READING

“Miracle Marathon” alla Serpentine Gallery

“Miracle Marathon” alla Serpentine Gallery

In Europa, dopo Basel Week dell’estate, per numero e qualità di eventi, indubbiamente viene l’appuntamento autunnale di Londra che, a parte l’apprezzabile main section di Frieze Art Fair, offre occasioni artistiche di ottimo livello. Nell’ottobre scorso, tra quelle delle istituzioni, si distinguevano per il carattere propositivo: l’enorme installazione Anywhen – plurilinguistica e coinvolgente – di Philippe Parreno alla Turbine Hall della Tate Modern; la composita Tick Time –esteticamente e civilmente impegnata – di William Kentridge alla Whitechapel Gallery; Miracle Marathon della Serpentine Gallery, manifestazione interdisciplinare curata da Hans Ulrich Obrist – con l’aiuto dell’artista Sophia Al-Maria, del teorico dell’architettura Mark Cousins, del matematico Marcus du Sautoy, dello scrittore Andrew O’Hagan – e condotta con efficienza da uno staff competente composto da Lucia Pietroiusti, Ben Vickers, Claude Adjil e da vari tecnici.
Obrist a giusta ragione viene considerato l’operatore più attivo, dinamico e aggiornato dell’arte contemporanea. Non è un critico tradizionale, ma una figura ibrida che assomma più ruoli dando risposte alle moderne esigenze del sistema culturale internazionale; uno scopritore di esperienze pionieristiche del passato e di talenti emergenti di ogni luogo; uno studioso che acquisisce tempestivamente conoscenze, anche dalle interviste a personaggi di ambiti diversi, che elabora e trasmette alla collettività attraverso discussioni pubbliche, libri e format espositivi inediti, in una visione progressista e attivistica delle pratiche creative, sperimentali e, a un tempo, attendibili. Non a caso è al primo posto nella classifica Power 100 di quest’anno, pubblicata da “Art Review”.
L’ultima Maratona – indotta dalla crisi generale in atto, che richiede analisi, idee illuminanti, specialistiche e globali, nonché progetti – ha proseguito, coerentemente, l’azione delle precedenti: Extinction Marathon e Transformation Marathon, che hanno individuato le criticità sociali e ambientali del presente e le possibilità di realizzare cambiamenti. Nell’arco di due giorni, presso il padiglione di Zaha Hadid (con fondale del palco, progettato da Navine G. Khan e Sophia Al-Maria, formato da astrazioni geometriche, dagli accesi cromatismi, che alludono a itinerari possibili) e nella Second Home (sede di Radio Serpentine animata da intermezzi musicali d’avanguardia), una novantina di professionisti (artisti, architetti, letterati, musicisti, antropologi, filosofi, teologi, scienziati …) hanno approfondito i temi del ‘miracolo’ in senso laico, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Hanno dato spazio (dal vivo, in video e via radio) a costruttivi contributi, teorici e dimostrativi, e a sinergie di saperi, senza trascurare performance interattive capaci di tenere desta, fino a tarda ora, l’attenzione dei numerosi spettatori, per lo più giovani. Dunque, tutti interventi effettuati con sconfinamenti nei territori dell’immaginario artistico e scientifico, con accentuato spirito evolutivo. Qualche esempio: gli artisti Gilbert & George, in un ping pong verbale, hanno declamato il testo Fuckosophy for all, ispirato a una filosofia popolare da loro creata perché, in senso positivo o negativo, sia comprensibile dalla gente comune; l’italiano Riccardo Sabatini (esperto di fisica e meccanica quantistica, che opera in California con il famoso Craig Venter) ha parlato dei benefici che potrebbero derivare dagli studi del codice genetico; l’artista Christo, con verve giovanile, ha illustrato il suo recente progetto The Floating Piers, che ha permesso di ‘camminare’sulle acque del Lago d’Iseo; Etel Adnan (by video) ha ricordato che la specie umana non è mai stata così in pericolo e che dovrebbe darsi l’obiettivo di dirigere le energie collettive per continuare il miracolo della vita sul nostro pianeta; Marcus du Sautoy (professore di Scienze e Matematica all’Università di Oxford) ha coinvolto il pubblico in un gioco delle probabilità nell’universo dei numeri; Mark Cousins (docente alla Southeastern University di Nanjing) ha messo a confronto miracoli religiosi e miracoli “senza Dio”, cioè derivanti dalla scienza, a torto spesso giudicati in modo superficiale; Kumi Naidoo (attivista sudafricano, direttore di Greenpeace per l’Africa) ha sostenuto la necessità di unificare ideologicamente il suo continente per rivendicare un futuro vivibile in pace, prosperità e dignità; l’artista Romualdo Hazoumé del Benin ha rivisitato le ritualità del suo Paese proiettando un film sulle danze tribali; Genesis P-Orridge (videoartista, pioniere della musica rock psichedelica) si è soffermato sul  comportamento umano, vero virus del mondo, dichiarando che guerre, malattie, mancanza di amore solidale e compassionevole ci porteranno all’autodistruzione; lo scultore Adrián Villar Rojas, nell’insolita veste di performer, ha esibito le virtuose modulazioni della propria vocalità come puro mezzo di espressione; lo specialista in neuroscienza Kris de Meyer, il ricercatore dei processi cognitivi del cervello John Dylan Haynes e la genetista Aarathi Prasad hanno dissertato con il neuro scienziato Daniel Glaser sulla nascita verginale negli esseri umani che comincia a essere un miracolo scientifico; Tomás Saraceno, in conversazione con Jan Beccaloni (curatore della collezione Arachnida, Myriaphoda, Tardigrada and Onychophora), ha spiegato la genesi delle sue realizzazioni plastiche tra spazio terrestre e cosmico; Neil McGregor (ex direttore della National Gallery) e lo scrittore e saggista Andrew O’Hagan hanno interpretato i miracoli di Gesù rappresentati nei dipinti della classicità. Per concludere, meritano almeno di essere citati: lo scrittore nigeriano Igoni Barrett, il giovane filosofo di origine siciliana Federico Campagna, l’esperto di cinema e letteratura della Black Diaspora Manthia Diawara, la studiosa di biosfera Kathelin Gray, l’architetto Eyal Weizman, lo storico della scienza Simon Schaffer.
Durante un break della seconda giornata ho potuto intervistare l’amico HUO che dal 2010 spesso collabora ai miei servizi incentrati soprattutto sui processi innovativi dell’arte di oggi legata alla realtà sociale.

