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Vulcani, disegno e tatto: in conversazione con Vik...

Vulcani, disegno e tatto: in conversazione con Viktoria Morgenstern

L’impressione indelebile che mi ha lasciato il lavoro di Viktoria Morgenstern è rimasta a lungo dopo il nostro primo incontro. Nel 2023, a causa di una collaborazione lavorativa, ho visitato più volte lo studio dell’artista nel quartiere viennese di Leopoldstadt. Il suo atelier, che si estende su tre unità all’interno dello stesso edificio ma su piani diversi, è stato lo scenario architettonico di queste profonde conversazioni. In mezzo a una serie di opere, macchinari e oggetti di lavoro, tra cui componenti in miniatura in ottone disposti ordinatamente in scatole, ogni dettaglio risuona dell’essenza della sua ricerca artistica. Le nostre discussioni si sono addentrate anche nei lavori passati, nella sua capacità di pensare per capitoli, nella sua passione per la scienza, un filo che, in un’altra vita, avrebbe potuto intrecciarla con gli studi di geologia. Dal 2020 il lavoro della Morgenstern si avvicina alla scienza e alla natura, subendo così rapporti di lavoro con scienziati, viaggi di ricerca in regioni vulcaniche e la nascita di nuove opere che affrontano il tema delle società in zone critiche.

Viktoria Morgenstern, ritratto, 2023. Courtesy l’artista

Erka Shalari: Nel tuo lavoro cerchi di espanderti oltre il livello visivo e narrativo. Quali considerazioni o pensieri ti accompagnano durante il processo di creazione?
Viktoria Morgenstern: Penso al mio lavoro come a un disegno multidimensionale. Ciò significa che include il tatto, il suono e le parole scritte o pronunciate e non è vincolato a un livello bidimensionale. L’esperienza di un’opera cambia, non appena si riesce ad andare oltre a una superficie lineare. Cosa succede se il suo aspetto cambia quando il mio corpo cambia la sua posizione nello spazio? Come si relaziona con me ora? Come la percepisco quando sono in grado di sperimentarla al tatto? Poiché non esiste un’unica angolazione o immagine valida dell’opera, ognuno la vive in modo diverso. Così il lavoro arriva contemporaneamente alla mente e alla memoria che si ha dell’incontro con il lavoro stesso. La realizzazione dell’opera per me è anche un’esperienza fisica.

In una tua dichiarazione affermi: «Il mio lavoro è ispirato dalla mia vita, dalle mie esperienze personali e dalle mie impressioni». Quando lo ha capito?
Ho sempre fatto disegni o costruito cose, la maggior parte dei miei primi ricordi sono legati alla creazione di cose. Pertanto, posso dire che il mio lavoro sia una risposta diretta a ciò che sto vivendo, e attraverso il mio lavoro incanalo questi input e li traduco in un’altra forma. Molti dei miei lavori si basano su argomenti e ricerche scientifiche, ma sono sempre legati a ciò che sta accadendo attualmente nel mondo e a come io lo percepisco.

Viktoria Morgenstern, As from the beginning, EDEN, 95/63/20 cm, painted steel, 2021, courtesy Viktoria Morgenstern

