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Le metamorfosi architettoniche nel lavoro di Matteo Galvano

È stata inaugurata a Milano e sarà visitabile fino al prossimo 8 settembre presso lo spazio espositivo Interface HUB/ART la mostra architAMORfosi di Matteo Galvano, patrocinata dall’Ordine degli Architetti della provincia di Milano e sostenuta da Interface Facility Management e Sharebot Monza.

La mostra, curata da Roberta Macchia e Greta Zuccali, pone i riflettori sull’opera di Galvano e sulla sua ricerca artistica caratterizzata dall’uso della penna biro, tecnica che richiede tempo e precisione per tracciare a mano libera innumerevoli segni e tratti, ora più intensi e ora più leggeri, ma che offre la possibilità di cogliere l’essenza dei soggetti rappresentati.

La tua ricerca parte nel 2002 e si evolve assieme all’abilità ad utilizzare la biro. Il tuo lavoro ora approda a Milano, città che pur mantenendo intatta un’anima borghese rappresentata dai meravigliosi edifici liberty degli inizi del 900, negli ultimi vent’anni non solo ha cambiato skyline ma anche immaginario architettonico. Ci racconti come è nato il tuo lavoro e quale città lo ha ispirato?
Il mio lavoro è nato da un viaggio a New York nel 2010 dove ho maturato l’idea di evolvere la mia ricerca artistica incentrandola sul tema architettonico. Inizialmente la visione racchiudeva anche elementi del paesaggio urbano da me chiamato “giungla urbana” ed andavo alla continua ricerca di dettagli prospettici utili a valorizzare l’architettura di mio interesse, come fossero a corredo di essa.

Dallo studio delle architetture incontrate durante i tuoi viaggi nasce nel 2014 la serie architAMORfosi (presentata ufficialmente presso il Padiglione Italia durante l’EXPO 2015) in cui, attraverso disegni realizzati in bianco e nero, riscrivi con il segno della “biro” la tua personale visione dell’architettura urbanistica, suggerendoci nuove coordinate spazio-temporali. Il tema della metamorfosi, terreno che evoca molteplici riferimenti e rimandi letterari, come si inserisce nel tuo lavoro?
Dal 2015 nasce architAMORfosi, termine inedito e da me stesso coniato, come mio forte bisogno di unire il cuore di città differenti creandone un unico corpo. Con questa mia nuova ricerca evolvo così come ogni crisalide diventa farfalla dando il via a una nuova vita. Così come Ovidio in “Le metamorfosi” ricorda che il creatore delle cose impose all’essere umano di contemplare il cielo ed innalzare lo sguardo dritto alle stelle, il mio sguardo si dirige, dunque, da terra a cielo immaginando l’amalgamarsi degli elementi architettonici miei preferiti. ARCHITETTURA – AMORE – METAMORFOSI questo è alla base della mia nuova corrente.

A Milano, come in altre città europee, le disuguaglianze sociali sono spesso associate a disuguaglianze spaziali. Credi che il tuo lavoro possa essere la base di una sperimentazione che porti alla nascita di progetti lungimiranti e innovativi per quei luoghi che identifichiamo come periferie?
Sono molto aperto all’utilizzo di nuove unità abitative in contesti inimmaginabili. Con l’evento in corso ho avuto la conferma che ogni progetto può avere un fine. Le stampe in formato 3D, realizzate in collaborazione con Sharebot Monza, hanno confermato che il mio futuro è costituito da ingressi ed uscite proprio come ogni edificio in cui ognuno può trovare riparo. Tutto ciò senza alcuna distinzione sociale: sogno un mondo accessibile ai più e sono certo che la mia “casa” potrà divenire “casa per tutti”.

In mostra presso Interface HUB/ART è stata esposta un’opera inedita dal titolo Land Time. 18 architetture fuse tra loro che danno vita a quella che definisci la tua “città ideale”. In essa si incontrano simboli come Il Cristo Redentore che dalla baia di Rio de Janeiro raggiunge la Statua della Libertà di New York o la Basilica di Santa Sofia di Istanbul che con il suo imponente profilo si fonde con le geometrie fluide dell’Harbin Opera House, in Cina. Hai mai pensato al tuo lavoro come ad un invito a superare i confini culturali e a giocare con te, l’autore, nella ricerca delle combinazioni nascoste nell’opera?
Con questa domanda mi torna alla mente un noto gioco passato tra le mani di diverse generazioni: il cubo di Rubik non a caso descritto già in passato come un puzzle in 3D e inventato da un professore di architettura ungherese. Attraverso i tentativi volti a trovare la soluzione finale, il cubo di Rubik e l’opera che hai citato dal titolo Land-Time, sintetizzano in un unico elemento il concetto del raggiungimento della perfezione passando da uno stato iniziale di sconvolgimento. Lo stesso Platone fece riferimento al concetto qui sopra spiegato, con la definizione del CAOS PRIMORDIALE a cui attinge il Demiurgo per la formazione di un mondo ordinato: IL COSMO.
Oltre a Land Time e alla serie di bozzetti e disegni, in mostra sono presenti 3 opere che trovano anche una realizzazione in 3D. Parliamo della fusione tra l’Arena di Verona e il Tietgenkollegiet di Copenaghen, del monumentale Makedonium di Kruševo che si fonde con il Fiore di Pietra di Mario Botta e di Interface HUB (edificio che ospita architAMORfosi), realizzato da Attilio Terragni nel 2012, che incontra il Novocomum di Como, progettato da Giuseppe Terragni alla fine degli anni 20 del ‘900. Ci racconti la genesi di questi progetti?
Il progetto 3D nasce dal mio non volermi più accontentare di un’opera d’arte da guardare con gli occhi, bensì dal forte desiderio di realizzare un’opera capace di farsi accarezzare fino ad offrire la possibilità ‘di immergersi all’interno di essa per poterla vivere a 360°. L’idea è nata tra diversi discorsi trattati con la curatrice Roberta Macchia, mia collaboratrice e compagna di vita.  Ogni giorno maturiamo idee in cui poter credere, le archiviamo e ne teniamo memoria per andare alla costante ricerca del posto e del momento giusto per poterle realizzare. È così che presso Interface HUB a Milano siamo riusciti a piantare il primo seme per un raccolto che speriamo essere rigoglioso, grazie all’impegno del Team che fino ad oggi ci ha supportato. La speranza è quella di poterlo veder crescere in altre città in Italia e all’estero.

Un lavoro che è allo stesso tempo un invito al viaggio.

Un processo che attraversando tutta la storia dell’architettura guarda ad essa come ad un organismo vivente in continua trasformazione, un puzzle tridimensionale che fa da sfondo alle nostre vite e le accoglie ogni giorno, incessantemente, in ogni città del mondo.

Info:

Interface HUB/ART

Matteo Galvano, Chichén Itza, 2018, bozzetto di studio, 30×21 cm

Matteo Galvano, architAMORfosi, installation view at Interface HUB/ART

Matteo Galvano, architAMORfosi, installation view at Interface HUB/ART

Mattao Galvano, particolare di Makedonium e Fiore di Pietra in 3D

cover image: Matteo Galvano, Land Time, 2019, penna biro nera su carta cotone, 160x50cm


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