Luciano Marucci: In sintesi, Miracle Marathon, da te curata, quale contributo ideale o concreto vuole dare al mondo reale? E, se innovazione estetica e sociale possono convivere, quale può essere il ruolo dell’arte nell’attuale situazione di crisi generale?
Hans Ulrich Obrist: Il tema del ‘miracolo’ è nato parlando con Sophia Al-Maria. Poiché oggi ci sono tanti artisti che si ricollegano al magico, al sacrale, ci è sembrato importante riunire certi approcci. Il mondo è in un momento di grande distrofia e l’arte, una volta di più, è il principio della speranza. Il filosofo tedesco Ernst Bloch diceva che l’arte è la forma più alta di speranza. E Mark Cousins (nostro consigliere in questa circostanza) ha precisato che Miracle Marathon non si sviluppa in un contesto religioso, ma al di fuori. Questa è stata l’idea, e come si legge nel lavoro degli anni Novanta di Douglas Gordon installato all’entrata, I still believe in miracles (“Io credo ancora nei miracoli”), per due giorni abbiamo voluto proporre una polifonia di ‘miracoli’.

È possibile intravedere scenari futuri attraverso l’attività creativa degli operatori visuali civilmente impegnati o di altri che praticano discipline diverse come quelli che intervengono a questa Maratona.
Ho sempre creduto che, come curatori, non possiamo prevedere il futuro dell’arte, ma possiamo parlare agli artisti che hanno le antenne sensibili per farlo prima di altri. Come sai, ho scritto anche un libro, The future will be…, ed è stato chiesto a un centinaio di artisti come vedono il futuro. Parlando del futuro, possiamo parlare anche di estremo presente. Con Douglas Coupland e Shumon Basar ho scritto il libro The age of Earthquakes. A Guide to the Estreme Present [Penguin editore] e penso che in tutto questo processo siamo stati ispirati dalla poetessa Etel Adnan, che ha 91 anni e che ci fa davvero tanto coraggio. Etel è libanese e l’estate scorsa abbiamo allestito una sua mostra alla Serpentine. Ha scritto un bellissimo testo. Te lo faccio cercare… [nel frattempo, per proseguire il dialogo, di-segna su foglio A4 una delle sue tipiche partiture]. Su Instagram puoi trovare tanti scritti di artisti. Io ho fondato il movimento contro la dispersione della scrittura a mano e ogni giorno faccio inserire in internet nuovi post-it autografi. Per tornare al tema del miracolo, anche Sophia Al-Maria ha scritto un testo interessante [The Unblinding].