Sto pensando molto al modo in cui concepisci le tue mostre, durante il mio studio visit hai ripetuto più volte la parola “parcour”. Come inserisci questa pratica nel tuo lavoro?
Uso spesso la parola parcour perché descrive meglio il modo in cui si attraversa e si vive l’opera. Se si tratta di un gruppo o di una serie di lavori, sono tutti costruiti l’uno sull’altro. Un’opera è sempre collegata e conduce all’altra. Anche il modo in cui il corpo attraversa lo spazio, da un’opera all’altra, è un aspetto che considero quando progetto un’installazione e lo spazio che la circonda. Come si muoveranno le persone da un’opera all’altra? Cosa cambia se posiziono i pezzi in modo diverso, come risponde la dimensione del lavoro al corpo dello spettatore? Se si tratta di un’opera in cui si può entrare, cerco anche di considerare come un bambino o una persona in sedia a rotelle potrà viverla. La mia prima installazione di grandi dimensioni, in cui questo aspetto è stato preso in considerazione è stata Deep Touch Pressure. Ho sempre ragionato su e con lo spazio e la sua memoria nel mio lavoro e questi sono stati i primi pezzi che si potevano attivare fisicamente. Passando da un’opera all’altra, ho creato una linea narrativa che guidasse lo spettatore verso questo pensiero. In Ich bin jetzt da / I am here now ho avuto la possibilità di curare diverse stanze, che si sarebbero concluse in uno spazio che avrei condiviso con un altro artista, il quale stava scrivendo lettere a sua madre, che all’epoca era già morta. La stanza che avremmo condiviso era quindi uno spazio adibito alla conversazione. Si trattava anche della stanza finale, in cui si è parlato di come nascono e si evolvono le relazioni, quelle che si hanno intimamente e quelle che si condividono con gli altri.

Viktoria Morgenstern, Deep Touch Pressure, 2021. Courtesy l’artista e kunstdokumentation.com

La prima volta che mi sono interfacciata al tuo lavoro è stata a Parallel Art Fair Vienna del 2020, dove non solo ho visto le tue opere ma ho anche avuto l’esperienza unica di indossare e sentire il pezzo How it Feels sul mio corpo. La tua dettagliata ricerca sulla pressione del tocco profondo aggiunge molti strati a questo lavoro e sono ansiosa di approfondire la discussione.
How it feels era la quarta e ultima parte dell’installazione composta di quattro pezzi Deep Touch Pressure. L’opera partecipativa affronta il tema del lutto e si articola in quattro diverse fasi, che lo spettatore può sperimentare toccando e diventando parte degli oggetti. La “deep touch pressure” è un modo di sperimentare il tatto, che ha anche un impatto significativo a livello neuroscientifico. Il giubbotto che hai indossato in quell’occasione era fatto di luci al led e pelle e pesava circa dodici chilogrammi. La pressione uniforme sul corpo permette di attivare specifici recettori sulla pelle, che portano a uno stato di rilassamento e calma e aiuta persino a regolare specifici neurotrasmettitori e ormoni nel cervello. È possibile sperimentare questi effetti anche con un buon abbraccio in vecchio stile. Tale metodo viene utilizzato anche in diverse forme di terapia, come l’autismo, il PTSD, l’ansia o l’ADHD. Nel gilet del pezzo finale, la forma esteriore, il disegno nello spazio era già sparito, ciò che rimane è solo l’esperienza che si fa con sé stessi e con il proprio corpo.

Molti titoli delle tue opere sono posti sotto forma di domanda, come Ich bin jetzt da. Und wo bist du? (“Sono qui. E dove sei tu?”), oppure If I stay up all night can I be with you? (“Se sto sveglia tutta la notte posso stare con te?”). Perché?
I titoli sono parte integrante dell’opera e spesso si collegano l’uno all’altro. Fanno parte della narrazione e se l’opera parla di un argomento irrisolto, il titolo sotto forma di domanda viene più naturale, invece di un’affermazione statica. Ritengo inoltre che questo permetta di avere più spazio da riempire con i propri pensieri e le proprie idee sull’argomento. Non mi interessa tanto dare risposte o affermazioni, quanto piuttosto aprire una fase di discussione su ciò che viene detto nell’opera e sul tema trattato. Il dialogo che spero di poter avviare tra lo spettatore e il lavoro è ciò che mi interessa veramente. L’estetica del mio lavoro è molto ridotta. Penso sempre a “cosa è veramente necessario? quanto serve per trasferire ciò che sto pensando e sentendo su qualcosa in un’altra dimensione di esperienza sensoriale?”. Non c’è linea o colore che non abbia una sua ragione o funzione, l’estetica visiva stessa si risolve nella necessità corporea di esprimere il pensiero o l’emozione nello spazio. È come nell’improvvisazione: l’opera completa è il risultato di un movimento compiuto dal corpo, che viene guidato dall’intuizione e, nel mio caso, da una linea all’altra. Ciò significa che non so nemmeno in anticipo come sarà il lavoro. Si evolve durante il processo.

