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Il nomadismo culturale di Alessandra Ferrini

Il nomadismo culturale di Alessandra Ferrini

A Marsiglia, si è appena conclusa Manifesta 13, dove Alessandra Ferrini ha partecipato con un lavoro collettivo intitolato Rue d’Alger. Non ho avuto il piacere di incontrarla di persona a causa dell’emergenza sanitaria, ma il dottorato per cui sta studiando, che coinvolge diverse pratiche convergenti e temi come la veridicità del documento, l’importanza dell’archivio, la nuova pedagogia e il colonialismo, mi ha fatto propendere verso un approfondimento con lei su tematiche che sento di condividere.

Sei italiana, ma studi e lavori in Inghilterra dal 2003. Dove ti senti a “casa”? Come ti senti a studiare e vivere all’estero? Quali sono le principali differenze tra studiare in Inghilterra e in Italia?
Per la mia tesi di laurea nel 2010 ho sviluppato un intero corpo di lavoro sulla nozione di “casa”. È in questa occasione che ho cominciato a guardare nella direzione di temi come l’identità nazionale, il senso di appartenenza e l’ibridazione. Mi sono trasferita a Londra a 18 anni per fuggire da un luogo, Firenze, a cui non ho mai sentito di appartenere. Non avendo mai studiato in Italia è difficile fare un paragone. Tutto ciò che posso dire è che la mia esperienza come migrante, come donna delle pulizie, cameriera in albergo, squatter, e poi come studente, è stata radicalmente diversa da quella dei miei amici poi tornati in Italia. Sono debitrice a quegli anni, anche se sono stati difficili e confusi, c’era un vero senso di libertà e un sentirsi parte di una comunità internazionale di persone che rifiutavano di far parte di un’identità nazionale. Sentirsi a casa per me ha sopratutto a che fare con quei sentimenti e quel modo di vivere ai margini.

Studi materie che sono molto difficili da comprendere e maneggiare, da dove vengono i tuoi interessi per questi temi? Puoi individuare alcuni eventi del tuo passato che hanno costituito un punto di svolta?
Mentre studiavo le nozioni di appartenenza, ho iniziato a interessarmi ai pensatori postcoloniali e ai teorici culturali come Homi Bhabha, Gayatri Spivak e Stuart Hall. Poi ho esteso questi temi e i miei interessi anche all’archivio e alla storiografia mentre studiavo per il Master in Culture Visuali. Nel frattempo, tra il 2012 e il 2014, ho condiviso casa con Ahmed, che era fuggito dalla Libia con una richiesta di asilo nel Regno Unito. Lui mi diede un DVD, The Lion of the Desert di Moustapha Akkad (1981), un film che ritrae la brutalità dell’occupazione italiana in Libia, censurato e mai distribuito in Italia. Questo è stato davvero illuminante. Ho iniziato a cercare ossessivamente e nel 2014, dopo una lunga pausa dalla mia pratica, mi sono sentita pronta a proporre un progetto sulla fotografia coloniale, per un’opportunità di residenza artistica con l’Archivio Alinari a Firenze. È nato così il mio primo film Negotiating Amnesia. Questo lavoro ha instillato in me un senso di responsabilità storica importante.

La tua pratica si esprime in outputs che sono una mescolanza di diverse forme espressive: testi visuali, cinema espanso, lectures-performances, discorsi visuali e storiografici… come ti confronti con un materiale così variegato?
Ho lavorato in diversi campi che si sono rivelati importanti per la mia pratica: dall’educazione museale, al design, al project management, alla scrittura, alla pubblicazione di materiale editoriale. I miei studi sono anch’essi vari, dalle Belle Arti – dove mi sono impegnata in film e installazioni sperimentali – alla teoria, che mi ha portato al dottorato practice-based. Semplicemente lavoro su queste esperienze e con i mezzi che ho. Anche il mio passato da squatter ha aiutato la mia ricerca. Ma più di tutto, lascio che ogni progetto prenda la forma che richiede, così da realizzarlo secondo le sue complessità e riflessioni che sento il bisogno di far convergere in un unicum. Difficilmente inizio un lavoro con una specifica forma di comunicazione in mente. Ciò che mi guida e unisce ogni cosa che faccio – la mia pratica così come i miei lavori accademici, collaborativi e pedagogici – è la ricerca, che continua a evolversi e a crescere senza mai perdere la sua centralità.

I tuoi studi e il tuo lavoro sono stati influenzati dal Covid-19? Quali sono i tuoi piani per il futuro?
La mia vita è cambiata parecchio nel 2020, poiché ho passato gli ultimi due anni a viaggiare costantemente. Al di là di rinunciare a tale privilegio, non ho avuto grandi perdite, solo molta confusione e qualche preoccupazione. Imparare a prendersi cura di sé e rallentare sono le cose migliori che ho imparato quest’anno.

A che cosa stai lavorando in questo periodo? Che forma prenderanno i progetti che stai portando avanti ora?
Finalmente sto dando la precedenza al mio dottorato e lavorando alla prima parte di Gaddafi in Rome, il film che sto producendo come parte di questa ricerca, per una mostra realizzata dai curatori libici Tewa Bernosa e Najlaa El-Ageli alla Galleria P21 di Londra nel 2021. Sto anche sviluppando un nuovo progetto che mette in connessione i modelli di insediamento coloniale in Libia con il Sud Tirol (Alto Adige) per arge/kunst, Bolzano, nel 2022. Allo stesso tempo, sto continuando a lavorare – e prendere molta ispirazione – sulle varie collaborazioni in cui mi sono impegnata, come Black History Month Florence (Firenze), Archive Books (Milano), una nuova collaborazione con Chiara Cartuccia sulle nozioni di Eurafrica e Mediterraneismo, così come interazioni più strettamente accademiche. E ho in programma di continuare a seguire il riallestimento del museo coloniale a Roma, attraverso la critica istituzionale che ho iniziato quest’anno.

Lucrezia Costa

Info:

www.alessandraferrini.info

Alessandra Ferrini, Gaddafi in Rome, in corso d’opera, progetto di dottorato finanziato dall’AHRC presso la University of the Arts, Londra. Vincitore dell’Esperimento Pitch Award 2017 del BFI London Film Festival, in associazione con FLAMIN (Film London Artists “Moving Image Network”) con il supporto dell’Arts Council England. Ph courtesy l’Artista

Alessandra Ferrini, Negotating Amnesia, 2015

Alessandra Ferrini, Negotating Amnesia, 2015. Frame tratto da “Negotating Amnesia”, film saggio presentato all’ultima edizione del Festival dei Popoli, Festival Internazionale del Film Documentario (2015 Firenze), come mostra collaterale che si è svolta al PAC Le Murate (Firenze). Ph courtesy l’Artista

Immagine d’archivio utilizzata da Alessandra Ferrini in relazione al riallestimento del museo italo-africano “Ilaria Alpi” a Roma. Ph courtesy l’Artista


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