiderio di conoscere e imparare, di conservare quel che altrimenti sarebbe andato perduto o dimenticato ed era troppo importante, condividendo dubbi e scoperte con chi poi quelle cose le comprava: collezionisti, studiosi, istituzioni pubbliche e private ecc.
Una cronologia dei primi anni si trova nel nostro sito: http://www.arengario.it/754-2/

Ad ora, i manifesti sono divenuti quadri, gli inviti memorie da incorniciare, i libri d’artista sculture, le documentazioni fotografiche di performance opere in sé. Che valore racchiudono, anche secondo il vostro personale interesse, viso che oggi rappresentano le uniche e ultime testimonianze di situazioni artistiche esperite in un periodo in cui la prassi di documentare era occasionale e limitata?
Il valore sta nella testimonianza: il pezzo di carta o l’oggetto, opere, abbozzi, frammenti, qualunque cosa certifichi un evento significativo: tracce di felicità, di tragedie, di meraviglie e orrori, che sono la nostra umanità. Il loro valore è quello dei reperti archeologici, la sostanza e non l’apparenza di una cultura. Che poi il valore si quantifichi in prezzo è la prassi: il mercato esiste, esiste una media dei prezzi di cui si può tenere più o meno conto.

Citerei un famoso saggio di Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, il quale sosteneva che i nuovi mezzi di riproducibilità”, quali la fotografia, fossero fautori di una sottrazione all’opera stessa dei suoi valori di unicità, di hic et nunc e di aurea. Invece proprio le fotografie divennero opere e ciò che ci riporta realmente all’evento riportato.
A parere vostro si è venuta ad instaurare dunque un’ambiguità nel rapporto fra autenticità e riproduzione, per quanto riguarda per esempio la documentazione di happening” o performance”?
Non c’è alcuna ambiguità perché la riproduzione non è l’originale. Certamente non si può escludere l’ipotesi che ci siano riproduzioni perfette – ma se così fosse, per noi sarebbero originali!
Facciamo un esempio: cosa si intende per fotografia originale? La risposta è indubbia: quella tratta dal negativo. Tuttavia, dal vecchio negativo, si potrebbe stamparla oggi: la foto stampata oggi sarebbe dunque originale tanto quanto quella vintage (cioè quella stampata, convenzionalmente, entro 5 anni dallo scatto). Ma il valore della foto vintage non è paragonabile a quello della foto stampata oggi. Ci sono dunque due tipi di originalità? No, ce n’è solo uno: la traccia, il reperto dell’epoca. L’opera o l’oggetto originale è, prima di tutto, quello prodotto all’epoca. Come riconoscerlo? È questo il punto fondamentale: occorrono le indispensabili conoscenze storiche e tecniche, un bagaglio culturale adeguato.

Negli ultimi anni abbiamo visto la ricomparsa di un interesse verso tutta la documentazione artistica visiva, specialmente, qui in Italia, legata all’ambito dell’arte concreta e povera degli stessi artisti. Come è nata secondo voi la necessità di riscoprire questo materiale, dunque dalle lettere private agli inviti?
Come già ho detto l’interesse è archeologico: la viva testimonianza di qualcosa che ci riguarda intimamente, un frammento della memoria collettiva che sta davanti a noi nella sua concretezza e dice senza clamore né retorica con la sua povera esistenza che quell’evento, quella storia, quel dolore, quella passione, quell’insuccesso, quella speranza, quell’intento, quella felicità, quella disperazione ci sono stati e ancora ci parlano e premono per farsi ascoltare, comprendere e amare.

Qual è il vostro approccio al mercato del collezionismo?
È indubbio che esistano anche per questi reperti un mercato e una media dei prezzi. Ho però aggiunto che si può tenerne più o meno conto.
Fra il più e il meno noi ci siamo sempre collocati verso il meno. Mi spiego: tutti i nostri cataloghi sono nati dai nostri gusti personali e mai dalla considerazione dei gusti del pubblico. Ci confrontavamo su alcuni argomenti che ci piacevano, a volte argomenti di cui sapevamo poco o niente, così che il catalogo diventava per noi stessi una fonte bibliografica e il segno tangibile di una nuova conoscenza. Scelto l’argomento partiva la prima fase: la caccia ai materiali. Giravamo per l’Italia e l’Europa (oggi con internet non è più necessario) ogni volta con l’entusiasmo dei neofiti. La seconda fase era lo studio e l’accurata schedatura con la definizione dei prezzi (di cui di solito non c’erano riscontri di mercato) a cui seguiva la fase di disegno e impaginazione dell’opera (tutti i nostri cataloghi sono stati lavorati e curati graficamente da noi).

Vanessa Ignoti

L’Arengario Studio Bibliografico, Radical Italiano, 2011

L’Arengario Studio Bibliografico, Praz, Prima Pagare, 2016L’Arengario Studio Bibliografico, Vogliamo Tutto, 2014

L’Arengario Studio Bibliografico, Sottsass, 2012

L’Arengario Studio Bibliografico, Opera, 2017


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