Viktoria Morgenstern, We all drink the same water, 2022. Courtesy l’artista

L’ultima volta mi hai parlato di rintracciare nelle tue sculture una forma che risale alla tua infanzia. Com’è stata l’esperienza di riscoprirla?
La mia teoria è che tutti abbiano una sorta di catalogo interiore di forme, qualcosa che viene prima del linguaggio, un’espressione dei sensi interiori e dei movimenti della mente attraverso la forma. Quando ho ritrovato alcuni dei miei primi disegni d’infanzia, mi sono resa conto che c’erano forme che uso ancora adesso per comunicare un certo sentimento o pensiero. Questo catalogo di forme cresce continuamente e diventa sempre più dettagliato ed elaborato. Anche se credo che l’espressione della forma sia unica per ogni persona, alcuni motivi e movimenti di base vengono riconosciuti da tutti i tipi di persone diverse. Questo l’ho sperimentato spesso nel mio lavoro: gli spettatori giungono alla stessa conclusione o traduzione di ciò che l’opera prova o di ciò che potrebbe significare. Sembra quindi che ci sia un modo generale di comprendere tali gesti.

Ho la sensazione che molti dei tuoi lavori abbiano dei capitoli, espressi attraverso determinate divisioni architettoniche come nella mostra We all drink same water, ma anche nel modo in cui lavori, come nelle sculture Hug I, Hug II, Hug III. Da dove nasce il pensiero strutturato in capitoli?
Il modo di pensare per capitoli è un retaggio che mi porto dietro da quando ero piccola e scrivevo molte storie. Ho iniziato a fotografare con la macchina fotografica già in tenera età, per essere precisi, mia madre mi ha comprato la mia prima macchina fotografica quando avevo tre anni. Credo quindi di essere abituata a descrivere il mondo esteriore e interiore che sto vivendo in storie e capitoli, o fotogrammi che si susseguono. Per esempio, credo che l’esperienza del tempo sia una giustapposizione infinita di immagini ed emozioni, sensazioni corporee e singoli pensieri. Pertanto, mi sembra sensato raccontare le storie di cui parlo anche in sequenze. Alcune di esse si evolvono (con il fastidio di alcuni collezionisti o galleristi), per cui un’opera diventa un’altra. Diventano più grandi, si sviluppano in una struttura di habitat e così via. Non mi piace pensare a un lavoro come a un oggetto assoluto o fisso. Credo che sia anche per questo che il lavoro tridimensionale che sto facendo abbia così tanti punti di vista inaspettati da offrire. C’è un elemento di coincidenza che non posso pianificare. E credo che sia questo a rendere il lavoro interessante e in divenire: è bello non avere il controllo su tutto.

Viktoria Morgenstern, The last Habitat, 2023. Courtesy l’artista

Come è lavorare con l’acciaio?
Il materiale ha molte qualità meccaniche che lo rendono perfetto per disegnare nello spazio, e il suo background culturale di prodotto di una cultura industriale anonima mi permette di appropriarmene e di trasferirlo in un linguaggio e in un significato diversi. Ma a livello filosofico e personale, credo che la parte più interessante sia che mi aiuta a vivere il mondo effimero. Non posso spiegare appieno ciò che sto vivendo, ma il materiale ha un modo di radicarmi e calmarmi. Quando lavoro con l’acciaio, sento di essere in contatto con il mondo a un livello più profondo. Fino all’inverno scorso non sapevo che il nucleo della Terra è in realtà costituito da metalli liquidi, soprattutto ferro, forse questo ha qualcosa a che fare con la mia sensazione.