Le nuove tecnologie possono stimolare l’immaginario e favorire anche l’invenzione artistica?
Alla Serpentine ora abbiamo un curatore digitale, James Bridle, e ieri ha presentato il suo Cloud Index, la terza Serpentine Digital Commission, atlante delle nuvole, strumento come realtà parallela delle Maratone e delle mostre nelle nostre gallerie. Una volta che si comincia, non si smette più perché, mentre la mostra ha la durata di due-tre mesi, le nuove opere digitali sono algoritmi che si sviluppano, crescono attraverso il tempo e non hanno un inizio e una fine. L’artista Jan Cheng fa opere che iniziano in modo semplice ma, come sistemi dinamici, crescono, vanno in crisi, diminuiscono, poi crescono di nuovo e ogni volta che tu le guardi ti appaiono cambiate.

 Anche Philippe Parreno (questa mattina sono riuscito a visitare il suo film-installazione alla Turbine Hall della Tate Modern) è arrivato a questo.
Sì, ma in modo diverso. Nel 2011 gli ho dedicato una mostra qui alla Serpentine e due anni prima con lui ho organizzato la collettiva Il tempo del postino. È un grande amico, uno degli artisti con cui sono maggiormente in dialogo. Partendo da Rauschenberg, è riuscito a reintrodurre il tempo nell’arte. Dall’esposizione tenuta a Parigi nel 2013 [Anywhere, Anywhen out the world, Palais de Tokyo] ha iniziato a scrivere delle partiture e la mostra si sviluppa, ma in modo differente dagli algoritmi digitali: egli utilizza processi biologici; sono i batteri che decidono come far sviluppare il lavoro. In una galleria i batteri hanno deciso sul video, invece, alla Tate il video ha deciso sui batteri. Quindi c’è differenza tra Jan Cheng e Parreno, ma in entrambi i casi la tendenza è che l’opera vive; l’opera non è ferma.

 È legata al tempo, alle sue trasformazioni…
Proprio così!

Secondo te, anche le altre tecniche operative riescono a stimolare i processi creativi?
Certamente! Per esempio, Sophia Al-Maria, una delle più prodigiose artiste del mondo, utilizza la tecnologia come un tools box, una scatola di strumenti per produrre realtà. Ha tenuto una mostra al Whitney di New York e adesso è a Miracle Marathon.

Tino Sehgal come interviene nella straordinaria installazione di Parreno alla Turbine Hall?
Anni fa ho presentato Parreno a Tino e sono diventati amici. Adesso collaborano spesso. Parreno fa intervenire Sehgal alle sue mostre, compresa questa di Londra, e viceversa. Fra due giorni Sehgal inaugurerà un’esposizione al Palais de Tokyo di Parigi e vedremo agire pure Parreno. Marcel Duchamp nel 1953 diceva: “A guest + a host = a gost” [Un ospite + un ospite = un fantasma]. È l’idea della mostra nella mostra; il concetto della matrioska. Io ho sempre creduto in questo, così alla Maratona ho potuto coinvolgere l’artista Sophia Al-Maria e lo scrittore e saggista Andrew O’Hagan, che hai sentito parlare di Miracles and Lies; far intervenire artisti, scrittori, filosofi, scienziati… Non dobbiamo dimenticare che il nostro è il secolo delle realtà parallele, degli arcipelaghi, come ti ho detto altre volte.

Intervista del 9 ottobre 2016 a cura di Luciano Marucci
Fotografie e video di Luciano Marucci

Gilbert & George

Riccardo Sabatini

Christo

Markus du Sautoy

Genesis P-Orridge

Hans Ulrich Obrist in conversazione con Sophia Al-Maria


Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.