Quindi, come è cambiata per te la prospettiva del materiale e come si collega al tuo lavoro attuale?
Quest’anno ho raggiunto un punto nella mia vita lavorativa e personale in cui ho lottato per orientarmi in tutte le sfide che stiamo affrontando come esseri su questa terra, sia a livello individuale che collettivo. Durante alcune ricerche ho cercato delle risposte e un nuovo orientamento, quando mi sono ritrovata sulla cima di un vulcano. Improvvisamente ho sentito che ero proprio lì dove avrei dovuto essere, al principio, dove tutto inizia e finisce allo stesso tempo. Sono tornata intuitivamente all’origine del mio materiale di base e ho capito che ero più connessa al mio lavoro e al mondo di quanto pensassi. Lo elaboro attraverso il disegno, e attraverso il disegno posso connettermi, comprendere, mettere in discussione ed esplorare tutte queste relazioni molto difficili e complesse. Questo è quindi il significato dell’acciaio per me.

Viktoria Morgenstern, The last Habitat, 2023. Courtesy l’artista

Quali potrebbero essere le tue tracce all’interno delle tue opere, sulle superfici d’acciaio?
Lascio sempre tracce del mio processo nei lavori. Mi sembra strano lucidare tutto e trascurare il processo che ha attraversato, tutte le decisioni difficili che sono state prese a volte con molto lavoro fisico. Non vedo alcun motivo di eliminare questa parte del lavoro, quindi non lo faccio. Sono una persona molto tattile, quindi il tatto è per me il secondo senso più importante dopo quello visivo. La sensazione che si prova quando si tocca un’opera è più importante, o addirittura in alcuni casi l’unica cosa che conta, dell’aspetto estetico. A volte questo mi porta a essere ossessionata dalle finiture superficiali e può portare a levigare a mano una singola opera fino a quaranta ore, per ottenere la sensazione che desidero.

Viktoria Morgenstern, With a sense of touch, hand-brushed steel, 94 x 53 x 57 cm, 2022, courtesy Viktoria Morgenstern

Una domanda conclusiva: Viktoria, come descriveresti questo momento della tua vita e del tuo lavoro?
Sento di essere entrata in un’altra fase del mio lavoro, a livello professionale e personale. Una parte dello sviluppo del mio lavoro è sempre stata il mio interesse per la scienza e la natura. Il legame e l’intreccio tra arte e scienza sta diventando sempre più forte. Ho iniziato a lavorare con diversi scienziati che spaziano dalla geologia, alla vulcanologia, alla biologia e alla sociologia durante il mio progetto Societies in critical zones. Le domande sono: “Cosa è e cosa può essere?”. Durante i miei viaggi nelle aree vulcaniche (anche in Sicilia), mi sono accorta che esiste un’area di contatto tra il vulcano attivo e ciò che lo circonda, che io chiamo zona critica. È una zona che subisce molti cambiamenti fondamentali in un tempo molto breve e richiede molta resilienza, innovazione, anche collaborazione tra le specie e creatività perché la vita continui a prosperare in quelle aree. Il modo in cui le cose reagiscono e sono connesse tra loro è ciò che mi interessa: quali strategie trova la vita per superare ciò che all’inizio sembra essere solo disastro e distruzione? Uso queste domande e osservazioni come piattaforma per iniziare il mio lavoro. Sto cercando di dare una risposta a questo concetto di idee nella mia opera, che va dal disegno multidimensionale al suono e al tatto, e alcune di esse saranno attive. Sto anche lavorando a un libro che raccoglie tutte queste esperienze e i materiali raccolti durante il progetto. Includerà testi, interviste e altre sezioni scientifiche, ma anche pezzi personali che sto raccogliendo, oltre a fotografie. Ho infatti iniziato una serie fotografica che documenta la scomparsa del bosco di betulle sull’Etna. Ho scoperto che lo stesso sta accadendo nelle foreste in Austria: alcune aree hanno già perso tutte le loro betulle. Alcuni dei cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo sono molto forti e chiaramente visibili, ma altri sono molto lenti e silenziosi.

Erka Shalari

Info:

viktoriamorgenstern.studio


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